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IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

At 13,14.43-52   Sal 99   Ap 7,9.14-17 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30

Alle mie pecore io do la vita eterna.

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Lectio divina

Per leggere … quello che mi dice l’evangelista

Nel Vangelo di Giovanni al cap. 10 sono riportati degli insegnamenti di Gesù che vertono attorno alla figura del pastore sviluppati in tre diversi interventi (10, 1-6. 7-18.25-30). Il contesto nel quale inizia il discorso di Gesù, in cui usa la metafora del pastore e del gregge, è la disputa con i Giudei all’indomani della guarigione del cieco nato e la sua «scomunica» dopo aver reso testimonianza a Gesù. Si creano due schieramenti: da una parte chi lo accusa e fomenta la gente contro di lui accusandolo di essere un impostore, e dall’altra chi invece riconosce dai segni compiuti da Gesù che egli viene da Dio. Nel primo insegnamento viene posto un paragone tra il «pastore delle pecore» che entra dalla porta del recinto, e il ladro/brigante che invece scavalca. La differenza tra i due personaggi evocati nella similitudine sta nella bontà delicata e rispettosa. Il pastore chiede permesso al guardiano così come Dio interloquisce non noi usando il massimo rispetto della nostra libertà. Nel Libro dell’Apocalisse Gesù dice di essere come colui che sta alla porta e bussa. Chi gli apre la porta lo accoglierà in sé e potrà cenare con Lui (Ap 3, 20). La parola di Dio è innanzitutto un invito ad aprirgli il cuore. L’umiltà e la delicatezza rispettosa con cui Gesù si rapporta con gli uomini è il segno di riconoscimento dell’autenticità dei suoi sentimenti nei loro confronti. La sua è una voce familiare che suscita fiducia e attiva la determinazione a seguirlo. Al contrario di ciò che accade con la voce dell’estraneo che invece incute paura e che fa scattare una reazione di fuga (cf. Gv 10, 1-6). Il secondo insegnamento è la spiegazione alla parabola il cui significato sembra sfuggire ai suoi interlocutori. Viene istituito un doppio confronto tra la porta/il pastore e il ladro/mercenario. Il ladro viene per rubare, uccidere e distruggere e il mercenario, che non gli importa delle pecore, scappa davanti al lupo rendendole facile preda dei lupi. Al contrario, il pastore è colui che si prende cura delle pecore conducendole al pascolo e riconducendole nell’ovile dove sono protette. Gesù si rivela come il Buon/Bel Pastore perché dà la propria vita per le pecore per nutrirle e difenderle. I segni che Gesù compie rendono manifesto l’amore del Padre che si prende cura degli uomini con i quali s’instaura il medesimo rapporto di amore familiare che lega il Padre e il Figlio suo Gesù. Sant’Agostino indica nel Padre l’Amante, nel Figlio l’Amato e nello Spirito Santo l’Amore. La vita di cui parla Gesù è propriamente l’Amore che unisce il Padre e il Figlio e, al contempo, il dono che fa Gesù a chi crede in lui per coinvolgerli nella familiarità divina.

Sullo sfondo del terzo insegnamento di Gesù (Gv 10, 25-30) c’è la festa della Dedicazione del Tempio di Gerusalemme. Dopo la sua profanazione ad opera di Lisia, legato del re Antioco IV Epifane, nel II secolo a. C., i Maccabei organizzarono la ricostruzione e la nuova dedicazione del tempio. Per gli ebrei quello era il luogo della permanente presenza di Dio in mezzo al suo popolo e spazio di incontro con il Signore nel segno dei sacrifici. Gesù annuncia che è lui la vera e definitiva via per incontrare Dio ed entrare in comunione con lui. La tradizione profetica, in maniera particolare Ezechiele, usa la metafora pastorale del pastore per indicare le guide del popolo, visualizzato simbolicamente nell’immagine del gregge. La metafora attinge direttamente alla tradizione d’Israele delle sue origini pastorali. La fase storica nella quale Israele è un popolo nomade a economia prevalentemente pastorale, il pastore assume il valore di guida, sostegno e protezione. I capi, responsabili del popolo, sono chiamati pastori, ma quando essi tradiscono il loro mandato, Dio stesso si incarica di guidare il suo popolo e di inviare pastori in sintonia con il suo cuore, cioè con i suoi progetti di pace (Ez 34,1s.; Ger 23,1s.). Gesù applica a sé le profezie che annunciano un intervento diretto di Dio per prendersi cura del suo gregge sbandato a causa del tradimento dei “falsi” pastori. Gesù afferma di essere in Buon/Bel Pastore e i suoi discepoli sono quelli che chiama le «mie pecore». Nei primi due insegnamenti Gesù ha offerto i criteri per riconoscere i pastori «secondo il cuore di Dio» e i falsi pastori, mercenari e briganti. Nel terzo insegnamento l’accento è posto sulla figura del gregge, ovvero sui discepoli. La relazione che si instaura tra Gesù-pastore e i discepoli-gregge corre sul filo dell’ascolto. Nei versetti precedenti a quelli che compongono la pericope liturgica, alcuni giudei chiedono che Gesù dica espressamente se è il Cristo. Egli risponde che lo ha affermato già apertamente ma essi, rifiutandosi di credere non lo ascoltano perché non sono del suo gregge. La caratteristica di appartenere al gregge di Gesù è proprio quella di ascoltarlo e seguirlo. Tra l’ascolto e la sequela delle pecore c’è l’esperienza della conoscenza del pastore, sinonimo di amore e premura per il gregge. La voce del pastore comunica il sentimento profondo che unisce Gesù ai suoi discepoli. Il maestro vuole il bene dei suoi discepoli, non esige nulla, al contrario egli è disposto a dare tutto, tutto sé stesso, per la loro vita. L’intimità che il pastore ricerca e dona alle pecore rende credibile e attraente la sua voce, tale che esse lo seguono in piena fiducia. L’amore di Gesù tocca non solo le orecchie ma il cuore di chi lo incontra e si lascia attrarre nel cammino della vita vera. La voce di Gesù comunica la misericordia di Dio. Solo l’amore di Dio appaga pienamente il desiderio dell’uomo, che così si lascia condurre. Nell’ascolto si compie la vocazione dell’uomo che è fatto per aprirsi all’altro, per entrare in relazione e in essa trovare la sua pienezza. Ogni persona raggiunge la sua propria dignità e libertà quando si apre all’ascolto di Dio. Ascoltare non significa solo udire, ma accogliere con intelligenza, aderire nel cuore e mettere in pratica. La Lettera di Giacomo invita a non essere ascoltatori smemorati come chi passa davanti allo specchio per poi dimenticare la sua immagine subito dopo. Bisogna essere ascoltatori che mettono in pratica la parola di Gesù in modo da comprenderne il senso, ovvero fare esperienza d’intima comunione con Dio (Gc 1,19-25). È esperienza di vocazione quella in cui si riconosce la voce di chi ti ama e perciò ti chiama per nome. La voce dell’amore comunica la verità fondamentale della vita: chi mi ama mi conosce e al tempo stesso mi rende nota la mia vocazione, la mia identità, il senso della mia esistenza e la mia missione.

L’obbedienza rivela la fecondità e la vitalità della relazione personale che unisce Dio e la sua creatura umana, che Gesù chiama “vita eterna”. Solo Gesù può darla perché solo lui può introdurci e farci partecipi della sua relazione filiale col Padre, fonte della vita. Gesù è concorde con noi perché ci offre il suo cuore, il suo rapporto filiale col Padre celeste. Chi rimane unito a Gesù aderendo alla sua vita, accoglie in sé lo Spirito Santo, la stessa forza vitale che spinge Gesù ad amare il Padre e i suoi fratelli fino a dare la propria vita.

Di fronte alle intemperie della fede e della vita possiamo confidare in una mano forte che ci protegge. Gesù, nelle cui mani il Padre ci ha affidato, ci custodisce perché nulla possa compromettere la nostra relazione fiduciosa con Dio. La fedeltà di Dio si traduce nella custodia e promozione alla vita di tutti coloro che si rifugiano in Lui. Davanti alla fedeltà di Dio non c’è pericolo che le forze del male possano avere il sopravvento definitivo. Nessuno con la violenza può sottrarre la creatura dall’amore di Dio. Nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio! (Cf Rm 8, 35-37) Chi sta nelle mani di Cristo, perché a lui vuole appartenere, sa che ogni tentativo violento cade inefficace difronte al più robusto amore del pastore che custodisce quanto ha ricevuto dal Padre. Gesù consegna le sue pecore nelle mani del Padre, Colui che gliele ha date e che è “più grande di tutti” tanto che nessuna potenza gli è superiore da sottrargli quello che gli appartiene. La sicurezza delle creature risiede nella unione che abbraccia Gesù e il Padre in un unico legame tanto da essere “uno”. In tale unità-comunione trova spazio ogni uomo che si lascia inglobare in questo abbraccio d’amore. Lì trova sicurezza, vita, libertà.

Per meditare … quello che Dio dice alla mia vita

Nutriti dalla mano e custoditi nel cuore del Buon Pastore

Il vangelo di domenica scorsa si concludeva con l’affidamento a Simon Pietro di pascere il gregge di Cristo. La missione dell’apostolo consiste nel prendersi cura della Chiesa con gli stessi sentimenti di Gesù che il libro dell’Apocalisse presenta come l’Agnello – Pastore. Il Risorto custodisce e guida la Chiesa mediante l’azione pastorale di coloro che, da «sue pecore» che ascoltano la voce del Buon Pastore e lo seguono, diventano a loro volta pastori dei loro fratelli. Gesù non nasconde ai suoi discepoli il pericolo che viene dai ladri e dai briganti, per i quali ciò che conta è fare bottino, o dai mercenari, i quali non curano altro interesse che il proprio. Il dramma sarebbe essere vittime della logica dell’avidità egoistica che trasforma la docilità delle pecore in aggressività dei lupi e la mitezza degli agnelli nella violenza dei rapaci. Non l’intuito ma l’ascolto della Parola di Dio aiuta a cogliere la presenza di Dio e l’opportunità che ci viene offerta di crescere nella libertà e nella responsabilità. Questo avviene nelle crisi quando, da una parte sperimentiamo quanto sia facile essere ingannati dalle voci suadenti di coloro che vorrebbero servirsi di noi per i loro interessi, e dall’altro possiamo scoprire la nostra vocazione di essere a servizio di tutti quelli verso i quali il Signore ci invia. L’esperienza di Paolo e Barnaba è significativa in questo senso. Proprio quando subiscono gli affronti più duri dalle persone che si ritenevano più vicine e affini, essi comprendono di essere a servizio di un progetto molto più ampio dell’orizzonte che essi avevano immaginato. I ladri e i briganti si presentano in vesti di pastori, difensori della loro verità. Tuttavia, del Pastore hanno solo l’apparenza ma non i veri sentimenti perché essi non parlano al cuore ma alla pancia. Fanno leva sulla diffidenza, alimentando dissidi e divisioni, e promettono un mondo che è solo il prodotto della fantasia malata. Essi chiedono subito di dare loro qualcosa in cambio della realizzazione della promessa. Gesù, invece, il vero Pastore, prima di fare promesse seducenti, lui stesso realizza la promessa del Padre e dona la vita. L’amorevolezza del Pastore, che conosce le sue pecore perché le ha a cuore, è percepibile dal tono delicato della sua parola con la quale chiede permesso. Bussando con rispetto alla porta del nostro cuore resta in paziente e fiduciosa attesa di essere accolto e ascoltato. Ascoltare dunque significa aprire il cuore a Dio per accoglierlo e lasciarsi conoscere da Lui come, spalancando la finestra di una stanza permettiamo alla luce di entrare e all’aria fresca di rigenerare l’ambiente. Gesù sulla croce ha steso le braccia per consegnarsi come dono nelle nostre mani. Nell’eucaristia ascoltiamo la voce di Dio; accogliendolo nelle nostre mani e dentro di noi, lo conosciamo veramente come nostro Signore. Dio viene a noi, non per prendere, ma per donare la vita. Egli ci dona lo Spirito Santo! È la mano di Dio che prende la nostra come quella di un genitore che guida e accompagna il suo figliolo sulla via della vita. La mano può chiudersi a pugno e colpire per distruggere e uccidere oppure afferrare e strappare per rubare. Dio si consegna nelle nostre mani per amore perché impariamo da Lui a tenerle sempre aperte per accogliere i fratelli come dono suo, nello stesso modo con il quale Gesù ci considera dono ricevuto dalle mani del Padre. Se le mani si chiudono lo fanno solo per stringere quelle dei fratelli più deboli per comunicare loro la forza necessaria affinché si creino legami di autentica comunione fraterna.

Per pregare … quello che io dico a Dio

Signore Gesù, mite Agnello immolato per noi, Tu sei il Pastore secondo il cuore di Dio. Ti ringraziamo perché ci ami per quello che siamo, gregge tante volte disperso e confuso, frastornato e disorientato dagli scandali e dalle voci illusorie dei falsi pastori. Abbi pietà di noi e aiutaci donandoci fratelli che si facciano eco della tua voce, strumento della tua immensa carità. Fa che le prove della vita, con l’aiuto del tuo Spirito, ci educhino a saper discernere la tua volontà e ad essere docili alla tua Parola. Assistiti dalla Sapienza, la nostra coscienza possa uscire temprata dalle crisi per essere più comprensivi, pazienti e amorevoli con i nostri fratelli. Quando le nostre braccia sono fiaccate dalla stanchezza tendi ancora la tua mano e sollevaci per trovare in Te la forza di camminare insieme sui sentieri della storia prendendoci per mano. Donaci la gioia di appartenerti ed essere a servizio della tua Chiesa con cuore libero e grato.