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CENNI STORICI

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LA DIOCESI DI MATERA

A cura di Annunziata Bozza

Appartenente alla regione ecclesiastica di Basilicata, l’Arcidiocesi di Matera-Irsina (in latino: Archidioecesis Materanensis-Montis Pelusii) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea dell‘arcidiocesi di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo.

Le testimonianze storiche sull’esistenza di una diocesi a Matera sono, per il periodo tardo antico e medievale, scarsissime se non addirittura inesistenti. Molto spesso, nel ricostruire le vicende storiche della diocesi materana, sono state riportate notizie poco attendibili non suffragate da testimonianze documentali. È da ritenersi infondata, a tal proposito, l’ipotesi formulata da alcuni scrittori dei Concili che ipotizzano alla fine del V secolo la presenza di un vescovo proveniente da Matera al Concilio Romano ed al Concilio Africano.

Secondo Cosimo Damiano Fonseca – autore dell’illuminante saggio Le istituzioni ecclesiastiche dal tardo antico al tardo medioevo – sino alla metà dell’XI secolo la Basilicata non ha potuto vantare un ordinamento metropolitico che facesse leva su un capoluogo indigeno. La pluralità delle esperienze religiose, la gravitazione di alcune aree nell’obbedienza del patriarcato di Costantinopoli, la robusta intelaiatura dei monasteri italo-greci, la frantumazione istituzionale del tessuto politico-amministrativo hanno favorito un incalzante particolarismo istituzionale e hanno determinato una sorta di subalternità a centri ecclesiastici di più antica e consolidata tradizione. In ogni caso, una delle discriminanti della mancata ricomposizione unitaria della regione è costituita, tra l’altro, proprio dalla compresenza di aree longobardizzate, quindi, con una decisa polarizzazione verso strutture latino-occidentali, e di aree bizantinizzate, con un’altrettanto spiccata determinazione verso matrici di ascendenza greco-orientale.

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È dunque spiegabile con questo tipo di motivazioni il fatto che nel 968 all’arcivescovo di Otranto era stata concessa dal patriarca di Costantinopoli, Polieuctola facoltà di consacrare i vescovi suffraganei di Acerenza, Tursi, Gravina, Matera, Tricarico, sedi vescovili, queste, (aggiunge ancora Fonseca) peraltro mai esistite, anche se gravitanti in quella parte della regione significativamente grecizzata  e dall’imperatore Niceforo Foca gli era stato impartito l’ordine di celebrare «in omni Apulia et Calabria» i divini misteri secondo la liturgia greca. L’ordine trasmesso all’arcivescovo di Otranto, di imporre in tutta l’Apulia e la Calabria la liturgia greca, era un atto politico di significativa importanza per guadagnare all’obbedienza bizantina i territori riconquistati. Ma il disegno dell’imperatore bizantino non ebbe per Acerenza concreta attuazione, in quanto le istituzioni ecclesiastiche locali rimasero saldamente innervate sulla tradizione latina e sull’obbedienza al pontefice romano.

Acerenza, dunque, che non compare mai nelle notizie degli episcopati greci, fedele alla Chiesa di Roma risulta nel 983 suffraganea dell’arcidiocesi di Salerno e lo è ancora nel 1051.

Per Matera nessuna notizia documentata ci attesta quale ruolo abbia avuto la sua Chiesa nel corso dell’alto medioevo e tanto meno se abbia avuto un suo vescovo. Sappiamo, per certo, che la sua Civita assunse, a seguito delle incursioni longobarde, greco, bizantine e saracene, rilevante importanza strategica ed insediativa.

È in una bolla di Alessandro II del 23 aprile 1068 che Matera riappare annoverata tra le civitates ricadenti nella provincia ecclesiastica di Acerenza insieme a Venosa, Montemilone, Potenza, Tolve, Tricarico, Montepeloso (Irsina), Gravina, Oblano, Turri, Tursi, Latiano, San Quirico, Oriolo, cioè sia territori latini che quelli grecizzanti dell’ordinamento costantinopolitano. Alcune di queste località sono, da studiosi come la Falkenhausen, da considerarsi non diocesi vere e proprie ma centri territoriali del nuovo arcivescovado. Venosa, Potenza, Tricarico, Gravina e Tursi sono considerate, invece, già sedi vescovili o attestate come tali.

In merito all’esistenza di un “episcopato materano” si fa spesso riferimento alla consacrazione della Chiesa di S. Eustachio, annessa al Convento Benedettino esistente intorno all’anno Mille nell’area che successivamente sarà occupata dalla Cattedrale e dal Palatium vescovile. Il 16 maggio del 1082, è Arnaldo, vescovo di Acerenza, a consacrare il nuovo tempio dedicato a Sant’Eustachio fatto costruire dall’abate Stefano. Così attesta Lupo Protospata, attivo nell’Italia meridionale nel sec. XI, e tramanda un’iscrizione ripetutamente citata dagli studiosi locali materani, ma ritenuta sospetta da Shulz. Incerta è pure la notizia di una lettera dell’abate Stefano a Willelmo di Nonantola per la consacrazione della chiesa di S. Eustachio nel 1082 nella quale si legge che il rito viene officiato da Arnaldo alla presenza del vescovo di Matera, tale Benedetto, con i suoi chierici.

L’assoluta mancanza, tuttavia, di riferimenti documentari attendibili che testimonino l’esistenza di un vescovo e di una sede vescovile a Matera, suffraganea di Acerenza, alla fine dell’XI secolo e per tutto il XII, suggeriscono una certa cautela nel delineare le vicende della cattedra episcopale materana.

Nel maggio del 1203, il vescovo di Acerenza, Andrea, ottiene da Innocenzo III l’elevazione di Matera a seconda sede arcivescovile. Nello stesso anno iniziano i lavori, che termineranno nel 1270, per il rifacimento della nuova cattedrale. Per oltre sette secoli la cattedra episcopale di Matera è unita a quella di Acerenza; un’unione segnata da una crescente aggressività politica volta ad assicurare la separazione della diocesi materana da quella acheruntina [   ]. In un contesto di rivendicazione dei diritti della presunta diocesi materana si cercarono con attenzione, e spesso poca cura critica e molta malafede, appigli di ogni sorta che attestassero l’autonomia materana rispetto ad Acerenza [   ] gli eruditi materani di età moderna [   ] si lanciarono nell’elencare documenti in cui l’arcivescovo Andrea avrebbe portato la doppia titolazione di archiepiscopus acheruntini et materanus, il tutto nell’ottica di testimoniare l’originaria parità di grado tra le due sedi.

Il dissidio tra le due chiese, materana ed acheruntina, prese corpo in tre distinte controversie. La prima in merito al titolo che avrebbe dovuto assumere l’Arcivescovo. Sisto IV, con due sue bolle del 1471, e Leone X, con una del 1519, ordinarono che, risiedendo l’arcivescovo ora in Matera ora in Acerenza, la sua intitolazione dovesse rispecchiare il luogo esatto di dimora, dunque in maniera alternata Archiepiscopus Materanus et Acheruntinus e viceversa. La seconda lite ebbe per oggetto la composizione della diocesi di Matera che comprendeva la giurisdizione su dieci territori vicini alla città. La Chiesa di Acerenza pretese che tali territori fossero aggregati alla sua diocesi. La Sacra Rota romana nell’anno 1597 con sua decisione concesse “la manutenzione” della diocesi alla chiesa materana riservandosi di dichiarare quali e quanti erano i territori che l’avrebbero costituita. Nel 1598 con altra decisione dichiarò che le dieci terre più vicine alla città di Matera costituissero la sua Chiesa. Tale decisione non mancò di generare nel clero acheruntino una reazione.

Nell’anno 1600 la medesima Rota concesse “la manutenzione” dei dieci territori, assegnati due anni prima a Matera, alla Chiesa di Acerenza rinnovando l’assegnazione a quest’ultima con i decreti degli anni 1701, 1733 e 1750.

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La terza controversia insorse nell’anno 1706. L’arcivescovo Brancaccio pretese di tenere nella città di Matera il Tribunale ed il suo Vicario Generale per entrambe le diocesi e per tutte le diocesi suffraganee. Il Capitolo di Acerenza nuovamente si oppose pretendendo il contrario in virtù del decreto “de manutenendo” del 1600. La Sacra Congregazione dei vescovi e dei regolari nell’anno 1706 ordinò con due decreti uniformi che l’arcivescovo tenesse il Tribunale ed il Vicario generale nella città di Matera per entrambe le diocesi a patto che per la sola città di Acerenza istituisse un altro vicario con facoltà arbitrarie. La diatriba con Acerenza si trascinò per diversi secoli: ancora nel 1818 – in sede di trattative per la stipula del Concordato tra la Santa Sede ed il Regno delle due Sicilie – Matera propose una revisione del numero dei paesi da far ricadere sotto la giurisdizione delle due chiese a proprio vantaggio, riaccendendo in tale maniera la lite con Acerenza. Si pervenne, a seguito delle tensioni tra le due Chiese, alla soppressione per un anno della diocesi di Matera. Con lettera apostolica del 1819 Pio VII, accogliendo le istanze dell’arcivescovo Camillo Cattaneo della Volta, del Capitolo e Clero e dei cittadini materani, provvide al ripristino dell’antica circoscrizione ecclesiastica di Matera ridotta l’anno precedente allo stato di chiesa collegiata.

Tuttavia l’attrito tra le due Chiese cessò solo nel 1945. L’arcivescovo di quel tempo, Mons. Anselmo Pecci, benedettino, rassegnò le dimissioni pressato dai molti problemi interni alla Chiesa, dalle conseguenze del secondo conflitto mondiale e dall’impossibilità materiale di esercitare il ministero episcopale nelle due sedi arcivescovili distanti fra loro e carenti di mezzi di comunicazione. Nel 1945, con Decreto Concistoriale dell’11 agosto, si assegnarono alla giurisdizione ecclesiastica materana i dieci paesi detti di “Basso” (Bernalda, Ferrandina, Grottole, Ginosa, Laterza, Metaponto, Miglionico, Montescaglioso, Pisticci e Pomarico).

In data 2 luglio 1954, la Bolla di Papa Pio XII sancì la definitiva separazione delle due Chiese di Acerenza e Matera e la costituzione di due province ecclesiastiche: la Chiesa Metropolitana di Acerenza con le sedi suffraganee di Potenza, Venosa, Marsico e Muro Lucano e la Chiesa Metropolitana di Matera con le sedi suffraganee di Tursi e Tricarico. Il 21 agosto 1976 con la bolla Quo aptius di papa Paolo VI, eseguita il 12 novembre dello stesso anno, vennero soppresse le due province ecclesiastiche di Matera e di Acerenza, che diventarono sedi vescovili suffraganee dell’arcidiocesi di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo, elevata a sede metropolitana; si separarono dal governo ecclesiastico di Matera i comuni di Ginosa e Laterza per essere ascritti alla diocesi di Castellaneta. Alla Chiesa di Matera, sempre in tale occasione, si aggregarono le parrocchie di Montalbano Jonico, Scanzano e Craco, distaccate da Anglona – Tursi e Salandra da Tricarico. L’11 ottobre 1976 a seguito della bolla Apostolicis Litteris dello stesso papa Paolo VI vennero unite le diocesi di Matera e di Irsina (un tempo denominata Montepeloso). Il 3 dicembre 1977 si restituì alle diocesi di Matera e Irsina e di Acerenza il titolo di arcidiocesi.

Con decreto della Congregazione per i Vescovi del 30 settembre 1986 si determina la nuova e definitiva denominazione dell’arcidiocesi materana in Matera–Irsina con sede vescovile a Matera.

LA DIOCESI DI IRSINA (GIÀ MONTEPELOSO)

A cura di Don Nicola Di Pasquale

Le origini della piccola Diocesi di Irsina si perdono nella notte dei tempi, così come le origini stesse del paese.

Una pia tradizione vuole che sia di origine apostolica, ma non vi sono documenti probanti. A mio modesto avviso è più certo vedere la sua istituzione qualche secolo prima dell’anno Mille.

Infatti, lo storico locale M. Janora ci ricorda “come nell’anno 988 Giovanni II, Principe (longobardo) di Salerno fece ricostruire Montepeloso e la sua Cattedrale, già bruciati dai Saraceni …”. E la notizia dell’avvenimento è riportata nel Chronicon di Lupo Protospata.

Nella cripta della Cattedrale poi è ancora conservato un piatto in pietra che era la base di un fonte battesimale per immersione, rito che veniva praticato soltanto nelle Chiese Cattedrali dallo stesso Vescovo della Diocesi.

Altre notizie sull’antichità del paese e della diocesi si attingono nei cenni storici di E. Palermo il quale conferma come questa ”sul calar del X secolo fu incendiata e tosto riedificata”, che sia di greca origine al pari di tante altre nostre città Italo-Greche…

Infine, la voce più autentica e sicura è la Bolla di Papa Callisto II, emanata in Benevento l’11 Settembre 1123, con la quale il Pontefice ricostituisce la diocesi di Montepeloso che già “anticamente fu ornata di dignità episcopale e della luce del proprio Pastore” …

Montepeloso non ebbe mai vescovi di rito greco-bizantino, fu una delle diocesi fedelissime al Vescovo di Roma che la riteneva una sua sentinella avanzata sul corso dell’Alto Bradano, quasi un baluardo di difesa contro l’invasione del metropolita greco-bizantino di Otranto, a sua volta soggetto di stretta fiducia dell’Imperatore d’Oriente, e che aveva esteso la sua giurisdizione su quasi tutte le altre diocesi lucane.