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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – Lectio divina

Is 56,1.6-7   Sal 66   Rm 11,13-15.29-32   Mt 15,21-28: Donna, grande è la tua fede!

O Padre, che nell’obbedienza del tuo Figlio

hai abbattuto l’inimicizia tra le creature

e degli uomini hai fatto un popolo solo,

rivestici degli stessi sentimenti di Cristo,

affinché diventiamo eco delle sue parole

e riflesso della sua pace.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Isaìa Is 56,1.6-7

Condurrò gli stranieri sul mio monte santo.

Così dice il Signore:

«Osservate il diritto e praticate la giustizia,

perché la mia salvezza sta per venire,

la mia giustizia sta per rivelarsi.

Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo

e per amare il nome del Signore,

e per essere suoi servi,

quanti si guardano dal profanare il sabato

e restano fermi nella mia alleanza,

li condurrò sul mio monte santo

e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.

I loro olocausti e i loro sacrifici

saranno graditi sul mio altare,

perché la mia casa si chiamerà

casa di preghiera per tutti i popoli».

Casa di preghiera per tutti i popoli

Il Dio di Israele si rivela come il Signore di tutti. La signoria di Jahwe è universale e non riservata ai soli Israeliti. Essi, dunque, non sono autorizzati, in nome di un distorto senso di elezione, a disprezzare lo straniero o a giudicarlo escluso dalla grazia di Dio. Le parole del profeta Isaia esortano gli Israeliti ad osservare la legge di Dio affinché tutti, includendo gli stranieri, possano sperimentare il diritto esercitato dal Signore. Quello di Dio è il diritto paterno e materno nei confronti dei loro figli ispirato all’amore che tutti unifica nella comunione. Dio sogna una famiglia composta da fratelli che, pur con linguaggi e stili o culture differenti, imparano a stare insieme e pregare unanimi e concordi gli uni per gli altri.

Quanto più la preghiera assume uno stile familiare fatto di accoglienza, concordia, ascolto, amicizia, condivisione, tanto più il culto genera la fraternità nella quale le differenze non sono motivo di contrasto ma occasione di arricchimento e promozione vicendevole.


Salmo responsoriale Sal 66

Popoli tutti, lodate il Signore.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,

su di noi faccia splendere il suo volto;

perché si conosca sulla terra la tua via,

la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,

perché tu giudichi i popoli con rettitudine,

governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,

ti lodino i popoli tutti.

Ci benedica Dio e lo temano

tutti i confini della terra.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 11,13-15.29-32

I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili per Israele.

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?

Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!

Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia.

Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

Dio porta a compimento l’opera della salvezza iniziata

San Paolo legge la durezza del cuore degli Israeliti, che hanno rifiutato il Vangelo di Dio e di credere in Gesù Cristo, nell’ottica del mistero della salvezza per la quale Dio non si stanza mai di elargire doni e di chiamare alla conversione. Storicamente fu proprio la disobbedienza di alcuni Israeliti ad aprire la strada all’evangelizzazione dei pagani. Paolo non attribuisce a sé stesso o all’opera degli evangelizzatori la conversione e l’adesione alla fede dei popoli pagani, ma alla grazia di Dio. Per questo è convinto del fatto che Dio stesso porterà a compimento l’opera che ha iniziato. Questa incondizionata fiducia dell’opera di Dio anima la speranza dell’apostolo nei confronti dei suoi fratelli. Le braccia di Dio sono tanto grandi che accoglieranno anche quelli che l’evangelista Luca identifica con il fratello maggiore. Paolo è certo che il Padre troverà il modo di convincere anche lui ad unirsi alla festa e ad entrare nella casa della gioia.


+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 15,21-28

Donna, grande è la tua fede!

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».

Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».

Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Lectio

La fede è grande tanto quanto la speranza di salvezza riposta in Dio

Il vangelo di domenica scorsa ci ha consegnato in un’icona densa di contenuto il dramma della fede messa alla prova. I discepoli non riescono a fronteggiare il problema del vento contrario che sospinge la loro barca alla riva opposta a quella verso cui si stanno dirigendo. Nella difficoltà, vedendo Gesù camminare sulle acque, sono sconvolti dalla paura perché lo prendono per un fantasma. La parola di Gesù, che si fa riconoscere, non basta per rassicurarli. Pietro vuole una prova e chiede di poter camminare sulle acque. Ricevuto il permesso, egli inizia a farlo ma, preso ancora dalla pura del vento contrario, inizia ad affondare. L’apostolo ha la forza di gridare aiuto e Gesù lo afferra mettendolo in salvo e rimproverandogli la poca fede. Quando finalmente tutti sono nuovamente sulla barca gli apostoli si prostrano confessando che Gesù è il Figlio di Dio.

Anche la pagina del vangelo di questa domenica, che presenta la figura di una donna Cananea abitante del territorio straniero della fenicia in cui Gesù si era ritirato, ci offre spunti di riflessione sulla fede che è messa alla prova, questa volta però dal silenzio di Dio. Come i discepoli nella barca contrastata dal vento, anche lei è in grande difficoltà perché sua figlia è tormentata da un demonio. Similmente a Pietro, anche la Cananea grida verso Gesù pregandolo di avere pietà di lei. Ma, al contrario di quello che accade all’apostolo, Gesù non tende la mano ma oppone il silenzio.

Gesù tira dritto per la sua strada seguito dai discepoli e dalla donna che gli grida dietro con insistenza. In questo clima di tensione s’inseriscono due dialoghi, il primo con i discepoli e il secondo con la donna, che infrangono finalmente il muro della incomunicabilità. Sia i discepoli che la donna si avvicinano a Gesù e lo supplicano invocando aiuto. I discepoli chiedono a Gesù di «mandar via» (lett.) la donna esaudendo la sua richiesta o di accondiscendere alla sua richiesta in modo da potersene liberare. Non sappiamo quali sentimenti albergano nel cuore dei discepoli sentendo le grida della donna. Certo è che essi non rimangono indifferenti. La indeterminatezza in cui ci lascia il racconto ci autorizza ad avanzare delle ipotesi partendo dalla nostra esperienza, quando ascoltiamo la preghiera o la richiesta di aiuto proveniente da persone che ci sono estranee. Tante sono le scene a cui assistiamo quotidianamente nelle quali donne, uomini, bambini e anziani gridano verso di noi chiedendo aiuto. Ci sentiamo quasi pressati ma anche interpellati oppure scomodati dal grido di aiuto che si eleva da più parti e soprattutto dai nostri confini. Sentiamo fastidio? Avvertiamo compassione? Alziamo le spalle invocando l’intervento delle autorità oppure, riconoscendo i nostri limiti, sollecitiamo l’aiuto misericordioso di Dio? In genere abbiamo difficoltà a prendere l’iniziativa e preferiamo fare appello ad istanze superiori perché è più comodo delegare e dire agli altri quello che dovrebbero fare piuttosto che domandarsi, dopo aver ascoltato, come intervenire in prima persona. Tuttavia, nelle parole dei discepoli è sottesa la domanda: perché non fai niente?

Replicando ai discepoli, Gesù parla delle pecore perdute della casa d’Israele e, successivamente, rivolgendo finalmente la parola alla donna, accenna ai figli, ai cagnolini e al pane dei figli. Il dire di Gesù è allusivo e il suo linguaggio più che dare risposte offre spunti per delle domande da rivolgere a sé stessi. I discepoli si riconoscono gregge di quel pastore che è venuto a radunare le pecore disperse? Anche noi sperimentiamo lo smarrimento davanti alle prove della vita. Le contrarietà ci destabilizzano e preferiamo allontanarci da Dio e chiuderci in una sorta d’isolamento volontario piuttosto che chiedere aiuto. Le crisi mettono in luce le fondamenta sulle quali basiamo le relazioni di fiducia. Quanto più siamo autoreferenziali tanto più le delusioni e i traumi, piccoli o grandi della vita, scavano dentro di noi fossati e anfratti nei quali ci rifugiamo. In questo deserto di solitudine, insoddisfazione e tristezza, vaghiamo alla ricerca di surrogati di felicità, esploriamo sentieri per trovare individui accondiscendenti che assecondino le nostre utopie, piuttosto che persone alle quali chiedere umilmente aiuto e con le quali farsi compagni di strada per ritornare a casa. Il nostro cammino di fede è guidato dalla voce del Pastore? Siamo più propensi a fare branco attorno a falsi pastori che ingenerano paura e diffidenze o a formare insieme con gli altri fratelli e sorelle nella fede l’unico gregge di Cristo?

Mentre riflettiamo ci raggiunge la donna che si prostra davanti a Gesù invocando il suo aiuto. Lei, essendo straniera, non è membro del popolo d’Israele al quale Dio aveva promesso il Messia. Finalmente Gesù rivolge la parola alla donna. Anche a lei parla della casa con immagini che evocano una famiglia seduta attorno alla mensa per condividere il pane. La nostra memoria va al luogo nel quale Gesù, dopo aver fatto sedere la folla, prende i pani e i pesci, li benedice e li dà ai discepoli perché tutti possano mangiare. Il pane rimasto non viene gettato, ma raccolto. Questa è la casa di preghiera per tutti i popoli, di cui parla Isaia nella prima lettura, e verso la quale Dio stesso, come il buon pastore, conduce e raduna. Nella casa di Dio, non ci sono solo i figli, quelli che seguono Gesù, si nutrono della sua parola e che comunque si smarriscono, ma ci sono anche i cagnolini che attendono le briciole che cadono dalla mano dei loro padroni. C’è un diverso grado di appartenenza a Dio e alla Chiesa, ma tutti amati nello stesso modo. Infatti, sembra replicare la Cananea, la mia sofferenza non è uguale a quella delle altre donne Israelite, non sono forse madre come lo è una donna del popolo eletto? Le parole della donna straniera riecheggiano nella preghiera che eleviamo dopo il Padre nostro quando diciamo: «Non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa». La fede è grande quanto il desiderio e la speranza di essere salvati da Dio. Pietro nella poca fede dubita e affonda, la Cananea con la sua grande fede spera, perché, al contrario di Pietro, ella non è concentrata e centrata su di sé, ma è tutta protesa verso Dio come un cagnolino in attesa di ricevere le briciole dal suo padrone.

La donna, esempio per i discepoli di umiltà e coraggio, non si arrende davanti al silenzio ma sceglie di perseverare nella preghiera superando ogni ostacolo. La consapevolezza della sua piccolezza e indegnità non si trasforma in complesso d’inferiorità o di colpa disperato. La fede umile di questa donna straniera ci invita a riconoscere che la bontà misericordiosa di Dio non è un privilegio riservato a pochi eletti, ma è una promessa universale per la cui realizzazione i «figli» sono chiamati ad essere missionari facilitatori.

Noi, discepoli di Cristo, davanti al grido dei poveri, che non si differenziano per colore della pelle, fede che professano, censo, convincimenti politici, non possiamo limitarci ad essere portavoce o lamentatori seriali, delegando poi ad altri il lavoro. Partecipando alla mensa eucaristica, nella quale riceviamo il pane dei figli, non dobbiamo ritenerci beati perché siamo sazi e non ci manca nulla, ma abbassiamo il nostro sguardo anche verso i «cagnolini», cioè verso coloro che vivono una condizione di marginalità, a causa loro o per colpa altrui, ma che sono abitati dall’intima speranza che qualcuno accorgendosi di loro, dia da mangiare.

Troppo presi dai nostri bisogni non ci accorgiamo che essi appartengono anche a chi è nascosto agli occhi degli uomini, ma non a quelli di Dio. Da qui si rinnova l’invito missionario: «Date loro voi stessi da mangiare». La fede diventa grande non solo se è sostenuta dalla speranza in Dio ma anche se è alimentata dalla carità fraterna. Il silenzio di Dio è lo spazio nel quale Egli ci risponde attraverso la comunione fraterna.

Meditatio

Dio si commuove per la fede dei piccoli

Dialogando con i discepoli, dopo lo scontro avuto con le autorità giudaiche, Gesù spiega il senso della parabola con la quale chiarisce che l’uomo diventa impuro non per quello che gli entra dalla bocca ma per il male che viene dal cuore ed esce dalla sua bocca. Ciò che si mangia non può inquinare il cuore ma da un cuore malato di peccato esce un veleno capace di corrompere ogni relazione. C’è infatti un rapporto stretto tra la bocca, da cui escono le parole e il cuore, che è la sede dei desideri e dei progetti. Isaia aveva stigmatizzato il culto falso di chi onora Dio con la bocca ma non lo desidera col cuore. C’è una preghiera falsa e inutile, quella che non nasce dal cuore aperto all’ascolto della Parola, e c’è una preghiera vera ed efficace attraverso la quale si esprime il profondo anelito di salvezza. Gli ipocriti pregano convinti di salvarsi da soli con le proprie opere meritorie, mentre chi crede veramente riconosce con umiltà la propria piccolezza e si affida unicamente alla bontà misericordiosa del Signore.

Gli apostoli avevano da poco fatto l’esperienza sconvolgente nella quale Gesù si era manifestato come Dio camminando sulle acque. Il vero senso della manifestazione non risiede nella potenza di dominare le forze della natura ma di venire incontro all’uomo incapace da solo di fronteggiare le resistenze della vita. Il tratto che contraddistingue il Dio di Gesù è il suo farsi prossimo. Questo avviene prima in un contesto di incomprensione e poi come risposta immediata alla supplica di Pietro. In entrambi si rivela il cuore di Gesù spinto dall’amore gratuito. Di contro le parole di Pietro fanno emergere la sua poca fede. La preghiera di Pietro nasce dalla paura di morire ma la paura è alimentata dalla poca fede dell’apostolo. In questo scenario si staglia la figura della Cananea che sembra ingaggiare una lotta con Gesù. Ella, infatti si trova di fronte un Gesù silenzioso, che non le rivolge neanche una parola.  Sembra un’altra persona rispetto all’esperienza fatta sul lago. Lì Gesù va verso gli apostoli, qui invece sembra scappare dalla donna. Gli apostoli stessi non comprendono l’atteggiamento del Maestro. Il bisogno crea delle attese che non coincidono con le intenzioni degli altri. Così non c’è perfetta aderenza tra la volontà di Dio e il bisogno dell’uomo come non c’è simmetria tra la grazia divina e i meriti umani. Gesù era intervenuto prontamente al grido di aiuto di Pietro e gli apostoli assistendo alla scena lo avevano riconosciuto come Figlio di Dio. Nel caso della Cananea invece l’esaudimento non è immediato. La donna persevera nella preghiera lottando con la fede contro il silenzio e la distanza di Dio. Ella non solo segue Gesù ma gli si prostra davanti umiliandosi di fronte a lui. La preghiera perseverante, che spera contro ogni speranza, giunge ad un faccia a faccia in cui la disparità e l’asimmetria dei soggetti viene riconosciuta dalla donna e con esse sia la grandezza della misericordia di Gesù sia la sua piccolezza. Pietro viene rimproverato a causa della sua poca fede mentre la Cananea viene lodata per la sua grande fede perché è la fede dei piccoli, capace di una preghiera che supera le nubi e commuove il cuore di Dio.

Oratio

Signore Gesù, Tu che sulla croce hai vissuto il dramma del silenzio di Dio e scendendo agli inferi hai sperimentato la sofferenza dell’assenza di Dio, sostieni la mia fede quando non trovano risposta le mie suppliche e la desolazione soffia forte sulla debole fiamma della speranza. Maestro della fede, educami al dialogo orante mosso non dalla paura ma dal desiderio di essere salvato. Fa che la mia preghiera si unisca a quella dei miei fratelli e sorelle che invocano da Dio con umiltà e fiducia il dono della pace. Donami la pazienza d’imparare dal silenzio l’arte del parlare perché dal mio cuore, purificato dalla tua Parola, possano germogliare propositi di bene e parole buone che servono per la necessaria edificazione della comunione fraterna.