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VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Dal libro del Siràcide Sir 15,16-21

A nessuno ha comandato di essere empio.

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;

se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.

Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:

là dove vuoi tendi la tua mano.

Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:

a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.

Grande infatti è la sapienza del Signore;

forte e potente, egli vede ogni cosa.

I suoi occhi sono su coloro che lo temono,

egli conosce ogni opera degli uomini.

A nessuno ha comandato di essere empio

e a nessuno ha dato il permesso di peccare.

Dio non impone la sua alleanza, ma la propone suggerendoci di camminare con Lui sulla via che porta alla vita. Egli ci ha fatti liberi. La libertà dell’uomo non consiste nel fare ciò che vuole o avere tutto ciò che il suo cuore desidera, ma nel camminare insieme a Dio per costruire insieme un futuro felice. Avere fiducia in Dio significa lasciarsi prendere per mano da Colui che mi conosce meglio di me stesso. Egli sa i miei limiti e le mie potenzialità, ciò che mi fa male e quello che mi fa bene. A tutti è data la possibilità di fare il bene a nessuno il permesso di operare il male, perché non c’è vera libertà quando si pecca. Il peccato non è permesso da Dio ma tollerato affinché da esso l’uomo impari a percorrere l’unica via della salvezza che è la carità fraterna.

Salmo responsoriale (Sal 118)

Beato chi cammina nella legge del Signore.

Beato chi è integro nella sua via

e cammina nella legge del Signore.

Beato chi custodisce i suoi insegnamenti

e lo cerca con tutto il cuore.

Tu hai promulgato i tuoi precetti

perché siano osservati interamente.

Siano stabili le mie vie

nel custodire i tuoi decreti.

Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,

osserverò la tua parola.

Aprimi gli occhi perché io consideri

le meraviglie della tua legge.

Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti

e la custodirò sino alla fine.

Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge

e la osservi con tutto il cuore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 2,6-10

Dio ha stabilito una sapienza prima dei secoli per la nostra gloria.

Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.

Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.

Ma, come sta scritto:

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,

né mai entrarono in cuore di uomo,

Dio le ha preparate per coloro che lo amano».

Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.

La sapienza di Dio è il suo progetto di allargare i confini della Sua famiglia all’uomo per fare casa insieme a lui. È il sì di Dio all’uomo che ama fino al punto di donare tutto sé stesso a lui affinché egli gli appartenga come figlio. La sapienza di Dio è il grande mistero dell’amore che mira a fare dell’uomo non un suddito sottomesso alla legge ma un partner col quale condividere la vita. Lo Spirito Santo è il nostro maestro interiore che scrive la legge dell’amore e della vera libertà nel cuore degli uomini.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 5,17-37

Così fu detto agli antichi; ma io vi dico.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!

Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.

Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.

Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Lectio

Dopo le beatitudini e le immagini del «sale» e della «luce», per indicare l’identità e il ruolo dei discepoli, Gesù passa a trattare del rapporto tra lui e la Torà. All’enunciazione di alcuni principi generali (5,17-20) seguono sei casi esplicativi nei quali il Maestro offre un’interpretazione e attualizzazione di altrettanti precetti della Legge (5, 21-48). Nel brano evangelico della sesta domenica del tempo ordinario (5, 17-37) si legge la prima parte di questa sezione, ovvero l’introduzione (vv. 17-20), nella quale Gesù chiarisce il suo rapporto con la Torà, a cui segue la sua lettura ermeneutica di tre precetti che cita direttamente dell’Antico Testamento.

Innanzitutto, Gesù fuga i dubbi che potrebbero sorgere in chi pensa che egli è il nuovo Mosè, portatore di un’altra Legge, e mediatore di una nuova alleanza. In realtà, non si pone in contrapposizione o in alternativa con la tradizione mosaica e, ancora meno, con l’autorità di coloro che ne continuano la missione, perché il Maestro si colloca nel solco della storia d’Israele, come era già stato enunciato nella genealogia e nel dialogo con il Battista. Egli si mette a servizio della Parola perché si compia la volontà di Dio nella vita del credente. Le beatitudini hanno chiarito che la volontà di Dio coincide nell’essere beati praticando la giustizia. L’uomo Gesù, coinvolgendosi pienamente nel mondo, come il sale, esponendosi, come la città sul monte, e predicando il vangelo con le opere, come lucerna posta sul candelabro, mostra in che modo compiere l’«Insegnamento di Dio» (la Torà) e praticare la giustizia. Il discepolo non si fa da sé, semplicemente rispettando le “istruzioni”. Infondo, la giustizia dei farisei e degli scribi, proprio perché rimaneva nell’ambito del proprio benessere, doveva essere superata per non cedere alla tentazione di sostituirsi a Dio e di separarsi dagli altri. Dietro la paura della “contaminazione” c’è la presunzione narcisistica di voler essere gli unici. Ma, come dice Dio, «non è bene che l’uomo sia solo». La giustizia, dunque, non consiste nel raggiungere la perfezione in maniera individuale come il vincitore di una gara che quello che arriva per primo al traguardo. Per i discepoli di Gesù la perfezione consiste nell’imitare il Maestro che si presenta come modello di uomo giusto perché cammina sulla via dei comandamenti per compiere la volontà di Dio. La categoria del Regno dei Cieli intende mettere in rilievo la dimensione comunitaria della propria vita credente. L’insegnamento di Gesù non è nuovo ma, se praticato, rende creature nuove perché parte integrante del Regno dei Cieli, la comunità dei giusti, il nuovo popolo di Dio che è la Chiesa. La fraternità, in quanto la forma più piena della giustizia, diventa il criterio di discernimento e di verifica della propria vita di fede. Mettere in pratica la legge non è il fine ma il mezzo attraverso cui raggiungere lo scopo di appartenere alla comunità, tessendo attivamente relazioni di fraternità e avendo attenzione soprattutto ai più piccoli. L’interpretazione della Torà non può seguire tendenze rigoriste o lassiste, diventando anche terreno di scontro e di divisione.  Al contrario, deve aiutare a tenere fisso lo sguardo sulla volontà di Dio, che non cambia, e al tempo stesso bisogna considerare il contesto umano, che invece è in continuo cambiamento. La Parola di Dio è data all’uomo perché gli sia di guida e di accompagnamento nell’attuare il cambiamento interiore necessario per conformarsi a Cristo e realizzare la vera giustizia insieme ai fratelli.

A dispetto dell’apparente rigore con il quale Gesù voglia che sia applicata la Legge, della quale non bisogna trasgredire nemmeno il più piccolo precetto, le sue ammonizioni mettono in guardia dall’addomesticare la Parola concedendo “permessi” (letteralmente il verbo «sciogliere» o «lasciar andare», che è tradotto con trasgredire, in Mt 16, è associato a quello di «legare» per indicare l’autorità di «impedire» o «permettere») che alimentano la durezza del cuore invece di purificarlo.

La casistica che viene presentata ha valore esplicativo dei principi esposti nelle battute precedenti. Non bisogna dimenticare che l’insegnamento è rivolto ai discepoli che vivono sulla loro pelle la sofferenza per ingiustizie subite anche nell’ambito della comunità di appartenenza. Sullo sfondo del discorso dovremmo immaginare un tribunale nel quale è facile passare dalla posizione d’imputato a quello di giudice. Gesù rivela che nel cuore della Legge c’è l’intenzione di Dio di farci santi accogliendoci nel Suo regno, facendoci parte della sua comunità, membri della sua famiglia. Tale intenzionalità deve anche ispirare la pratica della giustizia. La fraternità, affinché sia un dono da accogliere in pienezza alla fine del tempo, deve essere un bene da custodire e proteggere oggi e qui. L’insegnamento di Gesù ha lo stesso valore di quello degli scribi e farisei con la differenza che il primo intende proteggere ed accrescere la fraternità, mentre i secondi sono più attenti a difendere l’integrità formale della Legge. Da qui nasce anche l’attenzione puntigliosa alla forma da parte degli scribi e dei farisei a cui il discepolo di Cristo deve preferire il rispetto e la cura della persona. La fredda e meccanica esecuzione della norma spersonalizza mentre, vivere i comandamenti con gli stessi sentimenti di Gesù porta a riconoscersi fratelli, tutti peccatori e bisognosi di perdono reciproco, ma anche insieme chiamati alla santità.

I divieti di omicidio, di adulterio e di falsa testimonianza sono tre precetti della seconda parte dei comandamenti in cui si declinano i doveri nei confronti del prossimo. Per ciascuno di essi l’insegnamento di Gesù ne intensifica il significato pratico ampliando l’ambito della propria vita al quale applicare il precetto.

Il comandamento di non uccidere è circoscritto da Gesù al fratricidio che è il primo omicidio narrato nella bibbia. Infatti, il crimine del fratricidio avviene non solo in maniera cruenta ma anche incruenta quando si esprimono giudizi taglienti contro un altro fratello privandolo della dignità. Non si tratta semplicemente di insulti ma di accuse che “inchiodano” la vittima al punto da essere emarginato dalla comunità e considerato morto. A Dio sta a cuore la vita di ogni uomo anche se peccatore. Egli non gode della morte del peccatore ma desidera che si converta e viva. Se il giudizio di condanna fa morire, la riconciliazione invece è un’opportunità di vita. L’interlocutore di Gesù è il discepolo che conosce la legge e la mette in pratica, soprattutto i precetti cultuali. Infatti, il destinatario dell’insegnamento del Maestro è una persona che frequenta il tempio presso cui si reca portando la sua offerta. Affinché essa sia ben accetta il cuore dell’offerente deve essere libero dal risentimento e dal giudizio contro il fratello che lo ha offeso. Questa purificazione avviene attraverso un cammino di riconciliazione fatto insieme al fratello. Il dono gradito a Dio è l’intenzione della riconciliazione. In tal modo il discepolo adempie la legge. Il precetto del non uccidere si compie allorquando l’uomo si astiene dall’uso violento della giustizia. Tuttavia, tale pratica si realizza nella misura in cui nel cuore si coltiva il desiderio della fraternità e la si si traduce in strategia di riconciliazione. Si tratta di fare insieme al fratello, che è in debito, un comune cammino di conversione e di purificazione.

Il secondo caso preso in considerazione è il divieto di commettere adulterio. In una società maschilista che fa ricadere sulla donna la colpa dei peccati sessuali, Gesù si rivolge innanzitutto agli uomini perché, prima che essere capi delle loro mogli, devono essere padroni di sé stessi purificando il proprio cuore dalla tendenza al possesso e imparando a educarlo per indirizzare il desiderio di amare verso propria moglie. Il guardare la donna con desiderio esprime l’intenzione del cuore di possederla come se fosse un oggetto. L’occhio che guarda con desiderio cade nell’inganno della tentazione che si traduce poi in azione peccaminosa. Il primo peccato, narrato dal Libro della Genesi, collega lo sguardo della donna, che si fissa sul frutto proibito, alla mano che l’afferra per mangiarne. Da qui l’invito di Gesù a non coltivare pensieri e abitudini che alimentano lo stile utilitaristico e opportunistico delle relazioni. La fedeltà matrimoniale si rafforza nella misura in cui si rinuncia al proprio egoismo che influenza pensieri e azioni negativi. In questo consiste la povertà di spirito per farsi arricchire dall’amore di Dio che rafforza i legami familiari. Dalla separazione da quella parte di sé che adultera l’amore, Gesù passa alla questione del divorzio strettamente connessa con l’adulterio. L’uomo che ripudia la moglie induce all’adulterio lei e colui che eventualmente la sposa. La questione del divorzio era dibattuta ma spesso ci si fermava alle condizioni per cui il ripudio era da considerarsi lecito. Gesù sembra affermare che il ripudio non è mai lecito, fatta eccezione del caso di una conclamata relazione extra coniugale, perché il divorzio diventa causa dell’adulterio in quanto il matrimonio è unico. Mi pare che all’insegnamento di Gesù sia sottesa l’idea che la relazione coniugale, quando entra in crisi, non va sbrigativamente eliminata ma pazientemente curata. Il ripudio non è una soluzione alla crisi. In questo secondo caso è ancora posta a tema la fraternità declinata nella relazione coniugale. Come per il fratello che ha commesso una colpa bisogna far prevalere la misericordia che persegue la riconciliazione, piuttosto che il giudizio che uccide, così nella relazione coniugale in crisi è necessario ristabilire l’unità partendo dalla conversione personale. In tal modo i coniugi camminano insieme sulla via che li porta a fare della propria vita un dono reciproco.

Il terzo caso tratta del giuramento e della falsa testimonianza. Il precetto citato ha lo scopo di difendere la verità e custodire la giustizia dalle manipolazioni, anche quelle ideologiche. In tribunale la testimonianza è fondamentale per stabilire la verità dei fatti in modo che il giudice possa condannare il colpevole e assolvere l’innocente. Non si è chiamati ad esprimere la propria opinione o un giudizio personale, perché non siamo il giudice, ma a narrare. La narrazione, al contrario del giudizio, aiuta ad andare al cuore del problema. In altri termini, il rischio è quello di nascondere dietro discorsi teologici verbosi la mancanza di volontà di fare una scelta radicale a favore dell’uomo in quanto tale, nostro fratello, comunque egli sia, debole o retto. Il peccatore, anche se povero, va corretto, così come deve essere aiutato a cambiare colui che vanta di avere conoscenze o che accampa argomenti a sua discolpa. Gesù invita ad assumere un atteggiamento fatto di parole essenziali e coerenti alla vita. Più che giurare, impegnando ciò che non è nostro, bisogna mettere in gioco la propria volontà affidando il proprio cuore a Dio affinché ci aiuti a colmare la distanza tra il dire e il fare. Il sì a Dio, espresso nell’amen liturgico, si traduca nel sì al fratello bisognoso di aiuto, il no al peccato deve diventare un’opposizione coraggiosa e, a volte anche cruenta, al proprio egoismo. L’amore non usa tante parole per esprimersi né si misura sulla quantità delle opere, è semplicemente nel sì alla volontà di Dio e nel no agli inganni del Maligno.

Meditatio

Il rispetto della legge rende corretti, l’interiorizzazione della Parola di Dio ci fa uomini liberi

La Parola di Dio è, per così dire, un patto di alleanza che il Signore ci propone basato sulla fiducia. Si tratta di una proposta non di una imposizione. Tuttavia, questo non significa che la Sapienza di Dio sia solo una possibilità diversa rispetto a quella «di questo mondo» e dei «dominatori di questo mondo» (II lettura); anzi le due logiche di vita sono diametralmente opposte e con conseguenze estremamente diverse. Infatti, come ricorda il Libro del Siracide: «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà». All’uomo spetta la scelta di quale via percorrere, se custodire e osservare gli insegnamenti di Dio, che riconosce come Padre, o quella degli uomini, abili a sostituirsi a Lui per gestire la libertà delle persone.

Gesù non si pone in un atteggiamento di competizione rispetto ad altri maestri, né tantomeno pretende di offrire una nuova legge. Egli, con la sua parola, ci dona lo Spirito Santo, il vero conoscitore del cuore di Dio, che permette a coloro che ascoltano il Signore e lo accolgono di sintonizzare i propri sentimenti su quelli di Dio.

Lo Spirito Santo scrive la legge di Dio nel cuore dell’uomo, cioè gli permette di interiorizzarla e non di subirla come un dovere imposto, accontentandosi di attuarla solo formalmente. È lo Spirito Santo che ci fa santi e che santifica la nostra vita rendendola «luce del mondo» e «sale della terra».

Quando la Parola di Dio penetra nel segreto della nostra coscienza, ed essa risuona, allora comprendiamo non solo quale ruolo stiamo giocando nelle relazioni, magari imposto dalle situazioni che subiamo e dalla cultura di cui ci nutriamo, ma anche quale ruolo vorremmo assumere nel gioco delle relazioni suggerito lo Spirito di Dio.

La proposta di Gesù è quella di passare dal piano del “dover non fare o dire” a quello del “voler essere”. In definitiva la domanda che guida le scelte, le azioni, le parole dell’uomo non è innanzitutto «cosa mi si dice di fare?», ma «chi voglio essere per gli altri?», «quale ruolo voglio giocare nelle relazioni?».

L’espressione «ma io vi dico» conduce lo sguardo dentro il nostro cuore per riconoscere quelle maschere pesanti che indossiamo e/o che ci hanno affibbiato.

Tra queste identità c’è quella del burbero che non sa fare altro che puntualizzare, stigmatizzare lo sbaglio altrui, che ammazza l’altro offendendolo con parole dure; c’è la maschera dell’avversario che è ossessionato dal fatto di dimostrare il proprio essere integerrimi, che non tollera che altri possano essere migliori, che in definitiva non accetta il fatto che abbia dei limiti che offuschino l’immagine del supereroe.

Desiderare e ripudiare sono le due facce di un’unica maschera che è quella di chi domina su chi sente come più debole per non accettare la sua debolezza, la sua fragilità e la sua impotenza. L’aggressività con la quale si vorrebbe possedere o gestire l’altro rivela la paura di venire allo scoperto nella propria povertà.

Non è la legge degli uomini che fa cadere le maschere, ma è la parola di Gesù che ci comunica lo Spirito Santo a guarire il cuore e a convertirlo. Nel «ma Io vi dico» c’é la forza e l’autorità di Gesù, il Figlio di Dio. La sua parola è efficace e liberatrice perché permette non solo di rispondere alla domanda «chi voglio essere per gli altri?» ma anche mette in grado di realizzare il proprio desiderio e il personale progetto di vita.

La parola di Gesù ci libera da quelle parti di noi che non ci aiutano a essere veramente un dono per gli altri. Ci sono pensieri e abitudini che ci condannano ad un’infinita frustrazione e tristezza. Gesù ci insegna a giocare anche in ruoli diversi da quelli che ci siamo abituati ad assumere perché da sempre gli altri ce l’hanno affidati con i loro giudizi.

Essere buoni, responsabili e disponibili non significa poter risolvere tutte le situazioni o essere in grado di rispondere positivamente ad ogni richiesta. Si può essere prossimi ai fratelli e ascoltare il loro bisogno senza per forza sentirsi in obbligo di intervenire per fare qualcosa che non è nelle nostre possibilità. Si può riconoscere lo sbaglio dell’altro nei nostri confronti senza necessariamente considerarlo un attentato alla nostra vita. Si può serenamente riconoscere il proprio errore senza ricoprirsi di sensi di colpa.

La parola di Gesù non è una maschera o un abito che nasconde le nostre debolezze o le nostre brutture, ma, al contrario, ci comunica la forza necessaria per liberarci da ciò che ci scherma dall’autentica relazione con Dio e con gli altri rendendoci bui e opachi.

La parola di Gesù ha valore normativo perché fornisce i criteri per fare discernimento e scegliere la via che porta alla vita. Dio chiede di fidarci di Lui anche quando le indicazioni che ci dà sembrano essere superiori alle nostre forze e irrealizzabili.

La parola di Gesù ci fa scoprire ogni giorno di essere amati non per i nostri meriti, ma per una scelta di Dio libera, consapevole e gioiosa. La parola di Gesù non ci carica di pesi, non alimenta scrupoli e sensi di colpa, ma donandoci lo Spirito Santo, ci incoraggia e infonde speranza, affinché, facendo cadere le maschere e mettendo da parte copioni scritti da altri, possiamo veramente essere liberi di scegliere come amare ed essere un dono per gli altri.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!

Oratio

Signore Gesù, nato da donna, nato sotto la legge, Tu che ti sei fatto obbediente al Padre fino alla morte di croce, apri la mia mente e il mio cuore perché possa comprendere a quale altissima vocazione mi chiama Dio e possa aderirvi con uno spirito pienamente libero e gioioso. Alla scuola del Vangelo introducimi nel segreto della sapienza del Padre e con l’assistenza dello Spirito donami l’intelligenza necessaria per riconoscere l’amore di Dio che, come una scia profumata, si poggia delicatamente su ogni creatura. Rendimi ogni giorno tuo discepolo fedele al quale offrire l’insegnamento più importante della vita, l’arte di amare.

Signore Gesù, Tu che sei morto per i nostri peccati e hai pagato il caro prezzo del martirio per riconciliarci al Padre, metti nel mio cuore il desiderio della pace e della comunione. La tua preghiera sulla croce con la quale hai invocato per tutti il perdono mi insegni a rivolgermi al Padre offrendogli l’amarezza dell’animo, i turbamenti del cuore, i dubbi della fede, gli scoraggiamenti per i sogni infranti, la rabbia per le ingiustizie subite. Aiutami a cercarti quando credo di non aver bisogno di Te, a desiderarti quando ogni sogno sembra essere una illusione, a trovarti quando mi sento perso.

Signore Gesù, Tu che hai promesso la felicità piena ed eterna ai poveri in Spirito e la consolazione agli afflitti, insegnaci l’arte del perdere. Donaci la libertà del cuore affinché i nostri occhi, resi limpidi dalla tua Parola, possano contemplare la bellezza del creato e riconoscere l’inalienabile dignità di ogni persona. Lo Spirito Santo suggerisca pensieri puri da tradurre in gesti di umanità e misericordia. Apri la nostra mente a scoprire i tesori della Sapienza divina a cui attingere a piene mani in modo che accogliamo con gratitudine tutto come un dono della Tua benevolenza e diveniamo capaci di offrire con generosità quanto gratuitamente abbiamo ricevuto.

Non sono più un bambino

Non lo dico io, ma Tu Padre mio,

mi ricordi che mi hai fatto

per essere adulto,

per essere libero,

per scegliere come vivere

e per chi vivere.

Non sono più un bambino

per fare solo

quello che mi viene detto

o solo ciò che mi piace;

non sono nato per accontentare gli altri

e neanche Te, o Dio,

ma per essere felice

realizzando il mio progetto di vita.

Tu Signore,

mi metti davanti

un foglio bianco e una matita.

Ciò che creerò lo porto nel cuore:

è la speranza che disegna

realtà nuove e inedite.

Quello che la fiducia mi fa sognare,

la Carità me lo fa realizzare.

Non sono più un bambino,

non ti chiedo cosa fare,

ma ti supplico:

dammi la tua mano;

la mia, stretta alla tua,

avrà la forza di strappare la maschera

dietro cui nascondo

il viso solcato dalle lacrime

della mia povertà.

Non sono più un bambino

a cui dire: devi…,

ma un figlio a cui ti rivolgi con rispetto:

se vuoi …

Nella tua parola mi vedo adulto

Perché amato

non per i miei meriti

ma per il mio bisogno.

Nei tuoi occhi di Padre

vedo il mio viso di adulto

a cui non fa paura la mancanza

non teme la povertà,

non atterrisce la solitudine,

perché il vuoto è colmato

dal desiderio di amare,

il limite è accettato

come punto di partenza,

e l’intimità è cercata

come il bene più prezioso.

Non sono più un bambino,

ma ho bisogno del tuo Amore

come un bambino!