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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ger 38,4-6.8-10   Sal 39   Eb 12,1-4 

 

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 12,49-53

Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Lectio divina

Nei vv. 49-50, usando l’immagine del fuoco e del battesimo, Gesù anticipa il senso della sua Pasqua. Dalle sue parole traspare la drammaticità dell’evento con la sua carica di sofferenza. Il v. 51, in posizione centrale nella pericope, è una domanda retorica che rivela la distanza tra le attese dei discepoli e la volontà di Dio. L’avvento del Regno di Dio avviene non nel trionfo del benessere ma nel dramma della morte. I vv. 52-53 sottolineano con linguaggio dal sapore profetico la crisi che attraversa le famiglie mettendo in discussione i legami di appartenenza ritenuti sacri e intangibili.

La prima lettura tratta dal libro di Geremia ci offre una buona chiave di lettura dell’insegnamento di Gesù. Geremia, come tutti i veri profeti, è rifiutato innanzitutto dai capi che avrebbero dovuto incarnare la cura amorevole di Dio. Essi, invece, hanno preferito prendersi cura dei loro interessi economici. Perciò la loro politica non è ispirata dalla Parola di Dio ma alla pace intesa come benessere economico per raggiungere il quale sono disposti anche a manipolare Dio. Geremia è per loro scomodo in quanto rappresenta una voce fuori dal coro di quei profeti che invece sono al soldo dei capi. Il profeta viene accusato davanti al Re di scoraggiare coloro che stavano resistendo con le armi all’assedio dei Babilonesi. Per bocca di Geremia Dio aveva indicato nella resa all’invasore la via della salvezza. Questo messaggio risultava un oltraggio per chi ragionava secondo la logica mondana per la quale la guerra è l’unico strumento per far valere le proprie ragioni che, per giunta, erano difese chiamando in causa la fede. Geremia denuncia il peccato d’idolatria che consiste nel manipolare la parola di Dio mascherando come volontà divina le proprie intenzioni utilitaristiche. Per questo motivo Dio preannuncia, mediante il profeta, la distruzione del Tempio, diventato ormai un feticcio religioso per tenere ancora in vita la falsa religiosità sostenuta da capi corruttori e da profeti e sacerdoti corrotti. Geremia viene condannato a morte e gettato nella cisterna, dove sarebbe morto di stenti se non fosse intervenuto un uomo ad aprire gli occhi al re. Il profeta viene maltrattato perché la sua parola è scomoda e contraddice le aspettative alimentate dal ragionamento mondano in netta contrapposizione con il pensiero di Dio ritenuto assurdo. Il profeta esprime i sentimenti che albergano nel suo cuore in una drammatica preghiera di lamentazione: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: “Violenza! Oppressione!”. Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7-9). Da queste parole di Geremia comprendiamo anche il senso dell’immagine del fuoco usata da Gesù che chiaramente indica la Parola di Dio. Come il profeta anche Gesù sente la Parola di Dio ardere dentro di sé. Quale profeta di Dio, viene a portare nel mondo questa Parola che avrebbe voluto fosse già accolta infiammando il cuore dei discepoli. S. Paolo parla della Parola della Croce la cui potenza distrugge la falsa sapienza e l’intelligenza di chi si crede sapiente e intelligente (1 Cor 1, 17s.). La missione di Gesù è portare dal cielo sulla terra il fuoco della Parola di Dio mettendo in crisi il potere mondano fondato sull’egoismo. L’immagine del battesimo, in parallelo a quello del fuoco da gettare sulla terra, esplicita il senso della volontà divina, espressa dal verbo dovere, e la missione messianica di Gesù. Egli non è venuto per scalare le vette della gloria umana ma per raggiungere il fondo nel quale è caduto l’uomo, sia il giusto per la sua fedeltà a Dio, come Geremia, sia l’ingiusto a causa del suo peccato. La consapevolezza di essere a servizio di Dio non toglie nulla alla sofferenza fisica e psicologica patita. Dio non si erge a giudice ma si piega per risollevare dal baratro l’uomo immerso nel fango del peccato. Così prega l’orante nel salmo 39: «Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi».

La pagina della Lettera agli Ebrei che leggiamo come seconda lettura, facendo eco alle parole di Gesù, esorta i discepoli a non lasciarsi ingannare dalla tentazione che, da una parte lusinga con l’illusione della ricchezza mondana, e dall’altra tende a scoraggiare con l’arma della sofferenza. La Parola della Croce è stata annunciata da Gesù con una scelta radicale a favore del Padre e contro ogni ragionamento che invece l’avrebbe portato lontano da Lui. Davanti alla croce ha scelto di confermare il suo amore fiducioso al Padre e di respingere le lusinghe demoniache di usare il proprio potere per affermare sé stesso. La via della croce, sebbene sia quella più difficile e dolorosa perché richiede tante rinunce, è l’unica via della salvezza. Solo attraverso il sacrificio della propria vita Gesù avrebbe potuto salvare ogni uomo. L’immagine del fuoco richiama l’olocausto che tra i sacrifici è quello più alto perché mediante la sua offerta il dono diventa totale e permanente. Tale è l’amore di Dio, gratuito, fedele, eterno e generativo.

Gesù, crocifisso risorto, – ricorda la Lettera agli Ebrei – è l’origine ma anche colui che fa crescere la nostra fede fino al suo compimento, ovvero la piena conformazione a Lui. La fede, che ha sostenuto il cammino di santità di tanti uomini e donne, è il dono che nasce dalla Pasqua e che riceviamo col battesimo immersi nel fuoco dello Spirito Santo.

Gesù esorta i discepoli a non temere quando mancano i beni effettivi e a perseverare nella fede anche quando vengono meno quelli affettivi. In una società nella quale i legami parentali erano molto forti e il senso dell’appartenenza era sentito il colpo inferto alla struttura tradizionale delle relazioni familiari era difficile da sostenere senza una fede robusta. La crisi si sposta dai palazzi, con i loro intrighi, alla casa che dovrebbe essere il luogo dove trovare pace e sicurezza ma nella quale invece si palesa il dramma della divisione ferendo il mondo degli affetti. L’amore di Dio è come fuoco che separa e costringe a fare una scelta di campo, chiara e netta, come ha fatto Gesù davanti alla croce. La tentazione alimenta la paura di perdere, la fede invece rassicura sul fatto che seguire Gesù sulla via della Croce conduce alla vera pace, alla riconciliazione e alla comunione con i fratelli, anche quelli che il peccato separa contrapponendoli l’uno contro l’altro. Dio non assicura l’assenza di turbamento ma la sua assistenza nell’ora della prova. Perciò quella di Gesù ai discepoli non è un avvertimento che getta nello scoraggiamento ma l’invito a resistere nella crisi non fissandosi sulla «croce» con suoi pericoli ma fissando lo sguardo su di lui, il Crocifisso, Colui che ha fatto della Croce uno strumento di salvezza e di pace.

La fede, una scelta di vita scomoda

Non sono solo i fattori esterni, economici, politici o sociali, a mettere in crisi ma soprattutto le scelte di vita, prima fra tutte quella di fede. Essa è messa alla prova quando è chiamato in causa il rapporto sia con i beni materiali sia con quelli affettivi. Dio, sembra dirci Gesù, non è solo un Padre-Pastore provvidente che ci soccorre nei nostri bisogni materiali ma è soprattutto Colui che ci salva per renderci operatori di pace e ministri della comunione. La salvezza non consiste nel raggiungere la vetta del benessere ma nell’essere sottratti al potere della morte. L’attaccamento al denaro rende ciechi davanti al pericolo di cadere nel baratro del peccato e induce a sfidare la vita con fare temerario e arrogante. L’idea di pace e comunione che comunemente hanno gli uomini è caratterizzata da un forte senso utilitaristico che giunge a strumentalizzare persino i legami affettivi. La prova rivela la consistenza della nostra fede e delle relazioni personali. Quando le cose vanno secondo le nostre aspettative ci sentiamo rassicurati perché le attese sono confermate. Il problema nasce quando queste vengono contraddette. La pace che Gesù ci lascia non ha nulla a che fare con quella attesa dagli uomini ridotta a benessere edonistico che giustifica i vari tipi di manipolazione. La parabola del ricco stolto che, sazio e pieno di ricchezze materiali pregusta il meritato riposo, bene esprime la speranza di beatitudine e di pace che nutrono gli uomini. La pace che Gesù è venuto a portare non assicura calma e tranquillità ma scomoda e provoca a mettersi sempre in discussione per purificare la fede dalle incrostazioni idolatriche e sanare le ferite degli amori malati. L’esperienza drammatica di Gesù, che non resiste ai suoi uccisori ma si consegna liberamente nelle loro mani, rivela che Dio ama l’uomo di un amore libero e in questo modo gli offre la salvezza e lo educa al vero amore. Egli non si lascia manipolare ma si piega per farsi ultimo con gli ultimi. Pur essendo prossimo e a portata di mano, non si lascia tenere in pugno. La forza dell’amore di Dio risiede nella sua mitezza con la quale esercita la giustizia. Il battesimo a cui allude Gesù è l’atto mediante il quale, come agnello mansueto davanti ai suoi uccisori, si lascia spogliare persino della sua dignità. In questo modo mostra che l’amore di Dio è fedele al punto di non fuggire o ribellarsi davanti al destino di morte deciso dagli uomini, ma di rimanere con essi in silenzio fino alla fine. Il silenzio di Dio, lungi dall’essere un ritiro sdegnato, è il modo che sceglie per continuare a starci vicino e accompagnarci nel nostro cammino nel quale bisogna toccare il fondo per poter risalire. Non è facile accorgersi della presenza di Dio perché il suo silenzio nel tempo della prova lo interpretiamo come assenza. Invece Egli è lì, accanto a noi, che attende e aspetta che finalmente facciamo la scelta di lasciare la presa per lasciarci amare, perdonare e guarire. Sul fondo delle macerie del nostro orgoglio e delle false speranze rimane un’ultima possibilità di fare la scelta più importante della vita. Lì la luce della fede ci rivela che l’unico che rimane con noi nel fallimento è il Signore ed è solo insieme a Lui che si può ripartire.

L’amore di Dio è un fuoco incontenibile che trasforma ciò che possiede. Il fuoco dell’amore di Dio da una parte divide e dall’altra fonde. È un fuoco che purifica perché separa la verità dalla menzogna, il bene dal male, la carità dall’amor proprio, il servizio dalla prestazione, la fede dalla superstizione, la speranza dall’illusione. È fuoco che fonde fede e vita, giustizia e misericordia, mitezza e forza, debolezza e potere, libertà e servizio, morte e vita, peccato e perdono. La pace non annulla le differenze ma le armonizza trasformando i giochi di forza, che scadono nello scontro, in dinamiche di confronto che educano all’incontro.

Signore Gesù, nella notte del pericolo, quando le acque melmose dei giudizi affrettati, delle calunnie, delle insidie, dei giochi di potere sembrano sovrastarmi fino al punto di sommergermi, possa ardere dentro di me il fuoco dello Spirito, che purifichi il mio cuore dalla rabbia e dalla paura, dalla voglia di vendetta e dal morso della ritorsione. Donami la mitezza per combattere l’arroganza con la mansuetudine, l’ingiustizia con la misericordia, la tristezza con la speranza. Il fuoco della tua Parola, come fiammella che arde nelle tenebre del terrore, riaccenda la fede che mi fa sentire la tua presenza, ravvivi la speranza che mi fa intravedere una via di bene su cui proseguire, rianimi la carità che rigenera creativamente la mia offerta a Dio e il servizio ai miei fratelli. Rendimi profeta della tua pace, non falso banditore di un dio di comodo, ma testimone del tuo amore che inquieta i sonni degli accidiosi e disperde come fumo le vane ambizioni dei superbi. Concedimi una fede coraggiosa che non si arrenda davanti alle delusioni e agli scherni ma faccia della solitudine l’occasione per rimanere silenziosamente aggrappato a Te e accanto ad ogni uomo, soprattutto a chi è ancora refrattario a lasciarsi amare.