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Pisticci 23 gennaio 2022

È difficile prendere la Parola, se pur in un contesto di preghiera e di celebrazione della S. Messa, malgrado non sia la prima volta che vivo momenti di inaudita sofferenza come questo.

Davanti a queste tre bare contenenti le spoglie mortali di Lucio, Simone e Luciano, giovani che stavano aprendosi alla vita, qualsiasi cosa io dica, pensando a voi genitori, familiari, amici tutti, mi sembra inadeguato.

Carissimi, come pastore, tuttavia, devo darvi una parola che non è mia ma di Dio ed è proprio quella che abbiamo appena ascoltato, in questa domenica che la Chiesa celebra come “La Domenica della Parola”. Siamo qui per cercare di dare un senso a tutto ciò che, umanamente parlando, un senso non ce l’ha. C’è solo silenzio, morte e dolore. Silenzio che avvolge quest’assemblea, silenzio nel quale improvvisamente sono piombate le comunità di Pisticci e Craco: ogni famiglia sente questi vostri figli, cari genitori, come loro. Vi assicuro che l’intera comunità diocesana di Matera-Irsina, incominciando dai sacerdoti, è stretta spiritualmente a noi in questo momento. Oggi soprattutto sperimentiamo quanto S. Paolo ci ha detto: “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui”.

Siamo qui come cercatori di verità per avere delle risposte ai tanti interrogativi che ingombrano la nostra mente.  

Perché?

Quante cose accadono e poi improvvisamente tutto finisce! Gioie, fortune, passioni… tutto finisce e improvvisamente ci troviamo come abitatori nel deserto della vita senza acqua per dissetarci perché privati dei sentimenti e della bellezza dell’essere uomini di una stessa umanità.

Ma un altro interrogativo si presenta prepotentemente e forse anche in modo ossessivo: dov’era Dio in quel momento e perché ha permesso un così grande dolore? Questi sono i momenti in cui si sperimenta l’inutilità delle cose, ci si sente traditi dalla vita, quindi anche da Dio.

Dunque una vita inutile, senza speranza e senza prospettive?

Nel Vangelo abbiamo ascoltato che Gesù entra nella sinagoga e gli occhi di tutti erano fissi su di lui. A Nazaret, come oggi a Pisticci, da parte di voi tutti c’è grande attesa. Gesù legge Isaia dove si parla dell’umanità povera, oppressa, addolorata, diremmo oggi, accasciata e accecata dal dolore.

Eppure sembra talmente fuori luogo e senza senso quanto dice Gesù: lui è il Messia che darà occhi nuovi, libertà, gioia.

È tutto così assurdo! Ma che dici Gesù?

A Nazaret i presenti aspettavano che Dio agisse secondo i loro desideri. Probabilmente anche noi vorremmo un Dio che facesse tutto ciò che noi chiediamo.

Ecco, Gesù, non capiamo cosa significa che tu sei la buona notizia. Qui non c’è nessuna buona notizia, solo tre bare contenenti tre giovani vite spezzate improvvisamente.

Ma forse ci vuoi dire che dobbiamo guardare verso un nuovo orizzonte e che Lucio, Simone e Luciano vogliono comunicarci che la vita è preziosa e che vale la pena viverla e viverla bene.

Tu ci parli, Gesù, attraverso di loro per indicarci la strada della vita in questo tempo in cui c’è un’umanità che vive come se fosse padrona della storia. Stiamo sperimentando il limite umano, la fragilità e nello stesso tempo il desiderio di contatto, di affetto, di consolazione.

C’è un’umanità senza di te, Signore, che offre l’inganno della felicità e che sfrutta la debolezza e l’ingenuità di quanti si lasciano adescare, sfruttare, vendere.

Quanto abbiamo ascoltato nella Parola è verità. Tu oggi, Gesù, ti chini sulla sofferenza di queste mamme, di questi papà, di questi familiari e amici, asciughi le loro lacrime mentre piangi insieme a loro, insieme a noi e nello stesso tempo squarci il cielo perché alzando gli occhi possiamo essere capaci di andare oltre la carne, oltre ciò che l’ingiustizia della morte ci dice.

Abbiamo bisogno di questa luce.

Carissimi, spesso nei vangeli troviamo scritto che Gesù di fronte alla morte di amici come Lazzaro, del figlio unico della vedova di Nain, prova grande commozione e compassione che significa patire insieme. Non si tratta di emozione passeggera ma di un dolore profondo.

Carissimi mamme e papà, vi colgo come la Madonna ai piedi del patibolo della croce del Figlio Gesù, siete impotenti, con una spada che trafigge l’anima. Non ci sono più parole, né lacrime, che possano consolare il vostro dolore. Solo gemiti, sospiri, occhi smarriti. Come la morte di Gesù anche quella dei vostri figli è ingiusta. C’è una frase che ripeto spesso: se le vostre lacrime cadranno per terra diventeranno fango, ma se in questo momento, sull’esempio di Maria, le saprete offrire a Dio, diventeranno perle preziose.

Come il giorno del loro Battesimo avete offerto i vostri figli al Signore portandoli in chiesa, così oggi, attraverso un parto dolorosissimo, li state offrendo a Dio per sempre. Siamo suoi: da lui veniamo, a lui ritorniamo per vivere per sempre.

Sono certo che i vostri figli, come fiori colorati e profumati recisi a questa vita, ora stanno arricchendo e abbellendo il giardino dell’eternità dove un’altra Mamma, Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, che a Pisticci veneriamo con il dolce titolo di Madonna del Casale, li ha accolti con il suo dolce sorriso.

Il mio pensiero in questo momento va a voi, carissimi giovani e amici di Lucio, Simone e Luciano. Voi piangete come Gesù per la morte dell’amico Lazzaro. Ciò che prova Gesù ed esprime attraverso le lacrime è ciò che voi provate. Non un Dio che fa morire ma che soffre con noi. Anzi, Gesù sceglie di morire per dare senso alla nostra esistenza e liberarla dalle tante schiavitù che in nome di una libertà sfrenata fanno soffrire e procurano lacerazioni.

I vostri amici vi dicono di riempire i vuoti che a volte potreste portarvi dentro, di puntare all’essenziale dell’esistenza e non a tutto ciò che è effimero, illusione, godimento che passa e stravolge l’esistenza.

Carissimi giovani, amate la vita, fatela sbocciare e mostrate tutta la bellezza che avete dentro. Lo so che probabilmente qualcuno di voi, come a S. Paolo all’areopago di Atene, mi dirà: “su questo ti sentiremo un’altra volta”. Ma io ve lo dico lo stesso: Gesù Cristo è colui che dà senso al nostro vivere e che trasforma un momento di dolore e di morte come questo in un’alba di risurrezione. Avere fede non significa non soffrire ma ricevere quella luce che ci permette di saper soffrire per vivere meglio, dando una decisa sterzata alla nostra esistenza. Per noi cristiani la morte non vince e non spegne la speranza.

Non seguite e non rimanete abbagliati dalle luci artificiali ma cercate la vera luce che brilla nelle tenebre.

Fidatevi, non sentitevi mai troppo sicuri e adulti come se poteste bastare a voi stessi: è il più grande inganno e la più grande presunzione. Ognuno di noi ha bisogno sempre dei consigli di un altro. Solo così si diventa adulti e responsabili. S. Paolo nella seconda lettura ci ha detto una grande verità: “Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno”.

Sentiamoci tutti responsabili non solo della nostra vita ma anche di quella degli altri, ognuno nel suo specifico: le istituzioni preposte a garantire sicurezza e manutenzione ordinaria delle nostre strade, la Chiesa con le famiglie e la scuola nell’aiutarci al rispetto delle regole più elementari. Che questo immenso dolore allarghi i nostri orizzonti, spesso miopi, e ci renda tutti più umani, si, più responsabili.

Sia Maria ad aiutare noi adulti affinché troviamo sempre più tempo da dedicarci e da dedicare ai nostri adolescenti, ai nostri giovani.

Così sia.

 Don Pino