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Riflessione teologica

a cura di Don Gianluca Bellusci, Direttore dell’Istituto Teologico di Basilicata

Ha ancora senso e motivazioni profonde celebrare un Congresso Eucaristico nel nostro tempo, caratterizzato da fenomeni di profonda crisi di fede e di partecipazione alla vita liturgica della Chiesa dei nostri fedeli? In un tempo segnato da una progressiva irrilevanza pubblica della fede cristiana e delle nostre Chiese soprattutto nel contesto culturale pluralistico e secolarizzato odierno? Ha ragion d’essere indicare alle nostre Chiese un evento che per la sua storia e per le forme che l’hanno accompagnato nella storia potrebbe risultare un amarcord di un passato trionfalistico, incapace di fare i conti e prendere atto di quel piccolo gregge o minoranze credenti che oggi vivono e testimoniano il Vangelo nelle nostre Città?

A questi interrogativi e sfide, credo debba anche rispondere il prossimo Congresso Eucaristico che le nostre Chiese stanno preparando, nel cuore della stagione sinodale, nell’emergenza sanitaria e pandemica, ancora in atto e nell’orrore di una guerra fratricida che sta facendo tremare l’intera umanità.  La riflessione che vi propongo si ispirerà al concetto fenomenologico di stile, sulla scìa di alcuni esponenti della teologia contemporanea e attraverso una rilettura del magistero conciliare e della sua ricezione a circa sessant’anni dalla sua conclusione che, ci  permetterà di riaffermare in totale fedeltà alla vivente tradizione della Chiesa, la fede nel mistero eucaristico e le profonde implicanze di tipo pragmatiche che tale mistero assumono oggi per le nostre Chiese e per la vita dei credenti. Pertanto presenterò cinque stili che il mistero eucaristico, celebrato e confessato dalla Chiesa, offre all’esistenza cristiana e alla vita delle nostre Chiese, al fine di custodire fedelmente e coerentemente, kerigma, dottrina e pastorale, a partire dal quadro normativo e dalla svolta teologica operata dal Concilio Vaticano II [1].

 

  1. Uno stile ludico

Quanto mai attuali e ancora cariche di forti istanze di rinnovamento sono le riflessioni che all’inizio del secolo scorso fecero di Romano Guardini uno dei pionieri del movimento liturgico, allorchè ripropose la centralità della liturgia quale giusto correttivo al capovolgimento culturale avvenuto nell’epoca moderna, caratterizzata dal primato dell’Éthos sul Lógos, dell’individuo sulla comunità. Attraverso il ritorno alle sorgenti della preghiera liturgica cristiana e alla comprensione dei suoi riti e gesti, Guardini indirizzò i giovani, verso una esperienza credente, disciplinata dall’oggettività e non da emozioni e sensazioni individuali e frammentarie. Liberò così l’esperienza religiosa dalle strettoie del soggettivismo e privatismo,  riconsegnandola al suo vero ambito e spazio vitale, quello della Chiesa, Popolo di Dio e Corpo di Cristo. Infatti attraverso l’applicazione del metodo dell’opposizione polare, fece emergere le dimensioni fondamentali di una teologia liturgica, caratterizzata dalla correlazione tra dimensione comunitaria e personale della preghiera, tra le parole e i gesti, tra verità dogmatica e bellezza rituale. Fondamentale è stata la considerazione della Liturgia come gioco, nella tensione polare di scopo e senso,  che ha consentito di recuperare nell’esperienza rituale, il valore della gratuità e il sano disinteresse, che si oppone ad una riduzione funzionalistica e positivistica dell’esperienza religiosa credente. Guardini vede in due fenomeni estetici quest’esperienza libera e disinteressata: nel gioco del bambino, che non mira ad altro che a sprigionare le sue forze ed energie attraverso le azioni, i movimenti e le parole fino a tramutarsi in ritmo, melodia e canto; e nella creazione dell’artista, che nell’opera d’arte non cerca altro che dare espressione all’indicibile verità e mozione interiore avvertita. Nella Liturgia accade qualcosa di più elevato e sublime; l’uomo sperimenta di essere figlio Dio al cui cospetto, canta, invoca e danza. Scrive, Guardini:

Può comprendere la Liturgia solo chi non si scandalizza di questo, come ha fatto innanzitutto ogni razionalismo. Agire liturgicamente significa diventare, col sostegno della grazia, sotto la guida della Chiesa, vivente opera d’arte dinanzi a Dio, con nessun altro scopo se non d’essere e vivere proprio sotto lo sguardo di Dio; significa compiere la parola del Signore e «diventare come bambini»; rinunciando, una volta per sempre, a essere adulti che vogliono agire sempre con finalità determinate per decidersi a giocare, come faceva Davide quando danzava dinanzi all’Arca dell’alleanza. Può certo avvenire che persone troppo assennate, le quali, con la piena maturità, hanno perduto la libertà e la freschezza dello spirito, non lo comprendano e ne facciano argomento di scherno. Ma anche Davide dovette sopportare che Mikal ridesse di lui. […] Da ultimo, anche la vita eterna non sarà che il compimento di questo gioco. E chi non comprende questo, potrà afferrare poi che il compimento celeste della nostra vita è «un cantico eterno di lode?» Non finirà costui per rientrare nella categoria delle persone attive, che trovano inutile e noiosa tale eternità? [2] .

Icona biblica intensamente evocativa, che consente di comprendere fino in fondo la dimensione ludica della liturgia e lo scandalo suscitato in coloro che non la vivono, è il gesto di Maria di Betania che unge i piedi di Gesù, suscitando l’indignazione di Giuda e forse anche lo sconcerto degli altri apostoli (cf Gv 12, 1-8).

Luigi Girardi, ha riproposto questo stile eucaristico, in occasione della consegna della Terza Edizione del Messale Romano alle nostre Chiese in Italia, parlando del dono di poter celebrare, affermando: «In altre parole, si può dire che non si celebra semplicemente in vista di una grazia, ma che il celebrare stesso è anzitutto una grazia: in esso il Signore ci fa degni di stare davanti a Lui e di servirlo [3]. Di conseguenza, «Una Comunità che perde tempo a celebrare il suo Dio, entrando in questa forma rituale della fede, entra in realtà in una forma di vita che trasfigura la nostra umanità e lascia trasparire la bellezza dell’opera di Dio che prende corpo in noi [4]. Non possiamo nasconderci purtroppo, una crescente disaffezione verso la liturgia, accresciuta durante questo tempo di pandemia, che esige da parte delle nostre Chiese un vero salto di qualità nel saper rimotivare e far esperire la bellezza della celebrazione dell’Eucaristia, attraverso un coinvolgimento di tutte le dimensioni dell’umano: dalla sfera razionale a quella emotiva, dalla sensibilità alla nostra interiorità.

 

  1. Uno stile mistagogico

Balza nell’immaginario biblico della nostra riflessione l’episodio narrato negli Atti dell’incontro di Filippo con l’eunuco, funzionario di Candace (cf. At. 8. 26-40): «Capisci quello che stai leggendo?» (v. 30). In un tempo di ex-culturazione del cristianesimo e di ritorno e nostalgie di forme rituali e liturgiche passate che alimentano rigidità e relazioni di contrapposizione nella Chiesa e nel nostro tempo, abbiamo bisogno di ritrornare alla lezione del magistero Conciliare che, attraverso le Costituzioni Dei Verbum e Gaudium et spes, ci presenta la Rivelazione di Dio come libera auto-comunicazione personale in Cristo, accaduta nella storia e nella sua rilevanza antropologica ed etica in vista del discernimento dei segni dei tempi e della costruzione di una nuova umanità, capace di accogliere la profezia del Regno. L’esperienza della proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione dell’Eucaristia, ci fa partecipare all’oggi del dialogo di Dio con il suo popolo ed è Cristo risorto, agnello immolato, che «come un tempo ai discepoli, ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi» (MRI 2020, p. 499). Il magistero di Papa Benedetto XVI prima e di Francesco poi, ci offrono una luce particolare e una creativa declinazione tra Kerigma e storia, fede cristiana e vissuti degli uomini e delle donne del nostro tempo e uno stile pastorale e missionario efficaci e coinvolgenti che interpellano credenti e non credenti. Dalla Verbum Domini all’Evangelii Gaudium è possibile rintracciare un comune anelito: un radicamento evangelico e contemplativo della Chiesa nel mondo.

Lo stile mistagogico esige una azione formativa che introduca e faccia comprendere la natura e i linguaggi della Liturgia e il vissuto celebrativo nell’armonia e struttura dei suoi riti: « … richiede non tanto e non subito una attenzione ai contenuti, quanto piuttosto una cura per gli atteggiamenti giusti con cui entrare nella logica del celebrare: ritrovare il senso del gratuito, il gusto per l’espressione simbolica, la capacità di lasciarsi coinvolgere con il corpo e con la sensibilità affettivo-emotiva, il senso di partecipare ad una azione comune in cui è all’opera Dio stesso» [5].

Essere dunque Comunità e Chiese che accompagnano, vivono, celebrano ed educhino a leggere la storia come storia di salvezza e a riconoscere quanto di buono e santo, lo Spirito Santo suscita anche al di fuori dei confini istituzionali della Chiesa al fine di condurre tutti alla salvezza. Riecheggia l’invocazione ieri come oggi: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?» (At 5, 2); e fissando lo sguardo verso Cristo, l’Agnello immolato per la nostra salvezza, anche noi cantiamo un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il suo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra» (At 5, 9-10).

 

  1. Uno stile sacerdotale

La Preghiera Universale [6] della Liturgia del Venerdì santo (MRI 2020, p. 152-156), costituisce l’antica preghiera comunitaria, l’Oratio fidelium, già attestata da S. Giustino, e recitata immediatamente prima dell’Offertorio. Rappresentano il modello paradigmatico dal quale la Riforma liturgica ha recuperato nell’Ordo Missae la preghiera dei fedeli «una perla che era andata perduta e che ora era stata ritrovata in tutto il suo splendore» [7], uno spazio rituale importante dove il mondo con tutti i suoi drammi e progetti è reso presente nella celebrazione eucaristica. La Preghiera Universale del Venerdì Santo esprime l’universale manifestazione della redenzione operata da Gesù Cristo a favore di tutti gli uomini: a partire da coloro che sono credenti e appartengono alla santa Chiesa di Dio, si estende ai catecumeni, «perché mediante l’acqua del Battesimo ricevano il perdono dei peccati e siano incorporati in Cristo Gesù»;  a tutti i fratelli che credono in Cristo, affinché «consacrati da un solo Battesimo formino una sola famiglia nel vincolo dell’amore e della vera fede»;  agli Ebrei, eletti primi, tra tutti i popoli, affinché giungano alla «pienezza della redenzione» ; a coloro che non credono in Cristo, affinché illuminati dallo Spirito Santo possano entrare profondamente nel mistero della salvezza»; poi si estende verso coloro che ancora non credono, ma che portano nel proprio cuore una così profonda nostalgia di Lui; verso la società civile, affinché i governanti, illuminati dallo Spirito Santo, «promuovano su tutta la terra una pace duratura, il progresso sociale e la libertà religiosa»; e infine verso coloro che soffrono e subiscono ingiustizie e oppressioni, «perché tutti si rallegrino di aver ricevuto nelle loro necessità il soccorso della tua misericordia». Questa Preghiera universale manifesta il cuore di Cristo e la sua mediazione sacerdotale; ne evidenzia il carattere veramente universale della sua redenzione. Per questa ragione: «… la Chiesa, nel momento in cui  celebra l’apice della storia della salvezza, non si disinteressa di nessuno, ma anzi con sensibilità vuole integrare nella sua celebrazione di questo giorno tutte le realtà spirituali e umane, tutte le situazioni degli uomini, tutti i loro dolori e le loro divergenze nella realtà» [8] .

Le nostre Comunità e i nostri fedeli a partire da questo vissuto liturgico sono chiamati a ripresentare nella prassi pastorale e nella testimonianza di vita gli atteggiamenti di intercessione che caratterizzano lo stile credente di figure esemplari come Abramo che intercedette per Sodoma (Gn 18, 16-33); di Mosè per il suo popolo  (Es 32, 11-14); di Paolo per Israele (Rm 9, 3-5) e soprattutto di Gesù (Gv 17, 1-25). Questo stile sacerdotale, scaturito dalla celebrazione del mistero eucaristico inoltre configura le relazioni delle nostre Chiese con il mondo contemporaneo improntate al dialogo, alla compassione, alla solidarietà e al discernimento sapienziale in un orizzonte kerigmatico ed escatologico. Dall’ Evangelii Nuntiandi ad Evangelii Gaudium il magistero post conciliare ci ha offerto indicazioni e percorsi di evangelizzazione e rinnovamento ecclesiale che ancora non hanno trovato una piena ricezione nelle nostre Chiese e nella vita dei nostri fedeli.

 

  1. Uno stile ministeriale

Ancora una volta vogliamo accogliere la lezione che ci viene dal Concilio che ha ricompreso il grande tema della ministerialità, attraverso l’intreccio fecondo tra la Sacrosanctum Concilium e la Lumen Gentium, senza dimenticare la ricezione che c’è stata sia nel magistero posteriore che nella teologia. La categoria teologica di Popolo di Dio, asse portante della comprensione e della definizione che la Chiesa al Concilio Vaticano II ha dato di se stessa, ha permesso di inserire il mistero della Chiesa nella storia del popolo d’Israele, il riconoscimento della uguale dignità di tutti i battezzati e la sua dimensione escatologica. Inoltre ha teologicamente e pastoralmente riequilibrato le relazioni che intercorrono tra sacerdozio battesimale e quello ordinato e tra primato petrino e collegialità episcopale. Questa consapevolezza ci è stata riconsegnata anche dalla Riforma Liturgica nel bellissimo testo del Prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario I:

Mirabile è l’opera da lui compiuta nel mistero pasquale:

egli ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte

alla gloria di proclamarci stirpe eletta, regale sacerdozio,

gente santa, popolo che egli si è acquistato, per annunziare in ogni luogo

i tuoi prodigi, o Padre, che dalle tenebre ci hai chiamati allo

splendore della tua luce (MRI 2020, p. 358) [9] .

Un testo che ci viene dal primo millennio, rielaborato dopo il Concilio, che ci fa cogliere la dimensione generativa del mistero pasquale, quale origine della dignità  singolare del popolo di Dio e della sua diaconia e mediazione salvifica verso il mondo. Una circolarità aperta al compimento tra mistero pasquale, popolo santo di Dio e salvezza del mondo che ha il suo punto finale nell’incontro con il Padre. Questa coscienza del Popolo di Dio, apre alla ministerialità  dei tria munera, riproposti dal magistero e dalla teologia contemporanea e aperti agli ambiti di vita nei quali oggi è possibile l’incontro degli uomini e delle donne del nostro tempo con il Signore Gesù. Si considerino a tal proposito i contributi degli ultimi due Convegni ecclesiali delle Chiese in Italia: Verona e Firenze. Nel Documento Preparatorio del Sinodo dei Vescovi, Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione, si sottolineano le nuove sfide della ministerialità laicale: dalla valorizzazione delle donne, al dialogo e all’ascolto dei giovani, all’istituzione del ministero laicale di catechista e all’apertura alle donne dei ministeri istituiti del Lettorato e Accolitato. Questa ministerialità lungi dall’essere svilita e rinchiusa nel solo ambito intra-ecclesiale, deve essere testimoniata come presenza e riflesso della stessa Chiesa nel mondo, nella ricerca di nuovi linguaggi e stili di vita che trasmettano il Vangelo. La cifra della cura declinata a più voci nel contesto culturale contemporaneo, esigita anche dall’esperienza sofferta della pandemia, chiede oggi sia ai Pastori che ai fedeli Laici, Religiosi e Religiose, una capacità di empatia e solidarietà nei confronti dei sofferenti e di coloro che sono disorientati e senza speranza. Facciamoci promotori di Comunità che evangelizzano, facendoci carico, a imitazione del Buon Samaritano degli uomini e delle donne, dei giovani e bambini vulnerabili e feriti dei nostri territori. Animatori di riconciliazione e di pace, in un tessuto sociale frammentario e spesso troppo violento e a volte discriminatorio. Facciamo delle nostre Parrocchie, Associazioni e movimenti ecclesiali, luoghi di cultura, spazi di fraternità e di accompagnamento spirituale.

Concludendo, ancora una volta faccio mie le riflessioni di L. Girardi: «Tra i compiti dell’ars celebrandi c’è anche quello di promuovere i ministeri liturgici che sono necessari all’attuazione della celebrazione e che esprimono la ricchezza carismatica del popolo di Dio. Non si tratta solo dei ministeri istituiti …, ma di tutti i ministeri e servizi che sono utili e necessari per una buona realizzazione delle celebrazioni liturgiche (dal ministrante al coro, alla guida del canto e dell’assemblea …) riconoscendo la possibilità di incaricare uomini e donne che, adeguatamente formati, siano in grado di svolgere bene questi compiti (cf. OGMR 107). La materia dev’essere inserita nel nuovo quadro ecclesiologico delineato dal Concilio Vaticano II e nell’ambito delle possibilità che la liturgia già prevede non solo per l’Eucaristia (ad es. OGMR 100-106), ma anche per gli altri rituali. Questa attenzione alla ministerialità evidenzia anche il fatto che l’arte di celebrare non si risolve in una capacità individuale (come se fosse l’arte del celebrante) ma riguarda la capacità di coinvolgere e accordare adeguatramente tutti nell’unica azione celebrativa, valorizzando il contributo che ciascuno può dare. Per certi aspetti, si potrebbe parlare dell’esigenza di una regia interna alla celebrazione, in grado di armonizzare gli apporti di ciascuno [10]».

 

  1. Uno stile fraterno

L’intreccio nella sezione epicletica delle nuove Preghiere Eucaristiche del Messale Romano del Concilio Vaticano II, dell’epiclesi per la trasformazione delle oblate e per la trasformazione escatologica dei comunicanti, rappresenta l’orizzonte teologico fondativo e generativo per comprendere l’Eucaristia come vincolo di carità ed epifania della fraternità. Cesare Giraudo attraverso un’analisi letteraria rigorosa delle Anafore orientali e delle Preghiere Eucaristiche del Messale Romano ha fatto emergere il vigore dottrinale e esistenziale di questo intreccio epicletico e ha affermato:

«Ma che cosa significa essere trasformati in un solo corpo, ossia nel corpo ecclesiale, escatologico, mistico, attraverso la partecipazione al corpo sacramentale di Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo? Forse che ciò significa struggerci nel desiderio di vedere affranto il nostro ingresso nell’eone degli spiriti incorporei? Sicuramente no. Significa eliminare tutte le componenti di a-relazionalità e di egoismo, che sono continuamente in noi. Significa entrare fin d’ora a far parte della società dei santi, senza abbandonare la società dei peccatori, che rimane costitutivamente la nostra. Significa entrare là dove tutto è relazione, ossia nel paradiso escatologico, il quale inizia subito dopo che Adamo è uscito dal paradiso terrestre passando per la porta orientale. Significa camminare con Adamo, nostro padre, verso l’ingresso finale nel regno» [11].

Attraverso il movimento rituale dell’Assemblea, convocata nel nome della SS. Trinità che, processionalmente si dirige verso l’altare per ricevere il Corpo di Cristo, noi sperimentiamo la fraternità generata da coloro che mangiano l’unico Pane: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1 Cor 10, 17). Quest’esperienza sacramentale conduce verso un nuovo imperativo etico, conseguenza del sacrificio redentore del Signore che ci invita a non vivere più per noi stessi, ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato, o Padre, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione» (Cf. MRI 2020, p. 439).

Oggì nel mondo, voce autorevole che ha rimesso al centro l’impegno per la fraternità è Papa Francesco. Lo ha fatto offrendoci spunti importanti nel suo magistero e attraverso il suo impegno per la pace e il dialogo. Eccone un testo tra i più eloquenti: «Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la mistica di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG, 87). Dalla Laudato sì alla Fratelli tutti, Papa Francesco incrocia e anima istanze culturali credenti e laiche che sono diventate un nuovo paradigma normativo nelle riflessioni etiche e politiche del XXI secolo, protese ad assicurare un futuro all’umanità e al suo Pianeta. La fraternità declinata nell’orizzonte dell’ecologia integrale e come cifra per l’amicizia sociale e il dialogo tra i popoli e le religioni, resta un compito profetico per le nostre Chiese, chiamate a una profonda lettura dei segni dei tempi, entrando in un profondo dialogo con le forse vitali e culturali della nostra società. Il sentirci dentro un comune destino, in profonda empatia con il futuro del nostro Pianeta, non è avvertito solo dai credenti; la supplica che Papa Francesco ha rivolto a Dio, nella piazza San Pietro deserta nei giorni del lockdown e l’immagine evocata della barca nella tempesta, non sono stati vissuti e colti solo dai credenti. Nei giorni della prova, abbiamo assistito alla testimonianza di un esercizio del primato petrino che nella preghiera e supplica si è reso voce rappresentativa dinanzi a Dio dell’intera umanità.

Concludendo, ha dunque senso e valore celebrare un Congresso Eucaristico nel XXI secolo? Sì! Lo è ancor di più se sarà vissuto, in continuità con la storia di fede e pietà che ci ha preceduto; come corale e solenne rendimento di grazie a Colui che ci ha amato e ha dato tutto se stesso per noi, e come forza generativa, per una ripartenza generosa e creativa delle nostre Chiese, dopo la grave crisi pandemica, chiamate ad essere credibili e profetici in un mondo complesso, ma bisognoso di amore e di ragioni di speranza.

 

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[1] Cf. CH. THEOBALD, Il cristianesimo come stile. Un modo di fare teologia nella postmodernità, I-II, Dehoniane, Bologna 2009; Cf. H.U. VON BALTHASAR, Gloria, II-III, Jaca Book, Milano 20012.

[2] R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia.I santi segni, Morcelliana,Brescia 200711,  p. 81-82.

[3] L. GIRARDI, Riscoprire e accogliere il dono della Liturgia per la vita della Chiesa. Prospettive e scelte pastorali in occasione della terza edizione italiana del Messale Romano, in ….

[4] Ibidem, p.

[5] L. GIRARDI, cit., p.

[6] Le fonti che ci tramandano le <<orazioni solenni>> sono: romane (sia gelasiane che gregoriane), romano-franche, gallicane, fonti milanesi che utilizzano il formulario romano . In diversi studi, Dom Capelle, ha sottolineato l’antichità, la profondità teologica , spirituale e letteraria delle <<orationes sollemnes>>, considerate tra le più belle preghiere presenti nella Chiesa cattolica, che esprimono tutta l’ampiezza e la potenza del sacrificio redentore del Cristo innalzato sulla Croce e la commovente preghiera di intercessione della Chiesa che accogliendo le raccomandazioni degli Apostoli (cfr 1Tm 2,1-4) e dei Padri: San Clemente, San Giustino e San Policarpo ha sempre pregato per tutti . Unanime è la consapevolezza e il valore universale che si esprime in questa solenne preghiera di intercessione per tutti gli uomini, “come Cristo ha pregato per i nemici e gli amici, così la Chiesa prega per tutti” (Durando) . Jungmann, dopo aver evidenziato nella prassi della Chiesa antica la presenza dopo la proclamazione delle Letture e dell’omelia, della preghiera della Chiesa, sia in Occidente che in Oriente, dalle testimonianze di San Giustino, Ippolito, Cipriano, Agostino, che sottolineano due atteggiamenti fondamentali, lo stare in piedi e il volgersi verso l’Oriente,  considera le orazioni solenni del Venerdì santo l’<<Oratio fidelium>> della Chiesa Romana, la cui eco risuona già alla fine del primo secolo . Nel clima ecumenico e teologico del Concilio Vaticano II alcune espressioni delle <<orationes>> furono cambiate, i ritocchi limitati all’indispensabile.

[7] A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975). Nuova edizione riveduta e arricchita di note e supplementi per una lettura analitica., Edizioni liturgiche, Roma 1997, p.401.

[8] A. NOCENT, Celebrare Gesù Cristo, IV, p. 138.

[9] Fonti: Sacramentario Gelasiano Antico e soprattutto il Sacramentario Veronese. Tra i testi biblici ispiratori: 1Pt 2,9; Es 19,5-6; Rm 5,7; 1Ts 2,12; 1Pt 1,3-4; Ap 1,5-10 e 1Cor 15,56.

[10] L. GIRARDI, cit., p.

[11] C.GIRAUDO, Eucaristia per la Chiesa. Prospettive teologiche sull’Eucaristia a partire dalla «lex orandi», Morcelliana, Brescia 1989, p. 438.