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Carissimi,

diamo inizio a questa terza giornata di lavori spezzando, ancora una volta, il pane della Parola e dell’Eucarestia. Ricominciamo da qui.

La prima lettura che parla della vita secondo lo Spirito (Rom 8, 1-11) spalanca lo sguardo dell’uomo alla sua vera sorte, ovvero la salvezza che, sorpassando qualsiasi condanna, ci dona la vita nello Spirito: “Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. … Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. … E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Lo Spirito ci libera da qualsiasi costrizione e che ci fa tendere alle sue stesse opere.

Anche nelle nostre riflessioni, che passano dalla concretezza di opere – le chiamiamo “buone pratiche” – vi è il riflesso di questa tensione spirituale che trascende ogni tornaconto e porta in sé il respiro grande del bene, la sovrabbondanza della gratuità e della misericordia.

Nel pianeta che speriamo vi è quello che desideriamo e vogliamo attuare, ovvero quello dove è tutto connesso a partire dal bene. Se da un lato, come nelle relazioni che abbiamo ascoltato, tutto ciò che di male viene messo in circolo e ritorna a noi, maggiormente il bene viene seminato e si raccoglie come la forza di questo pane che or ora spezziamo e diviene presenza viva in tutte le cose.  Questo ci insegna che la costatazione delle cose cattive non basta. Infatti per noi non appartenere più alle opere della carne vuol dire non esaurire la nostra riflessione nella denuncia, ma avere il coraggio di opporre a tutto, ostinatamente, la speranza.

Offriamo la speranza non nel teorizzare soluzioni, ma rischiando in prima persona, mettendoci in gioco, rimboccandoci le maniche. Donandoci. Stiamo riflettendo sul #tuttoèconnesso. La prima connessione è la fraternità che contempliamo in questa assemblea.  Siamo connessi gli uni agli altri. Perché nel nostro modus di essere sociali, vi è un legame molto più profondo, mai sacrificabile in nome del profitto, del tornaconto. Il pianeta ha bisogno dell’apertura di corridoi percorribili secondo lo Spirito, perché anche tra le contraddizioni e le croci siamo predestinati alla gioia che già inizia in questa terra, che è del Signore con tutto quello che essa contiene quando cerchiamo il suo volto come abbiamo pregato nel salmo.

Dal Vangelo ci vengono due spunti preziosi di straordinaria utilità e sconvolgente contemporaneità. Gesù si trova a dover esprimere un parere, su quello che oggi chiameremmo un fatto di cronaca. I farisei gli chiedono un commento su un atto sanguinario e blasfemo ad opera di Pilato. Quest’ultimo aveva trucidato alcuni Galilei mischiando il loro sangue a quello dei sacrifici. Gesù si oppone a qualsiasi attribuzione arbitraria di colpe specie quelle che chiamano in causa il giudizio di Dio. Anzi a questo primo evento aggiunge un pensiero su un altro fatto che probabilmente aveva scioccato gli abitanti di Gerusalemme.  Sotto il crollo della torre di Siloe erano morte diciotto persone. Gesù ci invita a non prestare il fianco ai fatalismi e a non accostarli all’ira di Dio. Infatti è Dio che ha fatto crollare la torre o i costruttori l’hanno innalzata in malo modo? La stessa domanda si è sollevata durante la pandemia. È castigo di Dio? È la punizione per i peccati? No! Il Signore non è vendicativo e ci pone di fronte alla nostra conversione! Contro il male, ogni male, il discepolo di Cristo reagisce con la propria personale conversione, la risposta all’amore di Dio e la formazione di una retta coscienza. Il male in cui ci imbattiamo paradossalmente può illuminare le nostre vite quando abbiamo la capacità di riflettere sulle fondamenta della nostra fede.

Le circostanze ci mettono di fronte al valore delle nostre scelte, che hanno un peso. Se non cambiamo stile di vita periremo tutti quanti! In cosa stiamo investendo le nostre energie? Dove ho posto il mio tesoro perché tignola e ruggine non possano impadronirsene? Il male non deve paralizzarci, ma deve portarci a riflettere sul corretto uso di ciò che abbiamo e sul valore che diamo al presente per orientare nella verità il nostro cammino.

È così che il Signore, con una breve parabola, descrive il processo di conversione che è un itinerario passionale di pazienza e di cura. Un fico infatti non metteva frutti e di fronte alla sua infruttuosità il suo padrone decide di sradicarlo. Il contadino chiede pazienza al padrone, promette di prendersene cura, di stare ad esso vicino. La conversione infatti inaugura un tempo di misericordia, un tempo necessario perché il cuore torni ad appartenere a Dio, perché il fico riemetta i suoi germogli. Interessante il concetto di cura e di pazienza quale viatico indispensabile perché si porti frutto, perché anche quel fico si converta e torni alla sua vera vocazione.

Anche la Chiesa, con queste Settimane sociali, cerca di esprimere il proprio cuore, intervenendo nei problemi del nostro paese, facendosi prossima ad ogni albero, non per esaurirne i frutti, ma accompagnando nella rinascita e nella crescita. Di fronte al saccheggiamento delle risorse, la nostra conversione sta quindi nell’impegno personale e comunitario, nel cambiamento degli stili di vita, nella profonda fiducia nel creato, nella pazienza e nella cura.  La logica della cura va in senso contrario a qualsiasi appropriazione indebita, ad ogni sfruttamento, ad ogni desertificazione.

Vorrei che la sapienza del vignaiolo rimanesse come un segno in questa città. Avete visto quanto è bella Taranto? Spesso la condanna di essa le ha reso il destino di essere sradicata, sterile, infruttuosa, spacciata. Siamo qui per zappare intorno ad essa, per tracciare un solco che possa permettere alle sue radici di essere nuovamente irrorate di fiducia, ed è importante che a brandire questa zappa sia la Chiesa, così da testimoniare al contempo fatica, sudore, impegno e vicinanza. Quando nella Laudato si’ ho letto di alcune terre con le quali abbiamo un debito ecologico, ho pensato ai crediti di questa nostra Città dei Due Mari, alle acque che sono state inquinate, all’aria che è stata tolta, alla terra che è stata battuta. Taranto però, al pari del fico della parabola, non è morta! Lo constata il vignaiuolo Gesù. Taranto ha bisogno di cure ed è bello che intorno a questo albero, le cui foglie sono ancora belle e rigogliose, si sia radunata la Chiesa Italiana, per annunciare e prodigarsi per i tempi nuovi.

Vi chiedo di pregare con me perché Taranto non sia più un caso ma un modello, in nome della nostra fede che è capace di fare nuove tutte le cose.

Grazie!