Se dovessi cercare una cifra per interpretare questa nostra festa, sicuramente la parola che emerge immediatamente è gioia. Tutta la giornata è intonata all’esultanza, alla felicità, alla gioia. Anche i canti ci stanno aiutando questa mattina a iniziare così, magari svegliandoci anche un po’. Anche la processione dei pastori ha questa tonalità, a volte anche un po’ così difficile da gestire sul piano dell’ordine, ma è sicuramente ispirata all’allegria, alla bellezza, a quell’esultanza interiore di avere nel nostro cuore una devozione a Maria così radicata che determina questo desiderio che, al di là, nonostante e forse anche attraverso le fatiche della nostra esistenza, non possiamo perdere quella gioia che, come ci dice anche il Signore, nessuno potrà toglierci.
La prima lettura che abbiamo ascoltato del profeta Sofonia ci spiega anche qual è il motivo della gioia. Un cristiano non può non essere gioioso, perché il Signore Dio, ci dice il profeta, è in mezzo a noi. Per cui, anche se ci sono esperienze che possono farci cadere le braccia, Dio rimane un salvatore potente e possiamo credere che la nostra esistenza non è destinata all’abbandono, al nulla, ma che va incontro a Lui che ci ha salvati. Per questa salvezza, la Vergine Maria ha cooperato attivamente con il suo “sì”. Per cui il mio primo invito è proprio questo: a non perdere, in questa giornata, la tonalità della gioia cristiana, che però non è una semplice euforia, ma, ripeto, nasce dalla consapevolezza di avere in noi quello Spirito del Signore che rende presente continuamente Gesù Cristo. Se non ci fosse Lui dentro il nostro cuore, nella nostra vita, se non fossimo stati salvati da Lui, non avremmo prospettive di speranza, e invece siamo gioiosi proprio per questo.
E poi mi chiedevo, mentre venivo qui, quanti anni e quante volte, anche durante questi giorni, ascoltiamo la pagina del Magnificat, un cantico di lode, di gioia, in cui Maria esprime tutta la sua felicità nel sentirsi amata da Dio. E ancora una volta, incontrando Elisabetta, prorompe in questo canto, come Elisabetta invece aveva visto il suo grembo esultare perché l’angelo le aveva detto: “Il Signore è con te”, e trova conferma di questa presenza del Signore anche nella visita a sua cugina. E mi dicevo quante volte abbiamo ascoltato, quante volte ascoltiamo questo inno, il Magnificat, che sicuramente è il più bello di tutta la Sacra Scrittura. Quale effetto fa sulla nostra vita dopo averlo ascoltato migliaia di volte? Che cosa possiamo dire del Magnificat che possa essere utile? La gioia che Maria sperimentava dentro di sé nell’aver incontrato il Salvatore, che ormai cresceva nel suo grembo, la porta a guardare la storia con gli occhi di Dio. In fondo, il Magnificat è questo. D’ora in poi, se vivo nella comunione con Cristo e quindi nella Chiesa, la storia per me non è un procedere indifferente di eventi che mi lasciano così, senza nessuna interpellanza, senza nessun cambiamento, ma mi spinge ad attivarmi perché possa essere intonata a come la vede Dio.
Allora ci chiediamo: oggi ha ancora un senso sperare che le logiche del mondo non siano quelle dei violenti, dei superbi, delle disparità, della povertà che prevale? Possiamo dire che un cristiano dà senso alla sua vita se si chiede: com’è possibile, anche per me oggi, che si possano disperdere i superbi, che non possano prevalere i potenti e che gli affamati finalmente possano essere ricolmati di beni? In un tempo in cui, come ci ricordava anche ieri monsignor Caiazzo, la guerra è tristemente di nuovo alle nostre porte e ci accorgiamo come i potenti non vengono rovesciati dai troni, come invece il Signore ci promette. Certo, non possiamo essere dei rivoluzionari; è difficile, è impossibile forse, ma innestare dei meccanismi di cambiamento nella nostra vita quotidiana sì. Perché la presunzione, la superbia, la disparità non nasce solo a livello planetario, ma inizia nel nostro cuore. E allora la gioia che nasce dall’avere il Signore dentro di noi deve portarci a un impegno storico differente. Questo è il senso del Magnificat.
E infine, quindi, se la prima parola era la gioia e la seconda era la visione del mondo, della storia, la terza: mi sono chiesto qual è l’atteggiamento che mi deve guidare perché una speranza nuova, grazie all’esempio della Vergine Maria, possa prevalere?
San Paolo ci dice che l’unico segno credibile perché la speranza possa farsi strada è la carità. Non nel senso dell’elemosina, ma assumere nella nostra vita quello stesso principio che Gesù Cristo ci ha rivelato sulla croce. Ha senso una vita spesa per farsi carico dei bisogni degli altri, un’esistenza fatta nello spirito del servizio e non della prevaricazione. Una carità che si prenda cura ha senso. Questa corrisponde alla vera dignità dell’uomo. Questo corrisponde anche a uno stile che abbiamo ereditato dalle generazioni precedenti e che forse, anche per necessità, vivevano nella reciprocità, nel farsi carico l’uno dei bisogni dell’altro con naturalezza, senza che nessuno glielo andasse a chiedere.
E allora chiediamoci oggi se portare in processione l’effige della Madonna possa stimolarci in queste tre direzioni. Vivere nella gioia: per questo non c’è bisogno che ci esortiamo troppo, perché ci viene spontaneo. Cambiare l’atteggiamento verso la storia e innescare piccoli segni credibili di speranza. Se noi diciamo che il cristiano crede nella risurrezione e spera di incontrare Cristo risorto, non dobbiamo essere irrisi, ma dobbiamo essere credibili e lo possiamo essere solo se, giorno dopo giorno, la carità diventa lo stile della nostra vita.
Mons. Rocco Pennacchio
Arcivescovo di Fermo
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