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Abbiamo chiesto nella colletta: “Dio onnipotente ed eterno, donaci di orientare sempre a te la nostra volontà e di servirti con cuore sincero”. In questo tempo di incertezza dovuto alla pandemia mi sembra davvero provvidenziale chiedere a Dio l’orientamento e un cuore sincero.
Donaci di orientarci. Non è soltanto una nostra capacità di sapere quale strada prendere o quale percorso fare; non è questione di saper impostare il navigatore, ma riguarda la scelta della nostra vita, dove voler arrivare: donaci di orientare sempre verso te la nostra volontà, con decisione.
Con cuore sincero: “sine cera”, senza cera, cioè così com’è, senza nessun trucco particolare per presentarci per forza bene, così come siamo con i nostri limiti e i nostri pregi.
Questo tempo ci ha smascherati, ha tirato fuori le nostre vulnerabilità, ci ha fatti scoprire deboli, impauriti e indifesi e perciò chiediamo il coraggio di essere sinceri – senza per forza far vedere che tutto è sotto controllo – l’abbiamo chiesto all’inizio della celebrazione proprio perché vogliamo farci vedere così come siamo. Solo se ci lasciamo “prendere” dall’amore di Dio possiamo conoscerci e riconoscerci per quello che siamo. E questo coraggio di essere sinceri lo chiediamo qui a Taranto.

Lo chiediamo – il coraggio – in una città che ha saputo nel corso degli anni presentarsi “senza cera”, ha mostrato a tutti la sua fragilità, le sue crepe più intime e oggi con grande tenerezza si dona allo sguardo di tutti, ci accoglie tra le sue strade e le sue strutture, ci invita a guardare meglio quello che spesso abbiamo visto in tv. E noi vogliamo esserci, cioè essere qui con quell’orientamento e un cuore sincero innamorato di Dio che soli possono insegnarci come prenderci cura di Taranto e di tutte le città e i paesi che noi abitiamo: questa mi sembra la postura giusta per questi giorni così intensi. Tutti noi, ognuno nel suo stato di vita, siamo stati invitati qui perché possiamo imparare a prenderci cura delle città, delle nostre strade a guardare con occhi diversi i problemi e le bellezze di tutto quanto ci circonda. Abbiamo bisogno di nutrirci di quell’orientamento e quella sincerità in Cristo che ci rendono cittadini del mondo pienamente inseriti nelle città in cui viviamo.

Imparare a guardare è una postura degli occhi e del cuore che decidono non solo di vedere così come vediamo tante cose nel corso della nostra giornata, ma che scelgono anche di andare a fondo, una specie di “indagine in profondità” per andare a scavare tutto quello che è possibile scoprire per tirarlo fuori, analizzarlo e poi pensare a come risolverlo. Come sub che non solo guardano ma si immergono e vanno giù e non solo guardano ma portano in superficie. E questo sguardo così profondo lo chiede il vangelo che abbiamo ascoltato.

Gesù davanti alla folle fa riferimento a “questo tempo” che bisogna imparare a leggere. È un Gesù molto duro quello che ci viene presentato oggi: “quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti!”. Rimprovera la folla, e anche i suoi discepoli, per questa grande capacità metereologica di saper leggere le cose del meteo, di sapere analizzare le nuvole e i venti, ma che poi dimostra una grande incapacità di guardare cose accade tra le cose della terra, quelle che riguardano gli uomini, i passaggi, le decisioni, i progetti e tutto quello che succede.

Quanti di noi, in questo tempo non ci siamo cimentati in una lettura di quello che succedeva. Quante domande nel cuore di ognuno di noi: che sta succedendo? Al di là delle cose che sappiamo e del racconto della pandemia. che cosa ci sta chiedendo Dio attraverso la storia di questi tempi? Questa la domanda che mi permetto di consegnarvi questa mattina e che vi chiederei con semplicità di portarvi nel cuore: che cosa ci chiede Dio? Che cosa chiede ad ognuno di noi? Se siamo qui è perché qualcuno attraverso un invito ci ha ritenuti degni di poter rispondere a questa domanda.

E ogni invito è anche un mandato! Siamo venuti qui forse in cerca di risposte ma sarebbe valsa la pena essere venuti qui se anche solo ripartissimo con la consapevolezza della domanda che ogni giorno il Signore ci mette nel cuore invitandoci ad essere una risposta con la propria vita.

Mi permetto ancora di condividere un’altra brevissima riflessione. Dice ancora il vangelo: “Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui”.

Abbiamo bisogno di accordarci! Lungo le nostre strade e i nostri cammini abbiamo bisogno di accordare il nostro cuore e il nostro passo. Per accordarci è necessario un tempo di silenzio e di ascolto – siamo nel tempo del Cammino sinodale –  per poter capire, leggere che cosa sta succedendo, trovare le parole per dare senso a tutto.

Ma, accordarci non è trovare una soluzione tra amici, ma imparare a suonare una musica senza stonature. È trovare gli accordi giusti perché la melodia sia una melodia che sappia dare speranza al nostro mondo. Senza che nessuno si senta escluso.

È passare dall’io al noi. È fare in modo che quella risposta che in Cristo ognuno di noi può essere ci veda sempre più capaci di “accordarci” e di condividere il cammino con tanti. Perché come dice il titolo di questa Settimana Sociale: Tutto è connesso. Ma tutto sarà connesso solo se tutti noi saremo capaci di connessioni, tra di noi prima, con il mondo che viviamo, con le persone che frequentiamo. E saremo connessi se impareremo ad essere “sine cera”, sinceri e orientati verso il sogno di Dio su di noi.

Concludo riportando le parole del Papa che ieri abbiamo ascoltato: “Ecco, dunque, il pianeta che speriamo: quello dove la cultura del dialogo e della pace fecondino un giorno nuovo, dove il lavoro conferisca dignità alla persona e custodisca il creato, dove mondi culturalmente distanti convergano, animati dalla comune preoccupazione per il bene comune” (dal Messaggio del Papa per la Settimana Sociale a Taranto).