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17 dicembre – A servizio della Guarigione

Dal Vangelo secondo Matteo (9, 9-13)

9Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì. 10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. 12Udito questo, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.  13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori”.

Gesù supera lo steccato del pregiudizio aprendo la via della sequela a tutti, senza escludere nessuno. Quello che poteva essere un problema per i primi discepoli, i pescatori provenienti dalla classe più povera della società, diventa un motivo di scandalo per i farisei, sedicenti custodi dell’ortodossia ebraica, i quali si vedono immischiati insieme a pubblicani e peccatori, senza alcuna distinzione. Essi, scandalizzati dall’atteggiamento di Gesù, dall’alto della loro presunta integrità morale, si ergono a giudici scrutatori de Nazareno e dei suoi discepoli per accusarli; invece essi stessi subiscono l’esame da lui, che conosce l’intimo di ciascuno di loro, e li trova mancanti. Perciò il Maestro li rimanda per imparare i fondamentali della fede: «Misericordia io voglio e non sacrifici». La vita, per certi versi, è una scuola continua di umanità i cui livelli più alti si raggiungono solamente mettendosi alla sequela di Cristo che chiama attorno a sé non i perfetti ma i perfettibili, non quelli che amano le discussioni, ma che si mettono in discussione e sono capaci, come Matteo il pubblicano, di ricalcolare l’itinerario della propria vita.

Signore Gesù, medico misericordioso che guarisci le ferite del peccato e doni la salute dello spirito, ti ringrazio perché rivolgi i tuoi occhi verso di me, uomo fragile e di vita breve, che nulla può offrire se non la sua povertà. La tua parola vinca la sordità del mio cuore indurito dall’avidità e mi dia la forza di lasciare ciò che mi lega ai beni materiali e agli onori, per seguirti e gustare la bellezza dello stare a mensa con Te, dove s’impara l’arte dell’accoglienza e della fraternità. Guariscimi dalla presunzione del perfezionismo, scandalo che mi fa cadere nel giudizio contro gli altri. Donami l’umiltà di lasciarmi educare alla scuola di tanti miei fratelli e sorelle, i quali prima e meglio di me, hanno scoperto che fondamento della fede cristiana è la misericordia che sana.