segue video della Santa Messa
BASILICA CATTEDRALE DI MATERA
16 aprile 2025
Carissimi, mentre venivo qui a Matera mi ha raggiunto telefonicamente don Pino per porgere il saluto, l’augurio ed essere in comunione con tutti noi per questa celebrazione eucaristica. Lui celebrerà alle ore 20:30 a Cesena; assicuriamo anche noi la nostra preghiera.
Chi viene qui a Matera, quando lascia Matera, lascia il suo cuore. In questa comunione che la Provvidenza ha voluto, che ritornassi – e soprattutto in comunione anche con don Pino – e la preghiera di vocazione allo Spirito Santo, lo facciamo già all’inizio, per il pastore che verrà a reggere e servire questa amata Chiesa di Matera-Irsina, e si prevede anche di Tricarico.
Ringrazio il coro: complimenti! Ecco, lo trovo non solo rinnovato, ma anche – caro don Vito – ben impegnato. Grazie. Mentre ringrazio l’amministratore diocesano don Angelo Gioia e il Collegio dei Consultori per aver voluto che fossi io a presiedere la Messa Crismale in questo tempo di sede vacante.
Saluto tutti voi: sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi, laici, battezzati, con paterno affetto, facendo memoria di ciò che il Signore ci ha dato di vivere nel tempo condiviso durante il mio ministero episcopale in mezzo a voi che non si può dimenticare perché tocca fermamente la persona e quanto si è ricevuto.
Il tempo che Dio ci dona di vivere è sempre unico, ed è sempre l’oggi della salvezza come ci ricorda ogni mattina il Salmo 94, che preghiamo all’invitatorio: «Oggi, se ascoltate la voce del Signore, non indurite il vostro cuore». Questo, tuttavia, lo è in modo particolare, perché siete in attesa del nuovo pastore che guiderà l’amata arcidiocesi di Matera-Irsina, e verosimilmente anche quella di Tricarico.
Questa attesa non è alla stregua di un qualsiasi cambio dirigenziale, come può avvenire in un’azienda o in un’organizzazione qualsiasi. Noi sappiamo che il Signore non lascerà senza la guida necessaria il suo popolo pertanto, nella successione apostolica, noi ravvisiamo un particolare segno della sua cura e della sua premura per la sua Chiesa.
Conosco bene il rischio di vivere un tale avvicendamento – l’ho vissuto per un anno intero, se ricordate, essendo vescovo a Tricarico e amministratore poi di Matera – come frutto di chissà quali strategie o chissà quali politiche ecclesiastiche. Tuttavia, vi esorto a non smarrire la dimensione della fede con cui va vissuto un simile frangente. O tutto di noi attinge a questa lettura simbolica che è propria della fede, o tutto scade nel calcolo e nella ricerca di interessi personali.
Questo è il tempo in cui, con più determinazione, siete chiamati a mettervi in gioco, perché questa vostra Chiesa appaia “senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata”, così come il Signore l’ha voluta. Non è più il tempo per battitori liberi, é quanto mai è necessario organizzare la speranza, mettendo insieme le intuizioni, gli sguardi, le energie, per non lacerare la veste di Cristo, che è a sua Chiesa.
Mi piace ricordare, in questo momento, l’esperienza che abbiamo condiviso dapprima in occasione della visita pastorale – momento così significativo per me, e spero che lo sia stato anche per voi – e, a seguire, poi, il Sinodo che avete celebrato come una conseguenza. Sono stati momenti in cui abbiamo toccato con mano la bellezza dell’essere Chiesa.
Allontaniamo, perciò, il più possibile quella tentazione subdola che talvolta ci seduce, ossia quella di costruire una Chiesa a nostra immagine e somiglianza che, per quanto bella, affascinante, è la nostra Chiesa, ma non è la Chiesa di Cristo.
Allontaniamo la tentazione di un ministero presbiterale secondo il nostro modo di vedere, che, per quanto perfetto, non ha nulla a che spartire con quello voluto da Cristo il quale, guarda caso, affida i suoi tesori non a uomini puri, ma a fratelli che ogni giorno si lasciano toccare e purificare dalla sua grazia.
Guai ad indugiare in quella sorta di “cinismo” tipico di chi guarda tutto con disincanto e non riesce più a leggere la sapiente mano di Dio che in modo provvidente guida e accompagna ciascuno dei suoi figli.
Siamo nell’Anno del Signore, l’Anno del Giubileo. Farci pellegrini di speranza vuol dire declinare la speranza come ricerca appassionata del bene possibile, qui e ora.
Per far questo è necessario ravvivare il dono di Dio che è in voi, per l’imposizione delle mani del vescovo. Quando Paolo scrive a Timoteo, la situazione ecclesiale non è più quella degli inizi, segnata dallo slancio missionario. Paolo è ben consapevole della stanchezza e della delusione che serpeggiano qua e là, gli sono note le frustrazioni e le deviazioni che attraversano la vita dei pastori e delle comunità.
Proprio per questo suggerisce un’operazione che un tempo era assai comune nelle nostre case quando al mattino si ravvivava il fuoco che la sera prima era stato coperto dalla cenere.
Il ministero è faticoso, certamente. Tutti potremmo testimoniare come una stagione della vita non sia uguale all’altra, un momento non valga l’altro.
Cosa devo ravvivare nella mia vita di presbitero e di diacono? La tentazione di leggere ogni cosa mediante l’avverbio “ormai” è dietro l’angolo: “ormai siamo in pochi”, “ormai i ragazzi non frequentano più”, “ormai è diminuita la gente che frequenta”, “la nostra presenza è irrilevante”, “ormai è venuta meno la fiducia”, “ormai i giochi sono fatti”.
La litania degli “ormai” potrebbe senz’altro allungarsi almeno quanto siamo qui questa sera. Si tratta di un’analisi che corrisponde al vero ma attenzione, però, a non essere vittime della sindrome del profeta Elia, il quale vive nella convinzione di essere rimasto l’unico e il solo. A lui, infatti, il Signore rivelerà la presenza di non pochi uomini e donne che non avevano abbandonato il loro Dio.
Credo che il nostro ministero, carissimi, ci dia l’occasione di trovarci non poche volte di fronte a dei veri e propri capolavori della grazia, che non sempre ricevono la giusta attenzione e che rimangono nel segreto delle nostre mura domestiche.
Noi non siamo discepoli dell’avverbio “ormai”, ma dell’avverbio “eppure”.
Eppure, ci sono non poche famiglie che vivono secondo la logica del Vangelo – e qui, questa sera, c’è una famiglia che compie trentuno anni di vita matrimoniale.
Eppure, ci sono ragazzi che scelgono di offrire il loro servizio nelle varie forme associative, un impegno vocazionale, come attesta la bella fioritura di seminaristi in questa Chiesa diocesana, che si contraddistingue tra tutte le altre diocesi. E lodiamo e ringraziamo il Signore per questo grande dono.
Ci sono tanti anziani, tanti ammalati che alimentano l’immenso tesoro dell’economia sommersa della grazia.
Eppure ci sono confratelli che offrono con abnegazione la loro vita e dico grazie, davanti al Signore, per tante belle testimonianze sommerse ma vive nella fede.
Dentro e fuori la Chiesa è forte la tentazione del disincanto, a cui fa seguito quella del disimpegno e di un’attesa rassegnata, tipica di chi ha tirato i remi in barca.
Chi di noi non attraversa momenti di turbamento?
Per questo abbiamo bisogno di tornare all’anima di ogni apostolato, proprio quando più forte è la tentazione dell’amarezza, della fuga e della sterile mormorazione.
L’”Imitazione di Cristo”, molto saggiamente, attesta che l’immaginazione di luoghi ideali ha ingannato molti.
La differenza, cari presbiteri e diaconi, la facciamo noi: i luoghi, le relazioni, le comunità, il ministero diventano belli se noi vi mettiamo la bellezza e la speranza che siamo stati in grado di mettere in salvo, se mettiamo il cuore in ogni realtà alla quale siamo chiamati. Mettere il cuore.
Anche questo è un tempo opportuno, un tempo da valorizzare. Dio non ha ritirato da noi il suo sguardo: è ancora a noi che oggi rivolge la sua chiamata quando, tra poco, rinnoveremo le promesse sacerdotali.
E quant’anche non avessimo più l’entusiasmo della prima ora, abbiamo certamente la consapevolezza che solo Lui ha parole di vita eterna: «Da chi potremmo andare, Signore?»
La chiamata di Dio a pascere, santificare e governare il suo popolo, se da una parte è irrevocabile, dall’altra è sempre custodita in vasi di creta, la cui fragilità non ne riduce la capacità.
Non è la fragilità a essere motivo di scandalo, ma la mediocrità di una vita ossidata, cioè non lubrificata dal crisma dello Spirito, che è olio di letizia.
La liturgia della Settimana Santa, prima di invitare i fedeli a rinnovare le promesse battesimali nella Veglia pasquale, invita i ministri ordinati a rinnovare le promesse sacerdotali nella Messa Crismale.
L’autorevolezza di un vescovo, di un prete o di un diacono non ha la sua radice nella capacità di organizzare, risolvere, inventare, ma nella consapevolezza umile di essere soltanto un vaso di creta in cui il Signore ha depositato l’inestimabile ricchezza dei suoi doni. a vantaggio di tutti gli uomini.
Per questo, noi non siamo i padroni della fede dei fratelli, ma i collaboratori della loro gioia.
Carissimi fratelli e sorelle, grazie per il sostegno che date ai nostri sacerdoti con assiduità e spirito di sacrificio. Non fate mai mancare la vicinanza discreta che li aiuti ad essere servi premurosi del Vangelo.
Pregate per tutti noi, perché la nostra vita, spesa nella lode di Dio e nel dono di noi stessi, sia come il crisma profumato che scende sulla veste di questa nostra Chiesa particolare e sul suo nuovo pastore, fino all’orlo.
Invochiamo tutti insieme Maria Santissima della Bruna, Madre della Chiesa, Regina degli Apostoli, perché a valore sostenga ogni nostro proposito e desiderio di bene.
Amen.
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