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XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – Lectio Divina

Is 55,10-11   Sal 64   Rm 8,18-23   Mt 13,1-23: Il seminatore uscì a seminare.

O Padre, che continui a seminare

la tua parola nei solchi dell’umanità,

accresci in noi, con la potenza del tuo Spirito,

la disponibilità ad accogliere il Vangelo,

per portare frutti di giustizia e di pace.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Isaìa Is 55,10-11

La pioggia fa germogliare la terra.

Così dice il Signore:

«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo

e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,

senza averla fecondata e fatta germogliare,

perché dia il seme a chi semina

e il pane a chi mangia,

così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:

non ritornerà a me senza effetto,

senza aver operato ciò che desidero

e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Stile efficace di comunicazione

Il profeta Isaia impiega l’immagine dell’acqua e della neve per dire che l’intervento di Dio a favore dell’uomo è “a pioggia”. Questo per affermare l’assoluta benevolenza di Dio che si coniuga con la fiducia nei confronti dell’uomo. La Parola come pioggia e neve suggerisce anche che lo stile della comunicazione e della relazione di Dio, quindi del suo amore per gli uomini, è caratterizzato dalla delicatezza, dal silenzio, dalla discrezione. Queste sono le basi perché una relazione sia autentica e feconda.

Salmo responsoriale (Sal 64)

Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.

Tu visiti la terra e la disseti,

la ricolmi di ricchezze.

Il fiume di Dio è gonfio di acque;

tu prepari il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra:

ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,

la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l’anno con i tuoi benefici,

i tuoi solchi stillano abbondanza.

Stillano i pascoli del deserto

e le colline si cingono di esultanza.

I prati si coprono di greggi,

le valli si ammantano di messi:

gridano e cantano di gioia!

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 8,18-23

L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.

Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

La speranza della creazione

San Paolo nella lettera ai Romani parla di tutta la creazione che, pur essendo caratterizzata dalla fragilità e dalla sofferenza, attraversa i dolori del tempo presente, come le doglie di un parto, sostenuta dalla speranza e guidata dal desiderio di rinascere come figli di Dio. L’oggi storico segnato dal dolore e dalla fatica guarda al futuro compimento che non è una illusione che ci porta fuori dalla storia, ma è una ferma certezza che ci fa pregustare già nel presente le primizie della gioia. La comunione fraterna, che trasfigura la comunità terrena degli uomini, è anticipazione già oggi della beatitudine celeste.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,1-23)

Il seminatore uscì a seminare.

1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti”.

10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. 11Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

15 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!

16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!

18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno”.

Lectio

Contesto

Seguendo la tradizione dell’evangelista Marco anche Matteo collega l’episodio dei familiari di Gesù che lo cercano al discorso in parabole (Mc 3-4// Mt 12-13). La tematica dei parenti incornicia il discorso del capitolo 13 (Mt 12, 46-50. 13, 54-58). Dalla fine del capitolo 12 si evince il fatto che per Gesù il discepolo è tale se si lega a lui con una relazione così intima che lo costituisce suo parente. Per seguire Gesù non bastano i legami di sangue, infatti, alcuni parenti o compaesani si scandalizzano di lui e lo rinnegano mentre altri che ascoltano la sua parola e la comprendono lo seguono entrando nel numero dei suoi discepoli.

Si nota che ci sono tre categorie di persone che si dispongono come su cerchi concentrici in base al tipo di relazione che hanno con Gesù. Nel cerchio più esterno si pongono gli avversari che lo osteggiano, poi ci sono le folle che ascoltano ma non sempre comprendono e infine i familiari e i discepoli. I familiari (che stanno fuori), guardano quasi da lontano le opere di Gesù; solo i discepoli sono quelli che ascoltano e comprendono veramente. Essi sono quelli verso i quali Gesù stende la mano indicandoli come i suoi veri familiari, ovvero la costituenda comunità dei credenti che è la Chiesa.

Il capitolo 13 presenta il terzo grande discorso di Gesù che si colloca al centro del racconto evangelico. Introdotto da un incipit solenne che descrive Gesù seduto sulla barca scelta come cattedra (13, 1-3a) e chiuso da quello che è definito l’autoritratto di Matteo in cui si parla del discepolo del regno dei cieli, si sviluppa il discorso che è costellato di parabole. Se ne contano otto considerando anche il detto conclusivo: il seminatore (13,3b-9), la zizzania (13,24-30), il grano di senape (13,31-32), il lievito (13, 33), il tesoro (13,44), la perla preziosa (13, 45-46), la rete (13,47-50), il padrone di casa (13,51-52). Il racconto delle parabole è intermezzato da altri interventi di Gesù: due battute sul genere parabolico (13,10-17.34-35) e due commenti alle parabole del seminatore (13,18-23) e della zizzania (13, 36-43).

Di queste parabole quella della zizzania, del tesoro, della perla e della rete sono proprie di Matteo, mentre le altre sono in comune con il racconto di Luca e di Marco, il quale dovrebbe essere la fonte della triplice tradizione (materiale comune ai tre vangeli sinottici). Colpisce la ricorrenza dei verbi «ascoltare» (sedici volte) e «comprendere» (sei volte), insieme ai termini «parabola» (dodici volte) e «Regno dei cieli» (sette volte). La trama narrativa in cui è inserito il discorso in parabole suggerisce l’idea che il contesto è quello della comunità dei discepoli che si forma attorno a Gesù. La Chiesa non può solo stare in ascolto ma deve anche comprendere per agire portando frutto. Questo è il tema della parabola del seminatore, raccontata da Gesù, e della sua spiegazione ad opera della comunità che cerca di attualizzare l’insegnamento del Maestro. Attraverso le parabole Gesù parla della sua missione e la Chiesa fa discernimento sul modo con cui continuarla trovando nelle parole e nell’esperienza del suo fondatore un modello al quale ispirarsi, un motivo di consolazione e una fonte di speranza. Centrale è il ruolo della Parola nella missione di Cristo e della Chiesa.

Struttura

vv. 1-3a – La giornata sul lago. Introduzione a tutto il discorso.

vv. 3b-23 – La cura della Parola

vv. 3b-9 – La parabola del seminatore

vv. 10-17 – Il valore pedagogico delle parabole

vv. 18-23 – Commento della parabola per la comunità

«1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose con parabole».

Questa introduzione, similmente a quella che precede il primo discorso sul monte, ambienta la raccolta dei detti di Gesù sulla riva del mare di Galilea. Il luogo rievoca la chiamata dei primi discepoli (4, 18-22). Il monte richiama il luogo in cui Dio dimora e sul quale gli uomini possono salire per incontrarlo ascoltando la sua parola. Il mare, invece, suggerisce, da un lato, l’idea della orizzontalità della parola di Gesù, ovvero il fatto che attraverso di lui Dio scende al livello dell’uomo, e dall’altro, la universalità dell’uditorio. Esso è composto dai discepoli e dalla folla, nella quale sono integrati. Il discorso interrompe il corso della narrazione rallentando il tempo del racconto, quasi imponendo una pausa all’attività per dedicare del tempo alla riflessione.

Due volte è menzionato il verbo sedere che segue prima il movimento di Gesù di uscire di casa e poi quello di salire sulla barca. Il sedere sulla riva del mare in un primo momento palesa l’intenzione di Gesù di andare verso gli uomini. Egli non passa dalla spiaggia, ma si siede perché intende abitare quel luogo. Nella vita degli uomini Gesù non vuole essere un passante ma un residente. Il fatto che Gesù abiti quello spazio fa sì che si crei una comunità la quale si raduna attorno a lui. Egli si pone nei suoi confronti come un maestro che dialoga, secondo lo stile tipicamente rabbinico. La barca, strumento di lavoro dei pescatori e mezzo di comunicazione tra rive opposte, diventa la cattedra dalla quale insegnare. La barca indica l’esperienza di vita della gente a cui Gesù si rivolge.

Il verbo sedere è all’imperfetto per indicare l’azione prolungata nel tempo mentre la gente stava in piedi sulla riva. Lo stare seduto di Gesù indica una certa stabilità nella scelta di essere in dialogo con coloro che lo ascoltano. Lo stare in piedi invece suggerisce l’idea che chi ascolta ha varie possibilità di scelta se rimanere o andare via, ovvero se essere un ascoltatore attento e assiduo o distratto e occasionale.

L’evangelista specifica che il dialogo con la gente avviene attraverso il genere letterario delle parabole, già conosciuto nella tradizione sapienziale d’Israele. La parabola, come dice il termine greco, induce l’ascoltatore ad accostare la Parola alla vita. Esse possono essere racconti o allegorie che attivano paragoni e un giudizio.

«E disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti”».

La parabola presenta un lavoratore della terra nell’atto di seminare. Per farlo deve innanzitutto uscire da casa. Come Gesù era uscito di casa non per fare una passeggiata ma per evangelizzare, così il seminatore esce per seminare. Quello di Gesù è un annuncio del Vangelo e la sua parola è come il seme che, per diventare pianta fruttuosa, deve entrare in contatto con la terra. Sia in ebraico che in latino si nota l’assonanza lessicale dei termini “terra” e “uomo”. Il seminatore, come Gesù sulla barca, è definito nella sua identità da quello che fa. Se chi semina è il seminatore, Gesù è il messaggero che porta il seme della Parola di Dio e la sparge ovunque.

L’attenzione passa dal seminatore al gesto di seminare e dalla seminagione alla sorte del seme che dipende dal tipo di terreno sul quale cade. La parabola presenta fondamentalmente due tipologie di terreno, quello che non permette la fruttificazione del seme e quello che invece viene da esso fecondato con successo. L’allegoria del seminatore, del seme e del terreno rimanda a Gesù che annuncia la Parola senza alcun pregiudizio che ne limiti l’azione e i destinatari. In più suggerisce l’idea che la sua opera evangelizzatrice si coniuga con la responsabilità di chi ascolta. Determinante per la sorte del seme e l’efficacia della Parola è il modo con cui si ascolta perché da esso dipende la comprensione e l’attuazione.

L’invito finale ad ascoltare permette di collegare la parabola al primo comandamento: «Ascolta, Israele… amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze» (Dt 6,4-9). Gli ascoltatori si dividono in due tipologie, chi ascolta ma non comprende e non opera la giustizia e chi invece ascolta, comprende e ama. Secondo alcuni la terra battuta, il terreno sassoso e quello pieno di rovi rappresentano gli uomini che non amano Dio con il cuore, non lo amano con la propria anima e non lo amano con le proprie forze. Il verbo amare più che indicare uno stato d’animo o un sentimento descrive operazioni concrete da danno corpo alla scelta fondamentale che si compie.

«10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. 11Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:

Udrete, sì, ma non comprenderete,

guarderete, sì, ma non vedrete.

15 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,

sono diventati duri di orecchi

e hanno chiuso gli occhi,

perché non vedano con gli occhi,

non ascoltino con gli orecchi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano e io li guarisca!

16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!»

I discepoli dopo il racconto della parabola vanno vicino a Gesù rispondendo al suo farsi prossimo per annunciare la Parola. La domanda rivela la volontà di comprendere. La risposta di Gesù permette di riflettere sul genere letterario della parabola e sulla sua importanza pedagogica. Il porsi delle domande denota che i discepoli rappresentano il terreno buono dove il seme viene accolto e trova il modo di fruttificare. Gesù risponde alla domanda dei discepoli annunciando che essi sono “i piccoli” ai quali Dio, mediante il Figlio, rivela il suo progetto salvifico e li coinvolge nella sua realizzazione. Il passivo teologico («a voi è stato dato di conoscere») indica l’azione di Dio che invia il Figlio per seminare la Parola affinché essa cada nei solchi della storia degli uomini e porti frutti di bene. La parabola è il genere letterario che meglio descrive la relazione che Dio instaura con gli uomini. Il racconto della parabola del seminatore esemplifica e spiega la pedagogia di Dio. Al voi dei discepoli si oppone il loro di chi pure ascolta la parola, ma non comprende. Questa ottusità non è prestabilita da Dio ma è conseguenza di chi si chiude alla sua Parola, come afferma anche la profezia di Isaia. La citazione, tratta da Is 6, 9-10, è inserita nel racconto della vocazione del profeta il quale è inviato a Israele che però non comprenderà il messaggio a causa della durezza del suo cuore. Gesù parla in parabole perché Dio vuole superare le resistenze dell’uomo. Infatti, c’è un parallelo il seminare del seminatore che sparge il seme ovunque e il parlare in parabole alla folla. In mezzo ad essa ci sono i discepoli ma anche chi non segue Gesù o addirittura lo osteggia. I discepoli devono tuttavia stare attenti perché, se è vero che Dio semina la Parola con speranza che anche i più refrattari possano convertirsi, è anche vero che avvenga il contrario, ovvero che i “piccoli” di un tempo diventino quei “dotti e sapienti” ai quali viene preclusa la conoscenza della vera sapienza.

«18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Dopo la riflessione sul genere letterario della parabola e del suo valore teologico e pedagogico, l’evangelista offre un’applicazione pratica. Si tratta di un commento omiletico in cui si attualizza la Parola coniugando l’annuncio evangelico con la vita. Tra le righe s’intravede il problema della credibilità dei discepoli che nella loro missione rischiano di scindere la Parola che annunciano da quella che vivono. Questo è dovuto al fatto che alcuni discepoli, pur avendo ricevuto la Parola, non l’hanno accolta qual è veramente e non l’hanno compresa e messa in pratica. Il tutto si gioca nel laboratorio del proprio cuore che necessita di essere purificato affinché possa accogliere il seme, ovvero ascoltare la Parola, comprenderla, cioè assimilarla perché la propria volontà si conformi a quella  di Cristo, e infine portare frutti compiendo opere di giustizia. Nella comunità riecheggia la Parola di Gesù che non punta l’indice accusatorio contro i discepoli ma nella verità li esorta a non cedere alla tentazione dell’orgoglio che rende sterile e arido anche ciò che la grazia di Dio ha preparato per essere fruttuoso.  

Meditatio

La relazione con Dio è opera di bonifica del cuore

La parabola del seminatore è la madre di tutte le parabole perché con essa Gesù ci insegna un metodo di ascolto, di relazione e di amore. La parabola è una narrazione che invita colui che l’ascolta ad accostare la storia alla propria vita perché susciti un autogiudizio, una verifica, ovvero un discernimento sul proprio modo di vivere: che vita sto vivendo? La parabola non è un semplice insegnamento, ma è l’attivazione di una relazione attraverso la quale avviene una trasformazione in colui che si lascia coinvolgere in essa. Questa relazione richiede pazienza, perseveranza, umiltà, fiducia, generosità, docilità affinché sia feconda.

Gesù, come il seminatore, esce. Uscire indica il cammino di Dio verso l’uomo e sedere lungo la riva suggerisce l’idea che il Signore abita i luoghi in cui gli uomini si trovano e nessuna loro situazione gli è estranea. L’insegnamento dalla barca rivela il fatto che la parola di Gesù non è parola di uomini, ma Parola di Dio. Nelle pagine precedenti e in quelle successive del vangelo la barca è il luogo legato alla manifestazione di Gesù ai discepoli e alla loro reazione dalla quale emergere la poca fede che li caratterizza.

L’immagine del seminare indica il modo con il quale Gesù comunica. Egli viene incontro ad ogni uomo, senza selezione previa o calcoli preventivi.

Insegnare dalla barca significa indicare la differenza tra lo stile di relazione a cui si è abituati a quello a cui Dio vorrebbe educarci. C’è infatti uno stile di vita proprio di chi è sulla riva del mare ad aspettare e chi è invece sulla barca per andare verso un oltre e verso gli altri. Tutti siamo sulla riva, ma dopo aver ascoltato la Parola, dopo aver incontrato Gesù, cosa abbiamo fatto? Siamo rimasti sulla riva ad aspettare tempi migliori, che altri si avvicinino o facciano il primo passo, che il mondo attorno a noi cambi, oppure ci siamo avvicinati alla barca di Gesù, abbiamo approfondito il discorso con lui, ci siamo intrattenuti con il Maestro, siamo saliti con lui sulla barca, lo abbiamo seguito, abbiamo accettato la sua proposta, ci siamo messi in gioco, ci siamo dati da fare per mettere in pratica la parola che abbiamo ascoltato?

Interloquendo con Gesù impariamo non solo a giudicare il mondo e ad analizzare i mali che l’affliggono, ma soprattutto a giudicare noi stessi per imparare dai nostri sbagli ad essere persone buone. Infatti, una persona è buona non per carattere, ma ciò che è potenzialmente lo diventa in pienezza se si lascia mettere in crisi, purificare, bonificare e fecondare dalla Parola di Dio.

Oggi sono beati gli uomini i cui occhi vedono e i cui orecchi ascoltano Dio cosicché il loro cuore non sia più «ingrassato» (traduzione letterale del termine greco che è reso con «insensibile»).

Cosa riveste il cuore di «grasso» e impedisce di passare dal vedere al guardare, dal sentire all’ascoltare, dal giudicare gli altri al prendersi cura di sé stessi e amare i fratelli? L’immagine delle tre tipologie di terreno ci aiutano a comprendere quale sia il lavoro su noi stessi per poter essere terreno buono e, in definitiva, rendere autentica e fruttuosa la nostra relazione di amore con Dio e con gli altri. La terra dura, il terreno sassoso e quello con i rovi sono tre immagini che descrivono il cuore del discepolo e la sua poca fede. L’incontro con Gesù che ci parla, comunicandoci il suo amore, mira a farci diventare terreno buono che fruttifica e non importa quanto, ma interessa che porti frutto.

Gesù mi chiede ci guardarmi e ascoltarmi dentro, in modo da domandarmi cosa mi rende duro e rigido al punto che «rimbalza» quello che mi viene dato e detto? Perché non sono capace di fare tesoro anche dei rimproveri? Cosa mi brucia dentro che mi induce istintivamente a puntare il dito contro gli altri e a rimbalzare o scaricare le responsabilità sugli altri? Cosa mi rende incostante e brucia il mio entusiasmo per cui mi sento demotivato e insofferente e perciò incline a notare più quello che mi manca o le mancanze degli altri? Quali ansie mi tolgono il respiro e quali preoccupazioni soffocano lo Spirito di Dio nel servizio che svolgo al punto che tutto mi pesa e mi tiro in dietro cercando altrove una soluzione al mio malessere?

Queste domande sono un modo per scavare dentro di noi, ma non semplicemente per un’analisi. La Parola di Dio sia come la lama dell’aratro che vanga il terreno per prepararlo ad accogliere la Sua grazia, sia come la terra che aggiungiamo a quella che c’è perché, aumentando lo spessore della nostra umanità, il suo Amore possa penetrare più profondamente e conferire stabilità e fedeltà al servizio che svolgiamo e sia un opera di bonifica delle nostre paure e preoccupazioni terrene per aprire la terra al cielo e poter dare respiro, lo Spirito Santo, ai nostri desideri e progetti.

La Parola di Dio, bonificando il cuore, lo rende accogliente e non giudicante, fedele e non superficiale, compassionevole e non ansioso. Il frutto, anche se in misura ora minore ora maggiore, è la benevolenza che apre la mente e il cuore, la gioia che sostiene la fatica della perseveranza, l’amore che ossigena ogni incontro.

Oratio

Signore Gesù, narratore del Padre,

che lo rendi visibile e prossimo ad ogni uomo,

spargi a piene mani il seme della Parola

perché nessuno di quelli che incontri

rimanga arido e sterile.

Guariscimi dall’orgoglio che indurisce il cuore

facendolo diventare refrattario

all’azione della grazia di Dio.

Il tuo Spirito renda i miei sensi

aperti a cogliere la tua presenza

nei fratelli la cui storia incrocia la mia,

affinché possiamo venirci incontro reciprocamente

con sentimenti di fiducia

e amorevole compassione.

Schiodami dalle mie convinzioni

che hanno la pretesa di essere la verità

e metti nel mio cuore

una salutare e gioiosa inquietudine

che impedisca di accomodarmi

sugli scranni dei giudici.

Consolàto dalla dolcezza del tuo amore

fa di me un tuo servitore

nelle cui mani abbonda il seme della Parola

per spargerlo in qualsiasi campo,

col bello o il cattivo tempo,

desideroso solamente di offrire a tutti

l’occasione di conoscerti,

certo della sua efficacia e

fiducioso nell’accoglienza dei fratelli. Amen.