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Gn 12, 1-9; salmo 32 (33): Mt 7, 1-5

 

Sono pochi versetti del c. 7 del vangelo di Matteo che la liturgia di oggi offre alla nostra riflessione. Potremmo introdurli così: Dal Padre ai fratelli! Come a dirci che la comunità cristiana deve respirare a due polmoni, prendendo aria pura di libertà dal rapporto filiale con Dio Padre, e a sua volta è chiamata ad ossigenare il mondo con un’ampia espirazione di bontà.

E per utilizzare una immagine di papa Francesco “Quando ci viene la tentazione di giudicare gli altri, è meglio guardarsi prima allo specchio, non per nasconderci con il trucco ma per vedere bene come siamo realmente. Ricordando che l’unico vero giudizio è quello di Dio con la sua misericordia. È la raccomandazione di non cedere alla tentazione di mettersi al posto del Signore, dubitando della sua parola”.

Il male diffuso nella società di oggi infatti è la presbiopia… Vediamo infatti molto bene i vizi delle persone a noi vicine e li critichiamo anche con durezza, ma non vediamo i nostri difetti che spesso sono molto più gravi. Allora, chiediamo al Signore di aiutarci a guardare i nostri fratelli con la stessa misericordia e compassione con cui Lui guarda loro e noi. E se qualcuno, grazie al Signore, è più retto, preghi incessantemente e Gli chieda perdono per i fratelli che sbagliano affinché Lui ne abbia misericordia. Gesù conosce molto bene le nostre debolezze, ma se ci affidiamo a Lui, se perseveriamo nella preghiera, Lui sarà felice di aiutarci a rendere il nostro cuore simile al Suo.

Che cosa dunque è veramente grave nella vita di un cristiano?

È grave giudicare gli altri con intransigenza e livore, è grave e ipocrita condannare con forza e severità gli altri perché commettono atti che sovente proprio chi condanna compie a sua volta. È ancor più grave se dei comportamenti peccaminosi diventano mezzi di ricatto, di potere, di complicità, fino a condurre battaglie comuni contro “altri” sentiti come nemici.

Chi non giudica non sarà giudicato, chi fa misericordia otterrà misericordia. È in questa comprensione del Vangelo che papa Francesco ha detto parlando all’episcopato brasiliano: «Serve una chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia non è possibile inserirsi in un mondo di “feriti”.

Lettera di indizione dell’Anno della Misericordia, 10: “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole.”

Nell’Eucaristia -ci ricorda papa Francesco- la fragilità è forza: forza dell’amore che si fa piccolo per poter essere accolto e non temuto; forza dell’amore che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta per riunirci tutti noi in unità.

Quante volte la nostra presunzione ci acceca!!! Siamo infatti subito pronti a scusare e giustificare i nostri comportamenti, i nostri peccati e le nostre mancanze, ma abbiamo una grande capacità di ingigantire e sottolineare le cose che non vanno bene negli altri. Siamo dei fenomeni!!! È vero che esiste il bene e il male… ma se riuscissimo a giudicare i comportamenti e non le persone, questo sarebbe già un passo avanti, perché solo Dio può vedere il nostro cuore e valutare il grado di consapevolezza e di gravità delle nostre azioni.

 

Chi vuole cambiare il mondo si lasci prima cambiare il cuore.

Dobbiamo soffermarci a meditare la E.G., n° 169 “In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario… Dobbiamo apprendere tutti questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.

 

“Con la misura con cui misuriamo saremo misurati” (v. 2).

Parola che ci spinge a usare la misura più misericordiosa che possiamo immaginare, e che corrisponde all’invito a essere “misericordiosi com’è misericordioso il Padre nostro nei cieli” (cf. Lc 6,36).

Ma con quale misura occorre misurare?

San Giovanni Bosco si misurava sul Vangelo e il suo metro educativo si identificava con le virtù della pazienza, della bontà, e della misericordia.

Egli soleva dire: “con i ragazzi è più facile irritarsi e castigare quelli che resistono, piuttosto che correggerli con fermezza e con benignità. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza, nella loro poca fedeltà; e col trattare i peccatori, con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio”.

Non agitazione dell’animo, dunque, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro.

È sempre bene richiamare alla nostra attenzione le parole di don Bosco: “l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.” L’ascolto del cuore è possibile quando il nostro cuore si sintonizza sul cuore di Dio.

Dobbiamo chiedere al Signore di vivere un’autentica esperienza di fede, come Abramo, disposto a mettersi in cammino e ad abbandonare le proprie sicurezze.

La fede di Abramo si sviluppa e giunge a maturazione attraverso difficoltà e prove, cadute e riprese coraggiose.

La chiamata di Abramo, nostro padre nella fede, é la madre di tutte le vocazioni. (G. Ravasi)

Abramo scopre l’assoluto primato di Dio nel tempo della maturità, nel segno della profondità degli affetti e dei dolori umani. “Lascia e vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre”» è il comando del Signore per Abramo. E «Abramo, dice la lettera agli Ebrei, “per fede obbedì” partendo per una terra che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava».

Abramo non edifica una casa: pianta una tenda, perché sa che è in cammino e si fida di Dio, si fida».

E allora dove si gioca la fede?

Nella capacità di credere non alle apparenze, ma alla realtà, di vedere l’invisibile, di vedere in queste apparenze di morte il filo conduttore dell’azione di Dio che porta avanti il suo progetto di vita. Questa è la fede: rileggere gli eventi con occhi capaci di vedere l’invisibile.

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? …”.

Ma proprio in riferimento alla correzione Gesù si fa esigente: questa non può essere mai denuncia delle debolezze dell’altro; non può essere pretesa per umiliarlo. Purtroppo nella vita ecclesiale spesso la correzione, anziché causare conversione, perdono, e riconciliazione, produce divisione e inimicizia, finendo per separare invece che per favorire la comunione.

Ciò che vediamo negli altri come “trave”, lo sentiamo in noi come pagliuzza; ciò che condanniamo negli altri, lo scusiamo in noi stessi. Allora meritiamo il giudizio di Gesù: “Ipocrita!”.

Per prendersi cura veramente degli altri è necessario che ci lasciamo curare, soprattutto dal nostro orgoglio, quello che subdolamente si nasconde tra le pieghe di una presunta disponibilità al servizio.

Chiediamo al Signore l’umiltà di saper riconoscere i nostri difetti e di lasciarci guarire dai nostri peccati. Cresca sempre in noi il desiderio di cambiare in meglio!

  

“Donna, Ecco tuo figlio!”

Sotto la croce diventiamo tutti figli di Maria. Senza la Sua maternità è difficile riuscire a vivere fino in fondo il Vangelo.

“La nostra vita ha quindi le sue radici nella croce di Gesù, nella stabilità di Maria, nella fedeltà di Giovanni. Siamo nati là, in quell’ora, dal cuore trafitto di Cristo e siamo stati affidati da lui al cuore della Madre… Affidàti a lei, riceviamo a nostra volta in lei e da lei la santa Chiesa; la riceviamo come Madre da amare, da onorare; la riceviamo per darle ascolto, per obbedire ai suoi suggerimenti, per camminare con la sua guida nella via della luce quali veri figli di Dio”. (Madre Anna Maria Cànopi)

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela!».

Servire il Signore -ci ricorda papa Francesco- significa ascoltare e mettere in pratica la sua Parola. È la raccomandazione semplice ma essenziale della Madre di Gesù ed è il programma di vita del cristiano.

La Madre di Dio, proprio sotto la croce, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù.

 

Maria SS. della Bruna, prega per noi!