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Vocazione e missione del profeta Geremia

 

Geremia è un giovane impacciato e timido, costretto ad annunciare a un popolo illuso e a un potere politico gretto e ostinato un destino tragico, che si sarebbe compiuto nel 586 a.C. con la distruzione di Gerusalemme e la deportazione degli Ebrei da parte dei Babilonesi trionfatori.

Questa situazione ha comportato per il profeta Geremia di venire sbeffeggiato, umiliato, carcerato in una cisterna, emarginato. Sprofondato nell’abisso fisico e spirituale, egli aveva rasentato la disperazione e gridato a Dio la sua ribellione, maledicendo il giorno della sua nascita e della sua vocazione profetica, considerata un atto di “seduzione” da parte di Dio.

“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me.”

Anche noi facciamo fatica ad accettare sconfitte nel corso della nostra esistenza proprio perché la nostra umanità si ribella. Certo, stare dalla parte di Dio come ci testimonia Geremia non è sempre facile, talvolta è causa di lotte e incomprensioni. Tuttavia proprio quando la misura dello sconforto e del dolore sembra colma e l’uomo si arrende al proprio limite, l’intervento di Dio ci raggiunge inaspettato e risolutivo come non avremmo mai immaginato.

Quando siamo stanchi ed afflitti ed ogni speranza sembra vana, scoraggiati dalle difficoltà della vita, impauriti da un futuro incerto, abbattuti perché l’aiuto tanto atteso sembra non arrivare mai, rinfranchiamo il nostro animo perché: «Il Signore stesso cammina davanti a te. Egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà. Non temere e non perderti d’animo!».

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nel fuoco della Geenna e l’anima e il corpo” (Mt 10, 28)

 

Viviamo in una cultura della seduzione.

Il consumismo e il divertimento continuano ad incantare il nostro mondo.

Simbolo sono i grandi centri commerciali dove si può consumare di tutto.

Quegli spazi vogliono liberarci dai nostri bisogni.

Tutti gli ambienti che frequentiamo vengono predisposti in modo da essere attrattivi. Tutto viene studiato minuziosamente per subire il fascino della seduzione.

La pubblicità parla soprattutto al corpo e alla sfera emotiva e prende le decisioni per noi. Ci basta fare un clic e veniamo accontentati. «Viviamo in un mondo di costrizioni e di sovrapposizioni, ma di poca passione» (A. Gidens).

La nostra cultura ci induce a vivere sempre di corsa, a rimandare la soddisfazione dei nostri bisogni profondi, per sperare nel piacere dei nuovi prodotti che vengono annunciati oggi e che arriveranno domani sui nostri mercati. La velocità non è molto amica della profondità.

In questa cultura della seduzione si coltivano le apparenze, si antepone l’apparire all’essere; le decisioni sono insicure. Si dice «sì» senza dire «no», e gli impegni nelle relazioni, nell’amicizia, nel gruppo, nel lavoro hanno breve durata.

Ma lo Spirito di Dio opera anche in questa cultura.

Il vangelo di oggi ci ricorda che i veri nemici dei discepoli non sono quelli di fuori ma quelli di dentro, quelle tentazioni che nascono dal cuore, quegli atteggiamenti idolatrici ai quali la comunità cristiana cede. I nemici di fuori, in realtà, sono occasioni per mettere in pratica il Vangelo, per mostrare la propria fede e la propria fedeltà al regno di Dio.

“Non abbiate dunque paura: voi valete ben più di molti passeri!” (v. 31)

La storia di Geremia è una storia tutta particolare, costruita sulla testimonianza sincera di un uomo che si è trovato costantemente a combattere con un Dio sempre inedito e imprevedibile, duro e sconcertante, e pure dall’immenso potere seduttivo nei confronti del profeta regolarmente perdente con lui.

E, così, egli sarà fedele fino alla fine e, quando ormai sarà tutto perduto perché la nazione sarà sconfitta e deportata, la terra di Giuda devastata e la speranza spenta, Geremia diventerà l’alfiere della rinascita.

È lui che intonerà il canto di ringraziamento per il ritorno gioioso dall’esilio babilonese. Sarà l’araldo di una “nuova alleanza” tra Dio e il suo popolo: «Porrò la mia legge dentro di loro – dice il Signore – la scriverò nel loro cuore. Allora sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (31,33)

La nostra società ha bisogno non soltanto di profeti che denuncino i mali che ci affliggono, ma di mistici che scoprano dove Dio sta creando qualche cosa di nuovo. La società ha bisogno di persone che con una sensibilità mistica possano incontrarsi con Dio nelle realtà più secolarizzate e più rovinate dal deterioramento personale, dall’ingiustizia e da ogni tipo di esclusione.

Geremia, “sedotto” da Dio, si ritrova in qualche modo “costretto”: «Nel mio cuore c’era un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa, mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9).

La chiamata di Dio può arrivare a “forzare” il cuore dell’uomo, non per violentarlo, ma per aprirlo ad un amore più grande, a un destino con Dio.

Lettera pastorale al clero di mons. Caiazzo (p. 20) “La nostra fede ci impone di essere in grado di saper sfidare il tempo che attraversiamo e le difficoltà che quotidianamente incontriamo, preoccupandoci di stare in mezzo alla nostra gente e abitando tutto il territorio della parrocchia”.

Geremia, profeta dei sentimenti forti e contrastanti è un testimone della passione e della compassione umana.

Abbiamo bisogno forse anche noi di risvegliare il nostro cuore dal torpore di una fede «solo recettiva»: occorre vivere un nuovo protagonismo affettivo e missionario. Geremia non si accontenta: egli desidera di più! il profeta non deve amministrare ma deve «rivoluzionare» la storia della sua gente, perché è la Parola stessa che produce una rivoluzione del cuore e della mente: la conversione a Dio. In questo senso tutta la missione profetica diventa la grande esperienza di trasformazione e di crescita nell’amore.

 “La Chiesa che vive nel tempo per sua natura è missionaria” (AG 2)

– Geremia riconosce di essere stato «sedotto» da Dio in vista di una missione che gli procura anche «scherno ogni giorno» (v. 7) Il Signore lo prova perché egli deve crescere mediante la sofferenza. Egli deve «abitare la sua storia di contraddizioni e di persecuzioni» nella consapevolezza che Jahvé è con lui.

–Il profeta non viene creduto; la sua parola non viene ascoltata! Egli diventa un personaggio scomodo del tuo tempo, nel suo ambiente lacerato dalle contrapposizioni politiche e dalle contraddizioni sociali. Molti insinuano, minacciano, osservano e aspettano il momento propizio per attentare alla sua incolumità (cfr v. 10).

 

Pensiamo all’esperienza di santa Teresa d’Avila (1515-1582), la grande riformatrice del Carmelo e autrice di opere di alta spiritualità.

Teresa, rivelando solo dei frammenti della sua straordinaria storia di amore con Cristo, scrive: «Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù, infatti, aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente.

Beato chi lo ama per davvero e lo ha sempre con sé!

Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica».

Ed ecco ancora un bellissimo testo di Agostino che troviamo nelle Confessioni: «Dio mio, restituiscimi Te stesso. Io ti amo. Se così è poco fammi amare più fortemente.

Non posso misurare, per sapere quanto manca al mio amore perché basti a spingere la mia vita fra le tue braccia e di là non toglierla finché ripari al riparo del tuo volto. So questo soltanto: che tranne Te, per me tutto è male, non solo fuori di me, ma anche in me stesso; e che ogni mia ricchezza, se non è il mio Dio è povertà»

 

La vita stessa della Madre di Dio testimonia i tanti momenti di angoscia, fatica, dolore da lei vissuti prima ancora della partecipazione alla Passione di Gesù, ai piedi della croce.

“La Vergine Maria fu esente dal peccato, non dalla lotta e da quella che san Giovanni Paolo II chiama la «fatica del credere».

Come sottolinea padre Cantalamessa -citando la Lettera agli Ebrei- noi “non abbiamo una Madre che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stata provata, lei stessa, in ogni cosa, a somiglianza nostra, eccetto il peccato”. In ogni prova eleviamo l’antica preghiera del Sub tuum praesidium: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.”

Maria Santissima, modello di fiducia e di abbandono in Dio nell’ora dell’avversità e del pericolo, ci aiuti a non cedere mai allo sconforto, ma ad affidarci sempre a Lui e alla sua grazia, perché la grazia di Dio è sempre più potente del male.

 

Maria SS. della Bruna, prega per noi!