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Matera 09 ottobre 2023

 

Carissimi,

 

ieri mattina ci siamo svegliati apprendendo la tristissima notizia di quanto stava succedendo in Israele e in Palestina. Un conflitto di per sé mai spento da oltre cinquanta anni. Ora, per noi, si aggiunge ai tanti altri sparsi sull’intera terra, mentre israeliani e palestinesi contano e piangono le vittime innocenti.

Penso che in questo momento il sentimento comune sia di ferma condanna. Lo sintetizza molto bene il comunicato congiunto dei Patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme: «Condanniamo inequivocabilmente qualsiasi atto che prenda di mira i civili, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia o fede. Tali azioni vanno contro i principi fondamentali dell’umanità e degli insegnamenti di Cristo».

La Conferenza episcopale italiana, in una nota, esprime «vicinanza e solidarietà a tutti coloro che, ancora una volta, soffrono a causa della violenza e vivono nel terrore e nell’angoscia», nello stesso tempo chiede «il pronto rilascio degli ostaggi». Ma indica anche «un percorso di stabilità per l’intera regione, nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Quella Terra che riconosciamo come Santa merita una pace giusta e duratura».

Di fronte a tanto terrore e sangue innocente siamo chiamati a riaccendere la speranza, fiduciosi che la pace sia possibile. Anzi la pace ci interpella tutti e ci impegna. Siamo tutti figli dello stesso Dio e fratelli che abbiamo bisogno d’incontrarci. Solo così torneremo ad essere “immagine e somiglianza di Dio”.

Alla luce di queste semplici e brevi considerazioni, sento di invitare le nostre comunità diocesane, di Matera-Irsina e di Tricarico, a vivere in tutte le comunità parrocchiali un momento di preghiera comunitaria, con lo sguardo rivolto ai tanti conflitti attualmente accesi sull’intera nostra madre terra, e a intercedere presso Dio perché ci conceda la pace.

Diceva il Card. Carlo Maria Martini: “Intercedere non vuol dire semplicemente ‘pregare per qualcuno’, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa ‘fare un passo in mezzo’, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta quindi solo di articolare un bisogno davanti a Dio (Signore, dacci la pace!), stando al riparo. Si tratta di mettersi in mezzo”.

Vi propongo questo schema di preghiera che ognuno può adattare come meglio crede, attingendo in particolare ad una attuale omelia che ci ha lasciato il Card. Carlo Maria Martini.

Vi abbraccio e benedico.

 

Don Pino

UN GRIDO di INTERCESSIONE

 

La preghiera si viva attorno al Crocifisso e all’icona della Madonna, collocati al centro del presbiterio

 

Canto iniziale

Sacerdote:  Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.

Sacerdote:  Fratelli e sorelle, siamo radunati qui, stasera, su invito del nostro Vescovo, per un momento di preghiera per la pace. Tale sollecitazione proviene dopo l’invito di Papa Francesco di pregare per la pace. Le sue parole diventano le nostre: ”Esprimo la mia vicinanza alle famiglie delle vittime, prego per loro e per tutti coloro che stanno vivendo ore di terrore e di angoscia. Gli attacchi e le armi si fermino, per favore!, e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti”. 

Sacerdote:  Invochiamo, ora, il Signore perché ci doni desideri autentici di pace,

a cori alterni

I coro: Eccoci, noi abbiamo fame, fame di una giustizia fatta di azioni e non di parole.

II coro: Eccoci, noi abbiamo fame, fame di commerci che non rispondano solo alla cupidigia umana.

I coro: Eccoci, noi abbiamo fame, fame di una pace che sia molto più di un desiderio di tranquilla sicurezza.

II coro: Eccoci, noi abbiamo fame, fame di Colui che dice: “Io sono il pane della vita. Io sono la fonte di acqua viva. Io sono il cammino, la verità e la vita”.

I coro: Eccoci, Signore, noi abbiamo fame della tua benedizione su di noi e su tutti e tutte coloro che condividono questa fame.

Tutti: O Dio, Tu che ci indichi ciò che è buono, noi confessiamo che rubiamo, mentiamo, viviamo nella cupidigia. Discutiamo con i poveri per togliere loro ciò che è loro dovuto e diamo ai ricchi tutto ciò che pretendono. O Dio, Tu che hai fame, noi confessiamo che abbiamo peccato contro di Te e contro le grida che abbiamo ignorato, gli squilibri che abbiamo trascurato, le disperazioni a cui siamo stati indifferenti, le frustrazioni che abbiamo accantonato, gli occhi che abbiamo chiuso.

Sacerdote:  Riconducici a Te, Padre, in modo che ti diamo non soltanto la nostra attenzione, ma anche le nostre vite a servizio di Colui che è pane per tutti, Gesù Cristo.

Tutti: Amen.

 

Seduti

 

Dal Libro di Neemia (9,1-10.26-37)

1-2Il ventiquattro dello stesso mese tutti gli Israeliti si radunarono per un pubblico digiuno. Si isolarono da tutti gli stranieri; indossarono vestiti di tela di sacco e si sparsero
polvere sul capo. In questo modo riconobbero i loro peccati e quelli dei loro antenati. 3Quando si furono radunati, per circa tre ore ascoltarono la lettura del libro della legge del Signore loro Dio. Per altre tre ore, chiesero perdono dei loro peccati e onorarono il Signore loro Dio. 4Su una tribuna stavano i leviti: Giosuè, Bani, Kadmiel, Sebania, Bunni, Serebia, Bani e Kenani. Essi invocavano Dio a gran voce. 5Alla fine i leviti, Giosuè, Kadmiel, Bani, Casabnia, Serebia, Odia, Sebania e Petachia invitarono tutti ad alzarsi e lodare il Signore loro Dio con queste parole:
‘In ogni tempo sia lodato
il tuo nome glorioso.
La tua grandezza supera ogni lode
e ogni acclamazione.

La solenne preghiera

6‘Tu, o Signore, sei l’unico Dio,
tu hai fatto i cieli,
il firmamento e le sue stelle,
la terra e tutti i suoi abitanti,
i mari e quanto contengono:
tu dai a tutti la vita
e le stelle del cielo s’inchinano a te.
7Tu, o Signore Dio, hai chiamato Abram
da Ur nella terra dei Caldei
e gli hai dato un nome nuovo: Abramo.
8Hai riconosciuto la sua fedeltà
e hai preso l’impegno
di dare alla sua discendenza
la terra dei Cananei,
degli Ittiti e degli Amorrei,
dei Perizziti, dei Gebusei e dei Gergesei.
Hai mantenuto la tua promessa
perché sei giusto.
9Hai visto la miseria dei nostri padri
in Egitto.
Hai ascoltato il loro grido d’aiuto
sulla riva del mar Rosso.

10Hai compiuto segni e prodigi
contro il faraone,
contro i suoi servi e tutto il popolo d’Egitto,
perché conoscevi la loro prepotenza
contro gli Israeliti.
Da quel giorno la tua fama
dura fino ad oggi.

26Poi sono diventati ribelli,
ti hanno disubbidito,
hanno voltato le spalle
ai tuoi insegnamenti.
Hanno ucciso i profeti
che volevano ricondurli a te.
Ti hanno trattato con grande disprezzo.
27Tu allora li hai abbandonati
in mano a nemici e oppressori.
Quando furono oppressi, gridarono a te.
Tu li hai ascoltati dal cielo
e, nel tuo amore infinito,
hai mandato liberatori
per strapparli dalle mani dei loro nemici.
28Appena tornava la pace,
di nuovo andavano contro la tua volontà.
Tu li abbandonavi ancora nelle mani
dei nemici e oppressori;
essi nella loro miseria ricominciavano
a chiamarti.
Tu li udivi dal cielo e, ancora una volta,
li liberavi
perché la tua bontà è senza fine.
29In mille maniere li hai richiamati
a essere fedeli ai tuoi insegnamenti:
sono sempre stati ribelli,
hanno disubbidito alla tua legge.
Non hanno osservato i tuoi comandamenti,
fonte di vita per chi li osserva.
Sono stati disubbidienti, ostinati e ribelli.
30Per anni e anni hai avuto pazienza con loro
e li hai chiamati con il tuo spirito
per mezzo dei profeti.
Non hanno mai ascoltato!
Alla fine, li hai abbandonati
in potere di genti straniere.
31Eppure, nel tuo amore infinito,
non li hai distrutti,
non li hai dimenticati del tutto,
perché tu sei un Dio buono e clemente.

32O Dio nostro, grande, potente e terribile,
tu mantieni il tuo impegno con fedeltà.
Ora tieni conto di quanto abbiamo sofferto,
noi e i nostri padri,
i nostri re e i nostri capi,
i nostri sacerdoti e i nostri profeti,
dal giorno in cui ci ha vinti il re d’Assiria
e fino ad oggi.
33In quel che ci è accaduto
tu sei stato giusto:
noi siamo colpevoli,
tu hai agito con fedeltà.
34I nostri padri, i re, i sacerdoti e i capi
non hanno ubbidito alla tua legge,
non hanno tenuto conto
dei tuoi comandamenti,
non hanno ascoltato i tuoi richiami.
35Proprio nella terra vasta e fertile
che avevi messo a loro disposizione,
proprio nel regno colmo dei tuoi beni
essi non ti hanno servito,
non hanno abbandonato
le loro azioni malvagie.
36E così oggi siamo schiavi!
schiavi in quella terra
che tu avevi dato ai nostri padri
per goderne i ricchi raccolti.
37Oggi i frutti di questa terra
vanno ad altri re,
noi siamo loro sottomessi
a causa dei nostri peccati.
Sono i nostri padroni:
dispongono a piacere del nostro bestiame
mentre noi viviamo in miseria’.

 

Momento di silenzio

 

Lettore: Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.

Dio, dà al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine.   Rit./

Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.  Rit./

Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri.  Rit./

Il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato.  Rit./

 

Meditazione da proporre a più voci, con momenti di silenzio, tratta dall’Omelia del Card. Carlo Maria Martini nella veglia per la pace organizzata dai giovani di A.C. Duomo, 29 gennaio 1991

 

 Una preghiera penitenziale

 

“Noi siamo in grande angoscia”; queste sono le parole conclusive della lunga preghiera che abbiamo ascoltato, dal Libro di Neemia.

  1. In questo testo, che risale ad alcuni secoli prima di Cristo, ci troviamo di fronte a una celebrazione penitenziale, incentrata sulla preghiera. Tale preghiera è una delle più belle tra quelle tramandateci dalla pietà ebraica, insieme con i Salmi. In essa ritornano i temi centrali dell’alleanza, della fedeltà alla legge, il tema della promessa, il tema dei peccati del popolo, dei castighi di Dio, della sua inesauribile misericordia e delle sue iniziative di perdono. Tutta la storia di salvezza è vista con uno sguardo retrospettivo che risale al primo intervento salvifico di Dio, la creazione stessa (“Tu, tu solo sei il Signore, tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutte le loro schiere, la terra e quanto sta in essa, i mari e quanto è in essi…”). La storia di salvezza, che passa per Abramo, Mosè, il Mar Rosso, il deserto, è riletta come una dimostrazione concreta della pazienza e della misericordia di Dio e, insieme, della infedeltà e della ostinazione dell’uomo.
  2. E noi rileggiamo questa preghiera di ventiquattro secoli fa, come comunità cristiana convocata in assemblea penitenziale; la rileggiamo ripensando alle esperienze passate della misericordia di Dio e alle nostre infedeltà. La rileggiamo soprattutto nell’orizzonte infuocato di una guerra che sta assumendo proporzioni spaventose. Ma vogliamo rileggerla di fronte al Crocifisso, sapendo che in Gesù, morto e risorto, si è manifestata l’ira di Dio sulle infedeltà umane ed è apparsa la sua fedeltà immutabile, è apparso il suo amore misericordioso che ha vinto il peccato del mondo. L’antica preghiera biblica ci offre dunque l’ambito della nostra preghiera di questa sera.
  3. Non è l’ambito etico politico, quello dei giudizi a livello del diritto internazionale, sui temi della pace e della guerra. Su tale livello si è già detto e scritto molto e i giudizi più taglienti e definitivi sono stati pronunciati dal Papa, nella sua qualità di pastore universale, di figura al di sopra di tutte le parti, di padre che si sente corresponsabile dei futuri destini dell’umanità e compartecipe in prima persona dei suoi lutti e delle sue tragedie. Il Papa ha detto chiaramente che la guerra non è uno strumento per superare i conflitti tra i popoli; che bisogna impegnarsi per mettervi fine; che occorre riprendere i negoziati; che la pace è ancora possibile…
  4. Questa sera però tratterò con voi un tema che potrebbe avere come titolo “Un grido di intercessione”; un tema che intende entrare assai di più dentro la carne del conflitto sanguinoso che ci coinvolge. Ci poniamo perciò nell’ambito della preghiera penitenziale di Neemia: l’ambito della invocazione, della intercessione, del pentimento, della penitenza. Ma qui nasce la domanda: non è questo un ambito sterile? non è un ambito che ci fa eludere i problemi, che li scavalca, per così dire, senza risolverli? Certo, per chi ha poca o nessuna fede non c’è altro linguaggio che quello degli argomenti umani e in particolare, degli argomenti forti. Il credente, tuttavia, non può limitarsi a questo. Per lui e per noi, questa sera, c’è lo spazio inesplorato della fede che abbraccia e penetra ben più nel profondo delle vicende umane. Le discussioni che si svolgono sul piano dell’etica politica o del diritto delle genti hanno sempre, come nodo di riferimento, la domanda: che cosa è giusto e che cosa non lo è? e dietro a tale domanda ne troviamo un’altra: chi è nel giusto o chi non lo è? Domande legittime, da non trascurare…Noi, invece, affronteremo un tema che vuole fare appello, assai più fortemente, alla vostra, alla nostra fede.

Confessiamo i nostri peccati Riprendo dunque le parole conclusive della preghiera di Neemia: “Noi siamo in grande angoscia”.

 

Momento di silenzio per riconoscere i propri peccati

 

  1. Io lo dico e ne do testimonianza: il mio cuore è turbato, la mia coscienza è lacerata, i miei pensieri si smarriscono. Tutti noi, senza fare eccezione tra credenti e non credenti possiamo ripetere: i nostri cuori sono turbati, le nostre coscienze: sono lacerate, i nostri pensieri si smarriscono, le nostre opinioni tendono a dividersi. Smarrimento e angoscia che non ci coinvolgono solo sul terreno del lutto per i morti, delle lacrime per tutti i feriti, del lamento doloroso per i profughi, per i senza tetto, per coloro che vivono nell’angoscia dei bombardamenti giorno e notte. Lo smarrimento e la divisione delle opinioni avvengono pure sul terreno delle riflessioni etico-politiche, che in questi giorni si succedono facendo balenare i più diversi giudizi. Vorrei dire molto di più: lo smarrimento e l’angoscia toccano persino l’ambito della fede e della preghiera, che è quello che ci riunisce questa sera, perché siamo qui per vegliare, digiunare, intercedere, facendo nostre le intercessioni e le grida di tutti gli uomini e le donne, di tutti i bambini, di tutti i vecchi in qualche modo coinvolti nel conflitto, di qualunque parte essi siano.
  2. Mi domando allora con voi: perché rischiamo di essere smarriti persino nell’ambito della fede e della preghiera? La risposta è molto semplice. Perché ci viene spontaneamente sulle labbra la domanda, quasi una protesta a Dio, come Giobbe: abbiamo già pregato, abbiamo chiesto tanto la pace, hanno pregato i nostri bambini, i nostri malati offrendo le loro sofferenze, ma tu, Signore, non ci hai esaudito! Ecco un grande motivo della nostra sofferenza civile, umana, religiosa, che tocca il cuore della fede: perché, Signore, non ci ascolti? perché nascondi il tuo volto? eppure in te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati. Ma io grido di notte e tu non ascolti, di giorno e tu non te ne dai pensiero! Vengono alle labbra queste parole dei Salmi, parole non inventate da noi, bensì pronunciate dai credenti di Israele di oltre duemila anni fa, che già si sono trovati davanti a Dio con questo lamento e con questa angoscia nel cuore. E facciamo nostre anche le parole amare di confessione e di pentimento del profeta Neemia, che si riferiscono a un lamento dolente del popolo di Israele, in un momento oscuro della storia, alcuni secoli prima di Cristo. Sentiamo emergere in noi il grido: “Abbiamo peccato come i nostri padri! Tu, Signore, hai agito fedelmente mentre noi ci siamo comportati con empietà”.
  3. Intravediamo una prima ragione del motivo per cui non siamo stati esauditi! Nelle nostre preghiere non siamo partiti da una chiara ammissione e ammenda delle nostre colpe. “Essi – dice Neemia – mentre godevano del loro regno, del grande benessere che tu largivi loro … non ti hanno servito e non hanno abbandonato le loro azioni malvagie”. Noi confessiamo: Ci siamo attaccati al nostro benessere, ne abbiamo approfittato in tutti i modi, lo abbiamo eretto a idolo, e poi pretendevamo che tu, o Dio, ci esaudissi, nel timore che questo benessere ci venisse a mancare Vorrei leggere una bella preghiera di Paolo VI, scritta molti anni fa, ma che si addice al nostro incontro, dove si dice tra l’altro: “Signore, noi abbiamo ancora le mani insanguinate dalle ultime guerre mondiali …. Signore, noi siamo oggi tanto armati come non lo siamo mai stati nei secoli prima d’ora e siamo così carichi di strumenti micidiali da potere, in un istante, incendiare la terra e distruggere forse anche l’umanità. Signore, noi abbiamo fondato lo sviluppo e la prosperità di molte nostre industrie colossali sulla demoniaca capacità di produrre armi di tutti i calibri, e tutte rivolte a uccidere e a sterminare gli uomini nostri fratelli; così abbiamo stabilito l’equilibrio crudele dell’economia di tante nazioni potenti sul mercato delle armi alle nazioni povere, prive di aratri, di scuole e di ospedali”. Paolo VI fa dunque passare, in questa preghiera, tanti peccati sociali della nostra epoca, peccati particolarmente evidenti ma che cercavamo di emarginare, a cui cercavamo di non pensare. Però non possiamo nasconderci come questi egoismi evidenti, che vengono a galla, abbiano origini oscure e tenebrose nel fondo dei nostri stessi cuori. Noi non abbiamo saputo fare un esame di coscienza nel profondo. Ha detto giustamente qualcuno: “I fiumi di sangue sono sempre preceduti da torrenti di fango”. In tali torrenti abbiamo sguazzato un po’ tutti noi umani, uomini e donne di ogni paese e latitudine: l’immoralità della vita, gli egoismi personali e di gruppo, la corruzione politica, i tradimenti e le infedeltà a livello interpersonale e familiare, il menefreghismo, l’indolenza e lo sciupio delle energie di vita per cose vane, frivole o dannose, l’insensibilità di fronte ai milioni di esseri umani la cui vita è soffocata con l’aborto, il volgere la testa di fronte alle miserie di chi sta vicino o di chi viene da lontano, il commercio della droga. Sì, in questi torrenti di fango ci siamo lasciati coinvolgere, ci siamo magari talora anche divertiti in maniera spensierata e irresponsabile. E poi vorremmo che Dio venisse incontro a una preghiera che spesso nasce proprio dalla paura di perdere le nostre comodità, il nostro benessere, di dover un giorno pagare di persona per i nostri errori.
  4. Se oggi c’è una guerra non è perché le cose si siano mosse quasi per caso o per sbaglio, pur se ci sono delle responsabilità precise, a cui nessuno potrà sfuggire. C’è una guerra perché, per tanto tempo, si sono seminate situazioni ingiuste, si è sperata la pace trascurando quelli che Giovanni XXIII chiamava “i quattro pilastri della pace”, cioè verità, giustizia, libertà e carità. Ogni colpa pubblica e privata contro questi quattro pilastri, ogni atto di menzogna, ingiustizia, possesso egoista e dominio sull’altro, pregiudizio e odio, hanno scavato la fossa e l’edificio è crollato sotto i nostri occhi. Perché la pace è un edificio indivisibile, e ciascuno di noi l’ha distrutto per la sua parte di responsabilità. Ogni seria preghiera per la pace deve quindi nascere dal pentimento e dalla volontà di ricostituire anzitutto nella nostra vita personale e comunitaria “i quattro pilastri”: verità, giustizia, libertà, carità. Senza tale volontà umile e sincera, la nostra preghiera e la nostra invocazione sono ipocrite.

 

Il dono evangelico di un cuore pacifico

 

Mi pare di poter portare una seconda ragione per cui la nostra preghiera non è stata esaudita. Io temo che spesso non l’abbiamo bene indirizzata. Abbiamo chiesto la pace come qualcosa che riguardava gli altri; abbiamo insistito perché Dio cambiasse il cuore dell’altro, nel senso naturalmente che volevamo noi. In realtà, il primo oggetto della autentica preghiera per la pace siamo noi stessi: perché Dio ci dia un cuore pacifico. “Dona nobis pacem” significa anzitutto: Purifica, Signore, il mio cuore da ogni fremito di ostilità, di partigianeria, di partito preso, di connivenza; purificami da ogni antipatia, pregiudizio, egoismo di gruppo o di classe o di razza; Tutti questi sentimenti negativi sono incompatibili con la pace. Eppure emergono vistosamente proprio ai nostri giorni, stimolati dalle notizie, dalle immagini che vediamo, stimolati dalle vibrazioni delle voci dei bollettini di guerra, dalla curiosità stessa eccitata da un conflitto la cui tecnologia sfiora l’inverosimile. Così, mentre preghiamo per la pace, nel fondo del nostro cuore finiamo per parteggiare, per giudicare, per auspicare l’uno o l’altro successo di guerra. L’istinto si scatena, la fantasia si sbizzarrisce, e la preghiera non tende verso quella purificazione del cuore, dei sensi, delle emozioni e dei pensieri che sola si addice agli operatori di pace secondo il Vangelo. È esigente essere operatori di pace secondo il Vangelo; è un dono che non si compra a poco prezzo, perché viene dallo Spirito e occorre accettare di pagarlo a caro prezzo.

 

La preghiera vera di intercessione

 

Ora desidero chiedere al Signore di farci fare un altro passo avanti. Di farci intendere qual è il senso profondo di una vera preghiera per la pace, che sia una preghiera di intercessione nel senso biblico, simile alla preghiera di Abramo, alla preghiera di Gesù su Gerusalemme.

Che cosa significa, Signore, fare davvero una preghiera di intercessione? Donaci, o Spirito santo di Dio, uno spirito autentico di intercessione in questo momento.

1.Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta quindi solo di articolare un bisogno davanti a Dio (Signore, dacci la pace!), stando al riparo. Si tratta di mettersi in mezzo. Non è neppure semplicemente assumere la funzione di arbitro o di mediatore, cercando di convincere uno dei due che lui ha torto e che deve cedere, oppure invitando tutti e due a farsi qualche concessione reciproca, a giungere a un compromesso. Così facendo, saremmo ancora nel campo della politica e delle sue poche risorse. Chi si comporta in questo modo rimane estraneo al conflitto, se ne può andare in qualunque momento, magari lamentando di non essere stato ascoltato. Intercedere è un atteggiamento molto più serio, grave e coinvolgente, è qualcosa di molto più pericoloso. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione. In proposito troviamo nella Bibbia una pagina illuminante. Nel momento in cui Giobbe si trova, quasi disperato, davanti a Dio che gli appare come un avversario, con cui non riesce a riconciliarsi, grida: “Chi è dunque colui che si metterà tra il mio giudice e me? chi poserà la sua mano sulla sua spalla e sulla mia?” (cf Gb 9,33-39, vers. spec.). Non dunque qualcuno da lontano, che esorta alla pace o a pregare genericamente per la pace, bensì qualcuno che si metta in mezzo, che entri nel cuore della situazione, che stenda le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. È il gesto di Gesù Cristo sulla croce, del Crocifisso che contempliamo questa sera al centro della nostra assemblea. Egli è colui che è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile, di una inimicizia ormai giunta a putrefazione, nel mezzo di un conflitto senza soluzione umana. Gesù ha potuto mettersi nel mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio. Ma la posizione di Gesù è quella di chi mette in conto anche la morte per questa duplice solidarietà; è quella di chi accetta la tristezza, l’insuccesso, la tortura, il supplizio, l’agonia e l’orrore della solitudine esistenziale fino a gridare: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46). Questa è l’intercessione cristiana evangelica. Per essa è necessaria una duplice solidarietà. Tale solidarietà è un elemento indispensabile dell’atto di intercessione. Devo potere e volere abbracciare con amore e senza sottintesi tutte le parti in causa. Devo resistere in questa situazione anche se non capito o respinto dall’una o dall’altra, anche se pago di persona. Devo perseverare pure nella solitudine e nell’abbandono. Devo avere fiducia soltanto nella potenza di Dio, devo fare onore alla fede in Colui che risuscita i morti. Tale fede è difficile, per questo l’intercessione vera è difficile. Ma se non vi tendiamo, la nostra preghiera sarà fatta con le labbra, non con la vita. Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori della legge e difensori della stessa. Però, quando guardo le persone, nessuna mi è indifferente, per nessuno provo odio o azzardo un giudizio interiore, e neppure scelgo di stare dalla parte di chi soffre per maledire chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: “Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro” (Le 23,34).

  1. Se una preghiera non raggiunge questa duplice solidarietà, se intercede perché il Signore soccorra l’uno e abbatta l’altro, ignora ancora il bisogno di salvezza di chi è eventualmente nel torto, di chi ha scelto contro Dio e contro il fratello, lo abbandona, non gli mette la mano sulla spalla, e la sua non è una preghiera di intercessione. Nella misura dunque in cui facciamo delle scelte esclusive nel nostro cuore, e condanniamo e giudichiamo, non siamo più con Gesù Cristo, nella situazione che lui ha scelto, e dobbiamo dubitare della validità e della genuinità della nostra preghiera di intercessione.
  2. Vorrei far notare che questo mettersi in mezzo non va concepito come un mezzo tattico, tanto per superare un’emergenza. È chiamato a diventare un modo di essere di chi vuole operare la pace, del cristiano che segue Gesù. Non abbiamo il diritto di restare in una situazione difficile solo fino a quando è sopportabile. Occorre volerci restare fino in fondo, a costo di morirci dentro. Solo così siamo seguaci di quel Gesù che non si è tirato indietro nell’orto degli ulivi.
  3. Noi ci accorgiamo che una vera intercessione è difficile; può essere fatta solo nello Spirito Santo e non sarà necessariamente compresa da tutti. Ma se un desiderio essa suscita è questo: di essere in questo momento nei luoghi dei conflitti dove cittadini inermi sono minacciati e uccisi. Stare là in pura passività, senza alcuna azione politica o alcun clamore, fidando solo nella forza della intercessione.

Stare là, come Maria ai piedi della croce, senza maledire nessuno e senza giudicare nessuno, senza gridare alla ingiustizia o inveire contro qualcuno. Se la guerra sarà abbreviata, e noi lo chiediamo con tutto il cuore, uniti insieme con il Papa, se la forza dei negoziati soverchierà di nuovo – lo speriamo presto – la forza maligna degli strumenti di morte, ciò sarà certamente anche perché nei vicoli delle città dell’Oriente, nei meandri attorno alle moschee o sulla spianata del muro occidentale di Gerusalemme ci sono piccoli uomini e piccole donne, di nessuna importanza, che stanno là, così, in preghiera, senza temere altro che il giudizio di Dio; prostrati, come dice Neemia, davanti al Signore loro Dio, confessando i loro peccati e quelli di tutti i loro amici e nemici, finché non si avveri la profezia di Isaia: “In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: ‘Benedetto sia l’Egiziano, mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità’” (Is 19,21-25).

 

Momento di silenzio

 

Litanie

 

 

Signore, pietà…  Signore pietà

Cristo, pietà…

Signore, pietà…

 

O Dio Padre celeste …  abbi pietà di noi

O Dio, Figlio Unigenito del Padre …

O Dio Spirito Santo …

Santa Trinità, unico Dio …

 

Santa Maria della speranza …  prega per noi

Santa Maria del cammino

Santa Maria della luce

 

Pienezza di Israele

Profezia dei tempi nuovi

Aurora del mondo nuovo

 

Madre di Dio

Madre del Messia liberatore

Madre dei redenti

Madre di tutte le genti

Vergine del silenzio

Vergine dell’ascolto

Vergine del canto

 

Serva del Signore

Serva della Parola

Serva della redenzione

Serva del Regno

 

Discepola di Cristo

Testimone del Vangelo

Sorella degli uomini

 

Madre della Chiesa

Maria, benedetta fra le donne

Maria, dignità della donna

Maria, grandezza della donna

Donna fedele nell’attesa

Donna fedele nell’impegno

Donna fedele nella sequela

Donna fedele presso la croce

Primizia della Pasqua

Splendore della Pentecoste

Stella dell’evangelizzazione

 

Presenza luminosa

Presenza orante

Presenza accogliente

Presenza operante

 

Speranza dei poveri

Fiducia degli umili

Sostegno degli emarginati

 

Sollievo degli oppressi

Difesa degli innocenti

Coraggio dei perseguitati

Conforto degli esuli

 

Voce di libertà

Voce di comunione

Voce di pace

Segno del volto materno di Dio

Segno della vicinanza del Padre

Segno della misericordia del Figlio

Segno della fecondità dello Spirito

 

Cristo, Signore della storia, abbi pietà di noi.

Cristo, Salvatore dell’uomo, abbi…

Cristo, speranza del creato, abbi.

Regina della Pace 

Vergine, Madre nostra! prega per noi adesso.

Concedici il dono inestimabile della pace,

di perdonare tutti gli odi ed i rancori,

la riconciliazione di tutti i fratelli.

Che cessi la violenza e la guerriglia.

Che progredisca e si consolidi il dialogo

e si inauguri una convivenza pacifica.

Che si aprano nuovi cammini di giustizia e di prosperità.

Lo chiediamo a te che invochiamo come Regina della Pace.

Adesso e nell’ora della nostra morte!

Ti affidiamo tutte le vittime dell’ingiustizia e della violenza,

tutti coloro che sono morti nelle catastrofi naturali,

tutti quelli che nell’ora della morte

si rivolgono a te come Madre e Patrona.

Sii per tutti noi, Porta del Cielo,

vita, dolcezza e speranza,

perché insieme possiamo con te

glorificare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.

 (S. Giovanni Paolo II) 

 

Benedizione finale