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Ritiro del Clero Regionale

Matera, 5 ottobre 2021
S. Em. il Cardinale incontra i Vescovi ed il Clero della Basilicata

Desidero condividere con voi alcune riflessioni sulla missione del sacerdote all’interno della missione della Chiesa.

Premessa

Carlo De Foucauld era un giovane parigino ateo e corrotto. “All’età di 20 anni – dirà lui stesso dopo la conversione – nel mio cuore non c’era neanche una briciola di bene”. Questo giovane,
il 30 ottobre 1886 all’età di 28 anni entra nella Chiesa di Sant’Agostino a Parigi e va a bussare alla porta del confessionale dove  abitualmente stava un santo sacerdote, l’Abbé Henri Huvelin:
l’Abbé Huvelin era il confessore del grande musicista Charles-François Gounod e del grande scienziato Louis Pasteur e di una folla di anime alla ricerca di Dio. Dell’Abbé Huvelin tutti dicevano: “Quando si incontra, quel sacerdote ti mette dentro il desiderio di Dio, ti mette dentro la voglia di conoscere Gesù”. Si potesse dire di tutti i sacerdoti!

Questo santo sacerdote durante alcune conferenze, aperte a tutti, aveva acceso nel cuore inquieto del giovane Carlo De Foucauld (che partecipò agli incontri spinto dalla cugina) un vivo desiderio di Dio.  Contemporaneamente Carlo De Foucauld avvertì uno struggente desiderio di uscire dalla vita di peccato, che gli aveva procurato soltanto tristezza e delusione. L’Abbé Huvelin aveva acceso una luce nella vita dell’inquieto Carlo De Foucauld.

Un buon prete opera questi prodigi: perché un buon prete manda luce anche se non parla ed è come una calamita che attira le anime a Dio!

Carlo De Foucauld il 30 ottobre 1886 si alzò dal confessionale dell’Abbé Huvelin comple-tamente rinnovato nella sua anima. Più tardi, ripensando a quel momento, dirà: “Appena capii che Dio esiste, decisi di vivere esclusivamente per Lui. La mia vocazione religiosa è nata nel momento stesso della mia conversione: perché è troppo diverso Dio da tutto ciò che non è Dio!”.

E Carlo de Foucauld diventò fervente cristiano, diventò sacerdote entusiasta, diventò missionario gridando il Vangelo con l’esempio della sua vita e con la forza convincente della bontà. È sua questa meravigliosa affermazione: «Voglio gridare il Vangelo con la mia vita. Guardando la mia povertà, la mia mitezza, la mia semplicità, la mia gioia… dovranno chiedermi: “Chi è il tuo maestro?” Allora potrò dire apertamente: “Il mio maestro è Gesù! Venite e ve lo farò conoscere”».

Questa è la missione del sacerdote, di ogni sacerdote (suscitare interrogativi con la propria vita impregnata di Vangelo in modo tale da essere una segnaletica, che indica la strada che porta a Gesù) e questa missione è comprensibile soltanto all’interno del mistero della Chiesa.

Chiediamoci, allora: che cosa è la Chiesa?

1) La Chiesa non è una serra con fiori tutti belli e selezionati. Questa non è un’immagine che fotografa il volto vero della Chiesa. Lo capiamo facilmente.

Tra l’altro, non dimentichiamo che la prima decisione della Chiesa nascente, dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo, fu la sostituzione di un apostolo traditore: la sostituzione di Giuda! Fa pensare!  Non solo, tra gli altri undici apostoli, Gesù scelse come capo della Chiesa l’unico apostolo che lo rinnegò… ma che poi si pentì e amò Gesù fino al martirio. Anche questo fa pensare!

Cos’è, allora, la Chiesa?

Gesù usa un’immagine ben precisa e molto coraggiosa: “Il Regno dei Cieli (e la Chiesa è la fase terrena del Regno dei Cieli) rassomiglia ad un campo in cui crescono insieme grano e zizzania”. E Dio lascia che grano e zizzania crescano insieme fino al giorno della mietitura, che certamente arriverà e farà chiarezza. Ma ancora non è così. Questo è il tempo della pazienza di Dio: grano e zizzania crescono insieme, dovunque; e il grano può diventare zizzania e la zizzania può diventare grano. (Pensiamo a S. Paolo, a S. Agostino, a Carlo De Foucauld. Ma può accadere anche il contrario! Aveva perfettamente ragione Giovanni Papini quando disse: “Quanti Giuda … dopo Giuda! Quanti hanno tradito Gesù anche per meno di trenta denari”). C’è da meditare!

Cos’è, allora, la Chiesa?

La Chiesa è la comunità di coloro che sono stati raggiunti da una chiamata di Cristo, raggiunti da un atto di amore puramente regalato… che però aspetta una risposta.

E la risposta va continuamente rinnovata. Per questo motivo, la Chiesa è un popolo in cammino, un popolo in conversione continua (che vive un continuo passaggio dall’incredulità alla fede e dall’egoismo all’amore).

Gli Atti degli Apostoli per otto volte usano la parola od óV  = via per indicare l’esperienza cristiana. “Seguaci della via” vengono chiamati i cristiani. Fa pensare! Fa molto pensare!

Evidentemente il cammino può essere più lento o meno lento, può essere lineare o contorto, può addirittura essere rinnegato uscendo dalla strada tracciata da Gesù. Non dimentichiamolo!

Per noi che vogliamo camminare alla sequela di Gesù (cioè, che vogliamo essere Chiesa) è importante sapere con chiarezza quali sono i passi decisivi da compiere.

2) Il primo passo è questo: avere capito quale è la vera ricchezza della vita, qual è la roccia su cui costruire la casa. Qual è?

Rispondo accendendo qualche lampada sul volto della Chiesa attraverso alcuni esempi di  figli e di figlie della Chiesa: infatti guardando i buoni frutti della pianta si capisce qual è la pianta.

Ecco la prima lampada che desidero accendere: la testimonianza di Madre Teresa di Calcutta, una figlia della Chiesa.

Nel 1988 offrirono a Madre Teresa di Calcutta le chiavi di una lussuosa villa nei pressi del Monte Argentario. Ero presente e do testimonianza di quanto ho visto e udito.

Madre Teresa, mentre le stavano offrendo le chiavi della villa, con decisione rispose: “No! Non posso accettare questo dono, perché non mi serve. E quel che non mi serve, mi pesa!”. Quanto fanno riflettere queste parole! Ero presente … e rimasi profondamente colpito!

Questa è la Chiesa: un popolo con una ricchezza diversa da quella del mondo. All’interno della Chiesa, nella memoria della Chiesa risuonano queste decise parole di Gesù: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze per aprirgli subito, appena arriva e bussa” (Lc 12,33-36).

La Chiesa e, prima di tutti il sacerdote, è un popolo che non deve scommettere sul benessere mondano o sul successo della vita di quaggiù: penso a San Francesco d’Assisi, rivestito con l’abito dei mendicanti che sorride davanti ad una cerimonia solenne di investitura di alcuni cavalieri a S. Leo di Romagna nel 1213. E scuote il conte Orlando Cattani! E lo mette in cammino per diventare veramente “Chiesa”.

Di conseguenza, la Chiesa è un popolo che aspetta, è un popolo che sa che il più bello deve ancora venire, è un popolo che ha scoperto la vera ricchezza. Per questo in ogni Eucaristia la Chiesa grida la sua speranza dicendo:

“Annunciamo la tua morte, Signore! Proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta!”. Queste parole devono essere vere, sincere, coerenti. Non dimentichiamo che “Maranà thà” è la più antica preghiera dei cristiani e vuol dire: “Vieni, ritorna, o Signore!”. Ed è l’ultima preghiera della Bibbia, alla quale noi dobbiamo dare visibilità con comportamenti conseguenti e coerenti.

Gandhi, dopo aver visitato l’Inghilterra e l’Italia e l’Europa, nel 1931, uscì con questa impressionante esclamazione: “A mio giudizio l’Europa oggi è cristiana solo di nome: in verità essa adora il denaro e il successo. Ma attenti – disse Gandhi – perché è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli! Così ha detto Gesù e dovrebbero ben saperlo i suoi seguaci!”. Madre Teresa lo sapeva bene e ne tirava le conseguenze.

Una volta, accompagnando Madre Teresa, sono stato testimone di un significativo episodio. Eravamo usciti dalla casa delle Missionarie della Carità a San Gregorio al Celio e aspettavamo l’auto che doveva portarci a San Pietro. Improvvisamente una vettura che non aspettavamo si ferma e l’autista che aveva riconosciuto Madre Teresa in piedi al bordo della strada, con il desiderio di poter offrire un passaggio alla Madre, dice: “Madre, posso esserle utile? Che aspetta?”. Madre Teresa, senza un attimo di esitazione, rispose: “Aspetto il Paradiso, figlio mio!”. Vedo ancora il volto meravigliato dell’autista che, evidentemente, non poteva aiutarla. Però la risposta immediata di Madre Teresa rivela il suo costante atteggiamento interiore.

Questa è la Chiesa: un popolo che vive in questo mondo sapendo che non è la sua patria: noi dobbiamo sentirci esuli e pellegrini in questo mondo e dobbiamo aspettare la nostra vera Patria, aspettare la vera Festa.

E si deve percepire, soprattutto in noi sacerdoti si deve percepire che siamo un popolo in attesa della nostra vera Patria: in attesa dell’unica vera Festa, che è in Cielo. Purtroppo non sempre è così! Spesso non si percepisce questa attesa della Patria.

Pensate che Ignazio Silone (+1978), quando si allontanò dalla Chiesa, fece questa terribile dichiarazione: “Ero a disagio in mezzo a gente che diceva di aspettare il Paradiso, ma che lo aspettava con la stessa indifferenza con cui si aspetta il tram ad una stazione cittadina!”. C’è da riflettere!

Ma viene subito un’altra domanda: qual è il biglietto d’ingresso per la grande e vera festa, per la festa preparata da Dio?

3) Accendo un’altra lampada che illumina il volto della Chiesa: la testimonianza di S. Massimiliano Kolbe, altro stupendo figlio della Chiesa.

Era il mese di luglio dell’anno 1941: nel campo di concentramento di Auschwitz fugge un prigioniero. La legge diabolica del lager prevedeva l’uccisione di dieci prigionieri per uno che fosse scappato! Il capo del lager, pertanto, raduna i prigionieri… e sceglie i dieci sventurati. Ma accadde un fatto imprevedibile. Un uomo, non scelto per la condanna a morte, si fa avanti e dice: “Posso sostituire l’ultimo prigioniero?”. Un fatto mai accaduto. Il capo del lager è meravigliato e domanda: “Chi sei tu?”. Risposta: “Sono un sacerdote cattolico!”. Poteva dire: “Sono la Chiesa Cattolica“. Era Massimiliano Kolbe, il quale donò la vita per uno che neppure conosceva!

E il 14 agosto, mentre porgeva il braccio al Tenente della Gestapo mandato ad iniettargli una dose di veleno, ebbe il coraggio di dirgli: “Signor tenente, lei non ha capito niente della vita: l’odio perde, l’amore vince! Perché Dio sta da questa parte”. E aggiunse: “Che giorno è?”. “ E’ il 14 agosto”. “Domani festeggio l’Assunta in Cielo”.

Questa è la Chiesa! Un popolo dove è legge dare la vita gli uni per gli altri, perché questo popolo (= la Chiesa) è guidato dalla certezza che alla fine ci sarà una sola graduatoria: quella della carità, quella di chi ha amato di più. Madre Teresa non si stancava di dire: “Quando moriremo, porteremo con noi una sola valigia: la valigia della carità. E io cerco di riempirla finché ho anche un solo respiro!”. E, quando mi disse queste parole, mi guardò intensamente e aggiunse: “Guarda che vale anche per te!”.

 Del resto, le parole di Gesù sulla materia d’esame nel giudizio finale sono estremamente chiare e noi-Chiesa dobbiamo essere memoria e richiamo di quelle parole. E, ancora un volta, questo deve trasparire, prima di tutti, nella vita di noi sacerdoti.

Lo stesso Gandhi espresse la sua meraviglia quando conobbe la storia di Padre Damiano de Veuster che spontaneamente andò in un’isola in cui erano stati relegati circa 1000 lebbrosi e andò ad annunciare Gesù a quella povera gente.

Quando Gandhi seppe questo, disse: “Non so spiegarmi perché nella Chiesa Cattolica fiorisca tanto amore per il prossimo, soprattutto per i più deboli e, in particolare, per i lebbrosi che in India tutti evitiamo! Dobbiamo chiederci qual è la sorgente di questo eroismo”.

Anche noi, nelle concrete situazioni della nostra vita dobbiamo suscitare un simile stupore in coloro che ci avvicinano. Non dimentichiamo che Gesù ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. A questo proposito mi viene in mente un episodio nel quale brilla il mistero bello della Chiesa. Ancora una volta è protagonista Madre Teresa di Calcutta.

Un giorno, nella “Casa del Cuore Immacolato di Maria” a Calcutta, venne portata una donna lebbrosa con un piede rosicchiato dai topi. Era stata raccolta da una fogna all’aperto:
lo spettacolo era nauseante. Madre Teresa volle seguire personalmente questa impressionante incarnazione del dolore e tirò fuori dal suo cuore tutta la tenerezza che possedeva.

La donna lebbrosa lasciò fare, mentre dalla sua bocca uscivano parole di disperazione e di maledizione. Ecco il meraviglioso dialogo tra le due donne. Disse la donna lebbrosa:

– Sono stati i miei figli a gettarmi via come un sacco dell’immondizia. Siano maledetti!

– Non maledirli! Una mamma deve sempre benedire! sussurrò Madre Teresa.

– Ma tu chi sei? Perché fai così? Perché mi tratti con tanto amore?

– Faccio così perché ti voglio bene.

– Mi vuoi bene? Ma tu non mi conosci. Chi ti ha insegnato a fare così?

– Me l’ha insegnato il mio Dio.

– Il tuo Dio? E come si chiama?

– Il mio Dio si chiama Amore!

– Fammelo conoscere, ti prego!

– Tu già lo conosci. Nelle mie mani è Lui che ti accarezza, nei miei occhi è Lui che ti guarda, nel mio sorriso è Lui che ti sorride, nel mio cuore è Lui che ti ama.

La donna lebbrosa concluse:

– Che bella notizia mi hai dato!
Dio è Amore e io non lo sapevo. Grazie! Dio è Amore e io non lo sapevo».

 

La donna lebbrosa, scartata anche dai figli, è morta con questa esclamazione sulle labbra: Madre Teresa, negli ultimi momenti della sua poverissima esistenza, l’aveva rifornita di speranza … e così è andata incontro a Dio, che è Amore.

Oggi, nella nostra società opulenta ma spiritualmente vuota, tante persone rassomigliano alla lebbrosa di Calcutta: non sanno che Dio è Amore e, pertanto, non hanno la vera chiave di lettura del senso della vita. E, per questo, sono disperati.

Pensate al gesto disperato dello scrittore Ernest Hemingway. Egli scrisse una presa in giro del “Padre Nostro” e lo trasformò così:

“O nulla, che sei nel nulla,

sia nulla il tuo nome,

nulla la tua volontà!

Dacci oggi il nostro nulla quotidiano!”

Ma di nulla non si può vivere. Hernest Hemingway, al culmine del successo, (aveva ricevuto il premio Nobel per la Letteratura e tantissimi altri premi) si sparò un colpo di fucile in bocca e morì così.

Era il 2 luglio del 1961 e aveva soltanto 62 anni! Non gli era giunta la bella e buona notizia del Vangelo.

Pensate anche allo scrittore svedese Stig Dagermann. Nella notte tra il 4 e il 5 novembre del 1954 si è ucciso nel garage, inalando il gas del tubo di scappamento della sua macchina.

Lasciò scritto: “Non sarò mai un uomo felice, perché non può essere felice colui che pensa che la vita sia un viaggio insensato verso una morte certa”. Ma non  è così! Non è così! Non gli era arrivata la Buona Notizia.

La Chiesa – cioè: noi! – ha la missione di trasmettere la bella notizia che Dio è Amore: prima con la vita e poi con le parole.

È il mistero della Chiesa: un popolo che, nonostante tutti i limiti della fragilità umana, genera continuamente eroismi di carità: eroismi conosciuti, ma anche tanti eroismi sconosciuti … e noti solo a Dio!

Don Primo Mazzolari ci ha lasciato una acuta osservazione proprio riguardo alla Chiesa. Ha detto: “La Chiesa è come la mangiatoia di Betlemme. La mangiatoia sicuramente includeva anche sporcizia e sterco … però, in quella mangiatoia c’era il Figlio di Dio fatto uomo. La Chiesa rassomiglia alla mangiatoia di Betlemme: a volte emerge il sudiciume presente tra la paglia del versante umano della Chiesa, però in questa mangiatoia umana Gesù c’è, è presente, è incontrabile! Questa è la vera sicurezza e la vera ricchezza della Chiesa!”. Lo capì lucidamente anche Don Lorenzo Milani.

Nei giorni di tensione e incomprensione con l’Arcivescovo di Firenze, chiesero a Don Lorenzo Milani: “Perché non lasci la Chiesa?”. Don Milani, uomo di fede robusta, decisamente rispose: “E dove potrei trovare il perdono dei miei peccati fuori della Chiesa? Chi mi può assolvere? Mi può assolvere l’Espresso?”. E restò nella Chiesa e morì come figlio obbediente della Chiesa. Non solo.

La presenza di Gesù nella Chiesa sboccia in frutti meravigliosi.

È innegabile: Don Oreste Benzi, Don Orione,  Don Carlo Gnocchi, Don Guanella, Don Bosco, il Cottolengo, Damiano de Veuster, Vincenzo de’ Paoli e tantissimi eroi della carità sono frutti del mistero della Chiesa che è la tenda di Dio in mezzo agli uomini.

Il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato parla chiaro: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. C’è da camminare, però riconosciamo che questo ideale di vita è fantastico e potrebbe davvero trasformare il mondo in un  “paradiso”.

In ogni modo, questo lievito di amore c’è, è presente nel mondo. E noi dobbiamo farlo crescere e renderlo visibile con la nostra vita: ancora una volta … noi sacerdoti per primi!

Una volta, un giornalista che si dichiarava di area cattolica, con tono provocatorio, disse a Madre Teresa di Calcutta: “È mai possibile che lei non protesti mai? È mai possibile che lei non veda che ci sono tante cose da cambiare anche nella Chiesa?”. Madre Teresa rimase serena e rispose: “Certo che vedo che ci sono tante cose da cambiare anche nella Chiesa! Cominciamo a cambiare noi: io e lei! Se vediamo poca santità nella Chiesa, aiutiamola: facciamoci santi …noi! Finché gridiamo: ‘È buio! È buio!’,  non si accende la luce. Diventiamo luce noi … e così contribuiremo a vincere il buio!”.

Così ragionano i veri figli della Chiesa.

Ai sacerdoti Madre Teresa dava sempre questa raccomandazione: “Dovete essere vetri puliti che lasciano passare tutta e solo la luce di Gesù! Il vetro, se è pulito, non si vede. Si vede se è sporco! Siate vetri puliti!”, meravigliosa e sapiente raccomandazione.

4) Ora fissiamo lo sguardo su un’altra lampada, che illumina il volto della Chiesa e ne svela il mistero affascinante: riflettiamo sulla  testimonianza di Santa Maria Goretti e della sua mamma.

Nella notte tra il 5 e il 6 luglio 1902 Maria Goretti, di appena dodici anni, era ricoverata nell’ospedale di Nettuno, perché era stata aggredita, nel primo pomeriggio di quel giorno, da un giovane che voleva abusare di lei. Maria Goretti difese energicamente la sua dignità di donna e la dignità dell’amore vero e ricevette la vendetta di quattordici pugnalate nel suo giovane corpo.

Nella notte di quel giorno terribile, ella soffre per le ferite e per la febbre alta: è gravissima! Il parroco, temendo che avesse un po’ di odio nel cuore, con una certa apprensione le chiede: “Marietta, Gesù ha perdonato i suoi crocifissori! Vuoi anche tu perdonare Alessandro?”. La domanda era enorme, ma Maria Goretti senza esitare risponde: “Sì, perdono Alessandro!
E voglio che sia con me in Paradiso!”.
Alessandro era l’assassino. Notate: “Voglio che sia in Paradiso con me!”. Parole impressionanti!

Questa è la Chiesa: la casa del perdono! Questa è la Chiesa: un popolo per il quale il perdono è vittoria, è legge irrinunciabile: è legge!

Papa Francesco recentemente ha detto: “Noi siamo un popolo di perdonati. Per questo dobbiamo perdonare!”.

Pensate, per fare un altro esempio, al perdono immediato che uscì dal cuore di Giovanni Paolo II dopo l’attentato del 13 maggio 1981. Prima di perdere la conoscenza, sussurrò: “Perdono di cuore il fratello (disse così!) che mi ha colpito”.

Pensate che cosa sarebbe successo se l’attentato avesse riguardato un altro capo religioso (p.e. un Imam!). Il giornalista Indro Montanelli commentò: “In poche parole Giovanni Paolo II ci ha detto cosa è il cristianesimo!”.

E, alcuni anni prima, quando morì Giovanni XXIII, il giornalista Giancarlo Zizola disse: “Se è esistito Papa Giovanni, Dio c’è!”. La sua bontà gridava l’esistenza di Dio.

Nel 1934 l’assassino di Maria Goretti, Alessandro Serenelli, giunge a Corinaldo perché vuole incontrare la mamma di Maria Goretti. È emozionato, è impaurito, prova tanta e tanta vergogna. Bussa alla porta della canonica di Corinaldo (era la notte di Natale!) e appare mamma Assunta, la mamma di Maria Goretti. Alessandro si sente piccolo e vorrebbe scappare per la vergogna, ma ha la forza di dire:

“Mi riconoscete, Assunta?”.

“Certo, figlio mio!”.

“Mi perdonate, Assunta?”.

“Ti ha perdonato Marietta! T’ha perdonato Dio! Vuoi che non ti perdoni io?”.

E si abbracciarono piangendo.

Questa è la Chiesa! Un popolo nel quale la legge del perdono arriva ad un vertice impressionante. Del resto, ecco cosa ci propone Gesù:

“È stato detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto solo ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. (Mt 5,43-48).

Queste parole di Gesù rendono il cristianesimo, e quindi la Chiesa, un unicum tra tutte le religioni: e, soprattutto oggi, questo è evidente e sorprendente. L’eroe cristiano è il martire (colui che dà la vita) e non il kamikaze (colui che toglie la vita). Non dimentichiamolo: la differenza tra il martire e il kamikaze è abissale.

Tertulliano, scrittore cristiano di Cartagine convertitosi al cristianesimo, attorno all’anno 195 d.C. così scriveva nel suo celebre Apologetico:
“I non cristiani osservando noi cristiani dicono: ‘Guarda come si amano, anche se non sono parenti!’. Mentre loro si odiano anche tra parenti”.

Se anche noi oggi possiamo far nostre le parole di Tertulliano, allora non sarà tanto difficile far riconoscere il mistero e la bellezza e il fascino della Chiesa, che siamo noi. Meglio: che dobbiamo continuamente diventare noi.

Negli anni difficili del post-concilio, Paolo VI si rivolse al suo amico Giuseppe Prezzolini, non credente (Prezzolini diceva: “Io credo di non credere!”), per avere da lui un consiglio sul modo migliore “per entrare in dialogo con i lontani dalla Chiesa”.

Rispose lo scrittore toscano: “Santità, c’è un solo modo. Gli uomini di Chiesa devono essere soprattutto buoni e mirare ad uno scopo soltanto: creare degli uomini buoni. Non c’è nulla che attiri come la bontà, poiché di nulla noi miscredenti siamo tanto privi. Di gente intelligente il mondo è pieno, di gente colta ce n’è fin troppa: quel che manca è la gente buona. Formarla è il compito della Chiesa: per attrarre gli uomini al Vangelo, tutto il resto è secondario. L’intelligenza suscita ammirazione, la cultura strappa applausi ma soltanto la bontà attira”.

Paolo Flores D’Arcais, che si è definito ateo praticante, ha lucidamente detto: “Una sola cosa mi lascia pensoso: è la carità disinteressata dei cristiani”.

Preghiamo affinché la carità brilli sempre sui nostri volti e nella nostra vita e, soprattutto, nella vita dei sacerdoti per attirare tanta gente a Gesù e alla Sua Chiesa.

Il sacerdote infatti è il primo servo del mistero della Chiesa, è il primo volto del mistero della Chiesa, è il custode del miracolo che nutre e fa vivere la Chiesa: l’Eucaristia! Per questo motivo, preparare santi sacerdoti è il più grande atto di amore verso la Chiesa e, quindi, verso Gesù!

Concludo con una luminosa e profonda riflessione del poeta e scrittore Domenico Giuliotti.

Domenico Giuliotti nacque in provincia di Firenze nel 1877 ed ebbe un’infanzia serena in una famiglia dove si respirava la fede cattolica.

Ma, nell’adolescenza, Domenico Giuliotti si staccò brutalmente da Cristo e divenne un feroce nemico della Chiesa e di tutto ciò che odorava di cristianesimo: divenne – dirà lui stesso – un seguace dell’anticristo. Però il suo cuore era inquieto e, a poco a poco, riprese la via del ritorno. E una volta fatto il passo che lo riportò alla casa della fede, Domenico Giuliotti si rese conto del «pazzo» che era stato e divenne inflessibile con se stesso per punirsi dell’imperdonabile fuga. Si comportò come l’ubriaco che, una volta reciso il legame con il vino, non vuole sentirne più neppure l’odore.

Domenico Giuliotti, dopo la conversione, amò visceralmente la fede cattolica e scrisse pagine vibranti in difesa della grandezza del sacerdote cattolico. Ecco una pagina memorabile:

«Essi soli [= i sacerdoti], anche se peccatori indegni, sostengono, sostenuti da Cristo, le mura vacillanti della città terrena. Se li pensiamo scomparsi, non c’è più Chiesa; ma se non c’è più Chiesa, non c’è più liturgia; e se non c’è più liturgia, non c’è più la Santa Messa, non ci sono più i sacramenti; e se non ci sono più i sacramenti, non c’è più l’irrigazione della grazia.

E da ciò siccità, sterilità, morte. Il prete è un uomo, ma è di più degli angeli; è un peccatore, ma rimette i peccati; è un servo, ma il Signore gli obbedisce. Gli angeli, e perfino la Regina degli angeli, non hanno il potere di assolvere, né quello di costringere Cristo, ogni giorno, a rinnovare, sotto le Sante Specie del pane e del vino, l’offerta universalmente riparatrice di Dio a Dio. Lui, lui solo, questi prodigi può farli».

Queste parole non hanno bisogno di commento.

Queste parole invocano, gridano: “Sacerdoti, Siate santi! Siate specchio dell’Eucarestia che celebrate”.

Ed Enrico Medi, scienziato credente, ha aggiunto: “Sacerdoti! Dopo aver celebrato la Santa Messa come fate a ritornare in mezzo agli altri con tranquilla indifferenza! Ma …. Ci credete!? Fateci vedere sul vostro volto e nel vostro comportamento che avete toccato Cristo e avete respirato l’Amore Infinito: il Crocifisso si è reso presente tra le vostre mani”.

Anche se molti non lo dicono, tutti aspettano questo da noi sacerdoti.

Riflessioni del Card. Comastri sull'Eucaristia

Nell’ultima cena Gesù ci ha dato un Comandamento che ci distingue da tutti: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. (Gv 13,34).

È il nostro distintivo! Ma umanamente è impossibile!

E, per poter vivere questo impegnativo Comandamento, Gesù ci ha donato la Santa Messa, la Santa Eucaristia, affinché possiamo ricevere una vera trasfusione di Amore di Dio!

 

Per questo, desidero proporvi una riflessione sul valore immenso della Messa, perché a me sembra che oggi stiamo sottovalutando il più grande Tesoro che Gesù ci ha lasciato. Viviamo in una stagione ecclesiale di poca fede eucaristica!

Don Divo Barsotti, sacerdote di grande fede, disse: “Il vero rischio della Chiesa è la pochezza di fede o addirittura la mancanza di fede”. Del resto, Gesù chiaramente ci ha avvisato dicendo: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Soltanto ripetendo queste parole di Gesù … vengono i brividi.

Padre Pio, un uomo che viveva la Messa e la lasciava parlare attraverso le ferite della Passione di Gesù impresse sul suo corpo, Padre Pio un giorno disse: “E’ più facile che il mondo possa vivere senza il sole, piuttosto che senza la Santa Messa!“. Ma per capire questo, è necessaria la fede.

E aggiunse: “Se la gente capisse il valore di una Messa, alle porte delle chiese ci sarebbe la fila per poter partecipare ad una Messa! E, invece, la fila è altrove”.

È negli stadi, nelle discoteche, nei luoghi di divertimento vuoto!

Quanto aveva ragione lo scrittore Julien Green quando disse: “Se volete sapere dove non abita la felicità, frequentate i luoghi di divertimento: lì troverete briciole di piacere, ma di felicità neppure l’ombra“.

Aggiungo una impressionante conferma da parte di Pasolini sullo sbandamento dell’attuale società.

Ecco le terribili parole di Pasolini:

«Oggi si riceve un’educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni, qualcuno le spranghe… Tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere […] possedere, distruggere. […] Io scendo all’inferno. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi… Il bisogno di dare la stangata, di aggredire, di uccidere, è forte e generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha (come dire) toccato la vita violenta. […] La situazione italiana è irreparabilmente tragica; ho già detto che tutti i responsabili di essa dovrebbero essere messi sotto processo perché hanno rovinato la coscienza del nostro paese».

Ecco perché la società è tanto sbandata! Perché si nutre di fumo, incensa il niente, si nutre di inganni! E gli inganni, prima o poi, lasciano l’amaro in bocca e una grande delusione.

Per farvi capire quale potere, quale forza si nasconde in una Santa Messa, mi limito a ricordare alcuni (tra i tantissimi!) episodi più significativi.

Nei primi tre secoli, i cristiani vennero ferocemente perseguitati in tutto l’impero romano: a Roma, in quei tre secoli, quasi tutti i Papi morirono martiri.

E sapete qual era la principale causa della persecuzione? Eccola: i cristiani si rifiutavano di adorare l’imperatore e di incensarlo come se fosse un dio! Nelle monete scrivevano il nome dell’Imperatore e aggiungevano: “Divus et Salvator”. È impressionante! Il cristianesimo è una decisa contestazione degli idoli, che sono una caricatura di “Dio”: e questo vale anche oggi.

Infatti, oggi viviamo in un’epoca di idolatria dei calciatori, dei cantanti, dei personaggi dello spettacolo e di tanti squallidi personaggi mediatici.

I cristiani come superarono la prova del drammatico periodo delle persecuzioni? Con la forza che veniva dall’Eucarestia! Le catacombe non erano soltanto luoghi per nascondersi, ma, prima di tutto, per celebrare la Santa Messa. Lì trovavano la forza!

Saltiamo a San Francesco d’Assisi (1182-1226). Per annunciare il Vangelo (cioè: Gesù!) San Francesco si spostava da una città all’altra. E a piedi! E San Francesco, in pochi anni di vita, ha suscitato un’onda di rinnovamento e un ritorno coraggioso al Vangelo che impressiona! Dove trovava la forza?

È presto detto: quando da lontano vedeva un campanile, si inginocchiava perché sapeva che lì c’era un Tabernacolo e nel Tabernacolo c’era Gesù e diceva: “Ti adoriamo qui e in tutte le chiese che sono nel mondo perché, con la tua santa croce, hai redento il mondo”.

Questa è vera e sincera e coerente fede! E questa fede ha sostenuto il meraviglioso apostolato del figlio del mercante di Assisi… che abbandonò le ricchezze del padre perché capì che l’unica vera ricchezza è Gesù. Andiamo oltre.

Il Curato D’Ars, morto il 4 agosto 1859 (un anno dopo le apparizioni di Lourdes) è stato un faro e una calamita che attirò tantissima gente da tutta la Francia ancora devastata dalla tempesta della Rivoluzione.

Che cosa fece? Viveva poveramente (“il mio segreto è dare tutto come fece Gesù”).

Pregava con fede profonda, celebrava la Messa immergendosi nell’Amore infinito di Gesù che si rende presente in ogni Eucaristia e confessava per ore e ore. Se ci pensate, lo possiamo fare tutti.

È stato parroco di un villaggio per 41 anni. Non è stato mai trasferito da Ars… ma i santi attirano e mandano luce anche quando sono messi in un angolo.

Un altro esempio.

Nell’anno 1873: all’età di 33 anni un giovane missionario belga (Padre Damiano De Vesteur) decide liberamente di andare a vivere nell’isola di Molokai, dove venivano relegati tutti i lebbrosi dell’arcipelago delle Hawaii. In quel tempo si difendevano così dal contagio.

Gli dissero: “Come farai a vivere lì? Ricordati che, dopo, non puoi più tornare indietro!“. Rispose: “Con la forza che viene dalla Santa Messa che potrò celebrare anche lì, sono pronto ad affrontare questo sacrificio!”.

Dopo alcuni anni trasformò l’isola da inferno di odio in Paradiso di fraternità. Vi rimaste 16 anni! Con la forza che viene dalla Messa!

E, prima di morire, confidò: “Mi sento il missianario più felice di tutta la terra!”.

Il Belgio, pur essendo un Paese fortemente scristianizzato, recentemente ha definito Padre Damiano il più grande cittadino belga di tutti i tempi.

Meno male che se ne sono accorti! Non accadrà mai questo per cantanti, attori, giocatori e altri idoli … del momento. Teniamone conto!

Nell’anno 1969. Un celebre giornalista della BBC (Malcolm Muggeridge) andò a Calcutta per girare un documentario sulla vita di Madre Teresa e delle suore in mezzo ai più poveri di Calcutta.

A Calcutta, spesso i poveri vengono raccolti dalle fogne che lì scorrono all’aperto (anche oggi) e vengono accuditi in due grandi stanze concesse a Madre Teresa dal Comune di Calcutta dal 22 agosto 1952.

Il giornalista rimase colpito dai volti sorridenti delle suore e domandò: “Questo luogo sembra un inferno di dolore … eppure tutti sorridono. Come si spiega?”

Madre Teresa gli rispose: “Questo non è un inferno, ma è un paradiso perché qui c’è l’amore, l’amore vissuto. E l’amore rende presente Dio che è il proprietario esclusivo della Gioia vera. Potete avere anche le case d’oro, ma se manca l’amore è l’inferno perché manca Dio!”.

Chiese ancora il giornalista: “E qual è il segreto della vostra vita?“. La Madre allora gli disse: “Venga domani alle ore 6:00 alla porta della nostra casa!”. Il giorno dopo Madre Teresa lo attese e lo portò in Cappella dove le Suore, in ginocchio per terra, partecipavano alla Santa Messa. La Madre gli disse: “Il segreto sta tutto qui. È Gesù che ci mette nel cuore il Suo Amore e noi semplicemente andiamo a donarlo ai poveri che incontriamo nel nostro cammino. Con la forza che ci dà l’Eucaristia!”.

Diversi anni dopo (nel 1882, esattamente il 27 novembre, all’età di 79 anni) chiese il Battesimo e divenne cattolico, dicendo: “Voglio diventare cattolico per ricevere quella Eucarestia che in quelle suore produce il miracolo di quella carità e di quella serenità”.

Chiediamoci: perché in noi l’Eucaristia non produce gli stessi effetti? La risposta è semplice: non ci crediamo pienamente e alziamo muri dentro di noi per difenderci dall’Eucaristia Thomas Merton dava spesso questa raccomandazione: “Non difendetevi dall’Eucaristia, ma lasciatela agire! Accadranno cose meravigliose!”. Eccone una.

Nel 1975, il Cardinale Francesco Saverio Van Thuan viene rinchiuso in un carcere di massimo

isolamento perché in Vietnam i cristiani erano perseguitati (era obbligatorio l’ateismo di Stato).

Restò nel carcere durissimo per 13 anni.

L’ho avuto ospite a Loreto per alcuni giorni. Gli chiesi: “Come ha fatto a resistere?”. Risposta: “Celebrando ogni giorno la Santa Messa! Mettevo alcune molliche di pane nella mano destra e alcune gocce di vino nella mano sinistra e celebravo la Messa. Nel mio cuore entrava una tale pace che stupiva anche i miei carcerieri.

Mi chiedevano: ‘Ma come fa ad essere così sereno?’. Rispondevo: ‘Gesù viene a trovarmi tutti i giorni e mi riempie il cuore di tanta pace! Alcuni mi chiedevano: ‘Chi è Gesù? Faccelo conoscere!’. Allora potevo raccontare la mia fede.

Due carcerieri si convertirono alla Fede cristiana! Nell’ultimo anno li cambiavano ogni mese per paura che si convertissero”.

Ecco cosa accade quando il cuore si apre alla fede vera nella Santa Eucaristia.

Vi auguro che nasca in voi questa fede e vedrete frutti meravigliosi nella vostra vita, nella vostra famiglia e nella vostra comunità.

Ora vi presento due strepitosi

miracoli Eucaristici

ancora in pieno svolgimento

 

Il Miracolo Eucaristico di Lanciano (750)

Un’iscrizione marmorea del XVII secolo descrive questo miracolo eucaristico avvenuto a Lanciano (CH) nel 750, presso la chiesa di San Francesco. Ecco il testo della lapide:

«Un monaco sacerdote dubitò se nell’ostia consacrata ci fosse veramente il corpo di nostro Signore. Celebrò Messa e, dette le parole della consacrazione, vide divenire carne l’ostia e sangue il vino. Fu mostrata ogni cosa agli astanti. La carne è ancora compatta e il sangue raggrumato è diviso in cinque parti».

Cerchiamo di entrare in questo strepitoso prodigio, che ancora parla e getta luce sul Mistero della Santa Eucaristia.

Nel 1970, l’Arcivescovo di Lanciano e il ministro provinciale dei Conventuali di Abruzzo, con l’autorizzazione della Santa Sede, richiesero al dottor Edoardo Linoli, dirigente dell’ospedale d’Arezzo e professore di anatomia, istologia, chimica e microscopia clinica, un approfondito esame scientifico sulle reliquie del prodigio avvenuto dodici secoli prima. Il 4 marzo 1971, il professore presentò un resoconto dettagliato dei vari esami eseguiti. Ecco le conclusioni essenziali.

  1. La «carne miracolosa» è veramente carne costituita dal tessuto muscolare striato del miocardio (cioè: del cuore!). (è una fetta di cuore).
  2. II «sangue miracoloso» è vero sangue: l’analisi eseguita lo dimostra con certezza assoluta e indiscutibile.
  3. Lo studio immunologico manifesta

che la carne e il sangue sono certamente di natura umana e la prova immunoematologica permette di affermare con tutta oggettività e certezza che ambedue appartengono allo stesso gruppo sanguigno AB, gruppo uguale a quello dell’uomo della Sindone e caratteristico delle popolazioni mediorientali.

  1. Le proteine contenute nel sangue sono normalmente ripartite, nella percentuale identica a quella dello schema siero-proteico del sangue fresco normale.
  2. Nessuna sezione istologica ha rivelato traccia di infiltrazioni di sali o di sostanze conservanti utilizzate nell’antichità allo scopo di mummificazione.

Questa relazione fu pubblicata in Quaderni Sclavo in Diagnostica (fasc. 3, 1971) e suscitò un grande interesse nel mondo scientifico. E nel 1973, il Consiglio Superiore dell’Organiz-zazione Mondiale della Sanità nominò una commissione scientifica per verificare le conclusioni di Linoli.

I lavori durarono quindici mesi con 500 esami. Le ricerche furono le medesime di quelle effettuate dal professor Linoli, con altri esami. Più precisamente fu affermato che i frammenti prelevati a Lanciano non potevano essere assimilati a tessuti mummificati. In quanto alla natura del frammento di carne, la commissione dichiarò che si tratta di un tessuto vivente perché risponde rapidamente a tutte le reazioni cliniche proprie degli esseri viventi.

La carne e il sangue di Lanciano quindi sono tali e quali sarebbero se fossero stati prelevati il giorno stesso su un vivente. Nella conclusione dei lavori scientifici della Commissione Medica dell’Oms e dell’Onu, pubblicato nel dicembre del 1976 a New York e a Ginevra, si dichiarò che la scienza, consapevole dei suoi limiti, si arrestava davanti all’impossibilità di dare una spiegazione. [1]

 

Il Miracolo Eucaristico di Siena (1730)

Nella basilica di San Francesco a Siena, si conservano intatte, da tre secoli, 223 ostie (inizialmente erano 351).

L’arcivescovo Tiberio Borghesi (che è stato Arcivescovo di Siena dal 1772 al 1792) fece chiudere per dieci anni in una scatola di latta sigillata alcune ostie non consacrate. La commissione scientifica preposta quando riaprì la scatola vi trovò solo vermi e frammenti putrefatti, mentre le ostie consacrate erano ancora intatte.

Il fatto è contro ogni legge fisica e biologica. Lo stesso scienziato Enrico Medi così si espresse al riguardo: «Questo intervento diretto di Dio per conservare intatte le Sante Particole è il miracolo […], compiuto e mantenuto tale miracolosamente per secoli, a testimoniare la realtà permanente della presenza di Cristo nel Sacramento Eucaristico».

Tra i documenti più importanti che descrivono il prodigio c’è una memoria del 1730, in cui si racconta che il 14 agosto del 1730 alcuni ladri riuscirono a entrare nella chiesa di San Francesco a Siena e rubarono la pisside contenente 351 particole consacrate.

Dopo tre giorni, il 17 agosto, nella cassetta delle elemosine del santuario di Santa Maria in Provenzano, in mezzo alla polvere, furono ritrovate le 351 ostie intatte. Tutto il popolo accorse a festeggiare il ritrovamento delle sante Ostie, che furono subito riportate in solenne processione nella chiesa di San Francesco. Per rispetto non venivano consumate. II trascorrere degli anni non causò alcun segno di alterazione nelle particole.

Più volte, uomini illustri le esaminarono con ogni mezzo e le conclusioni furono sempre le stesse: «Le sacre particole sono ancora fresche, intatte, fisicamente incorrotte, chimicamente pure e non presentano alcun principio di corruzione».

Nel 1914, il Papa San Pio X autorizzò un

esame a cui parteciparono numerosi professori di bromatologia, igiene, chimica e farmaceutica, fra cui vi era anche il noto professore Siro Grimaldi.

La conclusione finale del verbale che redassero diceva: «Le sante particole di Siena sono un classico esempio della perfetta conservazione di particole di pane azzimo consacrate nell’anno 1730, e costituiscono un fenomeno singolare, palpitante di attualità, che inverte le leggi naturali della conservazione della materia organica. […] È strano, è sorprendente, è anormale: le leggi della natura si sono invertite, il vetro è diventato sede di muffe, il pane azzimo è stato invece più refrattario del cristallo. […] È un fatto unico conservato negli annali della scienza».

Altre analisi furono compiute nel 1922, in occasione del trasferimento delle particole in un cilindro di puro cristallo di rocca, nel 1950 e nel 1951. II Papa Giovanni Paolo II, nel corso della visita pastorale effettuata alla città di Siena il 14 settembre 1980, così si espresse di fronte

alle ostie prodigiose: «È la Presenza!». [2]

A seguito della ricognizione avvenuta il 10 settembre dell’anno 2014, l’Arcidiocesi di Siena, ha diramato il seguente comunicato stampa: “In data 10 settembre 2014, […] l’Arcivescovo S.E. Mons. Antonio Buoncristiani […] ha provveduto ad una nuova ricognizione, con analisi non invasive di alcuni campioni di SS. Particole e la ripulitura del cilindro di cristallo contenitore […]. Dai risultati degli esami eseguiti emerge la conferma di quanto anticipato dall’esame visivo, ovvero il buono stato di conservazione delle Ostie e la totale assenza di contaminazione. Il test colturale non ha messo in evidenza nessuna crescita microbica né dopo 7 giorni dal campionamento, né dopo 14. Le SS. Particole continuano pertanto ad essere prodigiosamente incorrotte”.

E il miracolo continua e parla … per chi ha l’umiltà di ascoltare!

Due donne vissute soltanto

di Eucaristia

Per aiutarci a credere nel grande miracolo dell’Eucaristia, nel secolo scorso, la Bontà di Dio ci ha donato due clamorosi prodigi: due donne che sono vissute per anni assumendo come unico nutrimento la Santa Eucaristia, Teresa Neumann e Marthe Robin.

Teresa Neumann (Germania 1898-1962): per 36 anni si è nutrita soltanto di Eucaristia!

 

La vita di Teresa Neumann cambiò radicalmente dopo la miracolosa guarigione dalla paralisi e dalla cecità che contrasse a 25 anni; qualche anno dopo ricevette le stimmate e iniziò il digiuno che si protrasse per trentasei anni, fino alla morte.

Il suo unico alimento fu l’Eucaristia e per questo l’autorità nazista, durante la guerra, le ritirò la tessera alimentare, ma le concesse una doppia razione di sapone per lavare la biancheria che ogni venerdì inondava di sangue, quando in estasi ella riviveva la Passione di Cristo.

Lo stesso feroce Hitler aveva grande paura di Teresa e diede questo ordine: «Non sia toccata!».

Teresa Neumann nacque a Konnersreuth, in Germania, l’8 aprile 1898, da una famiglia molto povera e profondamente cattolica. Come scrisse nei suoi diari, il suo più grande desiderio sarebbe stato quello di fare la missionaria religiosa in Africa, ma, purtroppo, l’incidente che ebbe a 20 anni glielo impedì; infatti nel 1918 scoppiò un violento incendio in una fattoria vicina, Teresa corse subito in aiuto ma, nello sforzo di passare pesanti secchi d’acqua per sedare le fiamme, ebbe una grave lesione al midollo spinale che procurò la paralisi delle gambe e la cecità completa.

Da allora Teresa passava tutte le giornate in preghiera, ma un bel giorno avvenne il miracolo della guarigione alla presenza di padre Naber, che cosi racconta il fatto: «Teresa descrisse la visione di una gran luce mentre una voce straordinariamente dolce le chiedeva se volesse guarire.

La sorprendente risposta di Teresa fu che tutto le andava bene, guarire, restare malata o addirittura morire, purché fosse fatta la volontà di Dio. La voce misteriosa le disse che “oggi avrebbe avuto, sì, una piccola gioia, la guarigione dalla sua infermità, ma che avrebbe dovuto soffrire ancora molto.”».

Per qualche tempo Teresa visse in buone condizioni di salute, ma dal 1926 iniziarono le importanti esperienze mistiche che durarono sino alla morte: le stimmate, il digiuno completo con l’Eucaristia come suo unico nutrimento: per ben 36 anni non assunse più cibo, ma si nutrì esclusivamente di Eucaristia!

Padre Naber, che le diede la Comunione ogni giorno fino alla morte, scrisse: «In lei si compie alla lettera la Parola di Dio: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda».

Teresa offriva a Dio la sua sofferenza fisica dovuta alla perdita di sangue dalle stimmate, che durava da giovedì, giorno di inizio della Passione di Gesù, alla domenica, giorno della Sua Risurrezione, per intercedere a favore dei peccatori che le chiedevano aiuto.

Ogni volta che veniva chiamata al letto di un morente era testimone del giudizio dell’anima che avviene subito dopo la morte:  era un dono straordinario di Dio.

Molti furono i controlli e i monitoraggi effettuati sul digiuno di Teresa da parte dell’autorità ecclesiastica.

Così il gesuita Carl Sträter, che fu incaricato dal Vescovo di Regensburg di studiare la vita della stigmatizzata, confermava: «Il significato del digiuno di Teresa Neumann è stato quello di dimostrare agli uomini di tutto il mondo il valore dell’Eucaristia, far capire che Cristo è veramente presente sotto la specie del pane e che attraverso l’Eucaristia può conservare anche la vita fisica». [3]

Marthe Robin (Francia 1902-1981): ): per 30 anni si è nutrita soltanto di Eucaristia!

 

Il filosofo Jean Guitton ci ha lasciato una forte testimonianza su Marthe Robin: «Era una contadina delle campagne francesi, che per trent’anni non ha assunto né cibi né bevande, nutrendosi della sola Eucaristia e ogni venerdì riviveva nelle stimmate i dolori della Passione di Gesù. Una donna che forse fu la persona più strana, straordinaria e sconcertante della nostra epoca, ma che proprio nel secolo della televisione rimase sconosciuta al pubblico, sepolta in un profondo silenzio. […] Dal primo incontro capii che Marthe Robin sarebbe stata una sorella nella carità”, sempre, come lo fu per migliaia di visitatori».

Marthe Robin nacque il 13 marzo 1902, a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme), in Francia, da una famiglia di contadini e trascorse tutta la sua vita nella casa paterna, dove mori il 6 febbraio 1981. Tutta l’esistenza di Marthe ruotò intorno a Gesù Eucaristia, che per lei fu «Colui che guarisce, consola, risolleva, benedice, il mio Tutto».

Già dal 1928, dopo una grave malattia neurologica, si trovò nell’impossibilità quasi assoluta di fare movimenti, particolarmente quello di inghiottire, perché i muscoli della deglutizione erano bloccati. Inoltre fu costretta, per una malattia agli occhi, a vivere praticamente nel buio più assoluto.

Questa è la testimonianza del suo padre spirituale, don Finet: «Quando ha ricevuto le

stimmate, all’inizio del mese di ottobre 1930, Marthe viveva la sua passione già dal 1925, l’anno in cui si offrì come vittima d’amore. Lo stesso giorno, Gesù le disse di aver scelto lei, per vivere più intensamente la Passione; nessun altro l’avrebbe vissuta in maniera così totale.

Aggiunse che ogni giorno avrebbe sofferto sempre di più, e la notte non avrebbe più dormito. Dopo le stimmate, Marthe non poteva né bere né mangiare».

Marthe Robin accettò tutte le sofferenze per amore verso Gesù Redentore e verso i peccatori che voleva salvare.

ll grande filosofo Jean Guitton ricordando il suo incontro con la veggente scrisse: «Mi trovai in quella sua stanza buia, presentato da una fra le menti più contestatrici del tempo: il medico di Anatole France, il dottor Couchoud, discepolo di Alfred Loisy e direttore di una collana di libri anticristiana.

Dal primo incontro capii che Marthe Robin sarebbe stata una ”sorella nella carità”, sempre, come lo fu per migliaia di visitatori».

Infatti, oltre ai fenomeni mistici straordinari, fu molto significativa l’opera di evangelizzazione che Marthe riuscì a compiere, nonostante la sua condizione, grazie all’aiuto di padre Finet, con cui fondò sessanta “Foyers de Lumière, de Charité et d’Amour” sparsi nel mondo. [4]

Chi crede veramente … cammina e fa camminare il Vangelo anche stando bloccato

in un letto!

Signore Gesù,

aumenta la nostra fede!

Soprattutto e … prima di tutto…

In noi sacerdoti!

Desidero concludere con questa preghiera:

Signore Gesù,

quando mi inginocchio davanti all’Eucaristia, sento

il profumo di Betlemme, respiro il mistero dell’umiltà

di Dio e provo vergogna per l’orgoglio che è dentro di me e che continuamente esplode nelle rivalità e nelle cattiverie quotidiane.

Gesù, donami una briciola della Tua umiltà!

Signore Gesù,

quando mi inginocchio davanti all’Eucaristia, capisco che Tu ci ami perché sei buono e non perché noi meritiamo il Tuo amore. Nel Cenacolo tutto parlava di tradimento e Tu, con un gesto di puro amore, donasti l’Eucaristia all’umanità: a questa umanità che continuamente Ti tradisce! Gesù, donami una briciola del Tuo amore!

Signore Gesù,

accanto all’Eucaristia si sente il mormorio dell’acqua che Tu versasti sui piedi degli apostoli e, attraverso di loro, versasti sui piedi di ciascuno di noi. Signore, arrossisco

a motivo dell’egoismo che ancora abita in me e soffro

per lo spettacolo del mondo d’oggi, che moltiplica divertimenti frivoli invece di moltiplicare le opere di misericordia.

Signore Gesù,

donami una goccia d’acqua del l’Ultima Cena! E donaci sacerdoti santi: sacerdoti capaci di farci innamorare dell’Eucaristia.

Amen.

Non ci accada di essere opachi fino al punto di non far trasparire neppure un raggio di Luce o un rigagnolo di Amore, che si sprigiona dall’Eucaristia, da ogni Eucaristia: sì, perché la nostra Messa

è uguale a quella che celebrava il Curato d’Ars;

è uguale a quella che celebrava Padre Pio, è uguale a quella che celebrava il Card. Saverio Van Thuan nel carcere di Hanoi.

Non ci accada di meritare il rimprovero che Dio rivolse ai sacerdoti attraverso le parole del Profeta Malachia. Eccole! State attenti e aggrappatevi alla sedia!

“Ecco, io spezzerò il vostro braccio

e spanderò sulla vostra faccia escrementi,

gli escrementi delle vittime immolate nelle vostre solennità,

perché siate spazzati via insieme con essi.

Così saprete che io ho diretto a voi questo monito,

perché c’è anche un’alleanza fra me e Levi,

dice il Signore degli eserciti.

La mia alleanza con lui

era alleanza di vita e di benessere

e io glieli concessi; alleanza di timore

ed egli mi temette ed ebbe riverenza del mio nome.

Un insegnamento fedele era sulla sua bocca,

né c’era falsità sulle sue labbra;

con pace e rettitudine ha camminato davanti a me

e ha trattenuto molti dal male”.  (Ml 2,3-6)

[1] I Miracoli Eucaristici nel mondo, Ed. Shalom, Camerata Picena 2016,
pp. 22-23.

[2] Ivi, pp. 79-80.

[3] Ivi, pp.328-329.

[4] Ivi, pp. 338-339.

Santa Messa nella Basilica Cattedrale. Omelia del Card. Comastri

L’8 aprile 2005 tantissimi eravamo in Piazza San Pietro per dare l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II. Gli occhi di tutti, umidi di pianto, osservavano attoniti l’Evangeliario posto sulla semplice bara di rovere, collocata al centro del sagrato. Un vento improvviso, tra lo stupore di tutti, cominciò a sfogliare le pagine del libro.

Tutti in quel momento ci chiedevamo: “Chi era Giovanni Paolo II? Perché l’abbiamo così tanto amato?”.

              La mano invisibile che sfogliava l’Evangeliario sembrava dirci: “La risposta è nel Vangelo! La vita di Giovanni Paolo II è stata una continua obbedienza al Vangelo di Gesù: per questo – ci diceva il vento! – per questo lo avete amato! Avete riconosciuto nella sua vita il Vangelo di sempre: il Vangelo che ha dato luce e speranza a generazioni e generazioni di cristiani!”. Oggi sappiamo che quel presentimento fu un’ispirazione, perché la Chiesa ha riconosciuto la santità dei Giovanni Paolo II: e noi esultiamo e ringraziamo coralmente Dio, artefice instancabile di santi.

              Ma ricordando le parole di Giovanni Paolo II: “I santi non ci chiedono di applaudirli, ma di imitarli”, doverosamente ci domandiamo: “Che cosa ci insegna la santità di questo straordinario discepolo di Gesù nel secolo ventesimo?”.

              La prima risposta è immediata: Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di dire apertamente la fede in Gesù in un’epoca di “apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio, che vive come se Dio non esistesse” (Ecclesia in Europa, 9). La sera del 16 ottobre 1978, appena eletto Papa, affacciandosi alla loggia della Basilica di San  Piatro, Giovanni Paolo II gridò: “Sia lodato Gesù Cristo!”. Era il grido della sua fede, era lo scopo della sua vita, era l’incipit del suo pontificato.

              Il 3 aprile 2006, Benedetto XVI parlando del suo predecessore esclamò: “Il compianto pontefice, passando attraverso il crogiolo delle fatiche apostoliche e della malattia, è apparso sempre di più una ‘roccia’ nella fede. Chi ha avuto modo di frequentarlo da vicino ha potuto quasi toccare con mano quella sua fede schietta e salda, che, se ha impressionato la cerchia dei suoi collaboratori, non ha mancato di diffondere, durante il lungo pontificato, il suo benefico influsso in tutta la Chiesa, in un crescendo che ha raggiunto il suo culmine negli ultimi mesi e negli ultimi giorni della sua vita. Una fede convinta, forte e autentica, libera da paure e compromessi”.

Giustamente, durante la malattia di Giovanni Paolo II un giornalista francese fece questa acuta riflessione: “Mentre il Papa diventava meno efficiente nel corpo, la sua testimonianza diventava più efficace: la sua fede brillava come una lampada nella notte”.

              Quale eredità e quale esempio  ha lasciato Giovanni Paolo II?

              Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la famiglia, che è un progetto di Dio scritto a chiare note nel libro della vita: ha difeso la famiglia mentre si stava diffondendo confusione e pubblica aggressione verso la famiglia, nel tentativo folle di scrivere una anti-genesi, un controprogetto del Creatore. Nella Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio”, Giovanni Paolo II lucidamente disse:

“In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia, sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia”. (Familiaris Consortio, 86).

              E dopo un periodo di degenza in ospedale, alla preghiera dell’Angelus, il 29 maggio 1994, disse: “Io vorrei che, attraverso Maria, sia espressa oggi la mia gratitudine per questo dono della sofferenza. Ho capito che è un dono necessario. E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisogna introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio.

Perché, adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della Famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c’è un Vangelo superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie”.

              San Giovanni Paolo II, dal Cielo ottienici il dono di tanta luce per ritrovare la strada del progetto di Dio riguardo alla famiglia: che è l’unica strada che dà dignità e verità all’amore e un futuro agli sposi e ai figli.

              Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di difendere la vita umana – e tutta la vita umana! – in un’epoca in cui si sta diffondendo la cultura dello scarto, come più volte si è espresso Papa Francesco: sì, nella contemporanea carestia di amore, i più deboli vengono scartati perché l’egoismo non li sopporta, ma li sente come un peso. Fatto terribile: segno di un regresso di civiltà!

              La Lettera Enciclica “Evangelium Vitae” che è un appassionato grido di difesa della vita, termina con una bellissima preghiera a Maria, nella quale c’è tutta l’anima di Giovanni Paolo II. Dice così:

              “O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,

affidiamo a Te la causa della vita:

guarda, o Madre, al numero sconfinato

di bimbi cui viene impedito di nascere,

di poveri cui è reso difficile vivere,

di uomini e donne vittime di disumana violenza,

di anziani e malati uccisi dall’indifferenza

o da una presunta pietà.

Fa’ che quanti credono nel tuo Figlio

sappiano annunciare con franchezza e amore

agli uomini del nostro tempo

il Vangelo della vita”

(Evangelium Vitae, 105).

Come sono vere queste parole, come sono attuali, come sono profetiche: sono una preziosa eredità.

Ma la passione per la difesa della vita umana divenne un autentico urlo nella Valle dei Templi, presso Agrigento. Il Papa Giovanni Paolo II, attraversato da un fremito degno di Amos o Isaia, gridò: “Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi aggregazione, qualsiasi mafia, non può cambiare o calpestare questo diritto santissimo di Dio. (…) Qui ci vuole la civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto (e con gli occhi indicò il Crocifisso che stringeva tra le mani!), nel nome di questo Cristo che è via, verità e vita, io dico ai responsabili: ‘Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!’ “.

Quale fede, quale forza, quale eroismo si nascondeva dietro queste parole: era l’eroismo di un Santo!

Ma la fede coraggiosa di Giovanni Paolo II non si è fermata qui.

Egli ha avuto il coraggio di difendere la pace, mentre soffiavano cupi venti di guerra. Nel 1991 e nel 2003 tentò con tutte le sue forze di impedire le due guerre del Golfo: non fu ascoltato, ma non si stancò di gridare: ‘Pace!’. Il 16 marzo 2003, in un estremo tentativo di bloccare la macchina della guerra, si permise di dire: “Io so che cos’è la guerra! Io devo dire a costoro: ‘la guerra non risolve i problemi, ma li moltiplica’”. Parole sante, parole vere, parole attuali, parole non ascoltate!

Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di andare incontro ai giovani per liberarli dalla cultura del vuoto e dell’effimero e per invitarli ad accogliere Cristo, unica luce della vita e unico capace di dare pienezza di gioia al cuore umano. Il 15 agosto dell’anno 2000, accogliendo la folla immensa di giovani in Piazza San Pietro, li salutò così: “Che cosa siete venuti a cercare? Lasciate che ripeta la domanda: che cosa siete venuti a cercare? O meglio: chi siete venuti a cercare?

La risposta non può essere che una sola: voi siete venuti a cercare Gesù Cristo! Gesù Cristo, però, per primo viene a cercare voi! Non pensate di essere ai suoi occhi degli sconosciuti, come numeri di una folla anonima. Ognuno di voi è prezioso per Cristo, è conosciuto personalmente, è amato teneramente”. I giovani di tutto il mondo hanno riconosciuto in Giovanni Paolo II un padre vero, una guida autentica, un educatore leale. Chi può dimenticare l’abbraccio tra il Papa e un giovane che, durante la Veglia a Tor Vergata, superati tutti i cordoni di sicurezza, corse verso il Papa per dirgli semplicemente: “Grazie! Ti voglio bene!”. È una scena che è entrata nel cuore e nella storia. Ero presente e mi commossi… fino alle lacrime!

Giovanni Paolo II, nella difficile stagione della crisi di vocazioni sacerdotali, ha avuto il coraggio di vivere davanti al mondo la gioia di essere prete, la gioia di appartenere a Cristo e di spendersi  totalmente per la causa del Suo Regno.

Un ex-sacerdote, che si era ridotto a vivere come un barbone, venne accompagnato da un confratello amico ad una udienza del Papa nella Sala Clementina. Il Papa fu informato di quella singolare presenza e, terminata l’udienza, chiese di incontrare l’ex-sacerdote. Che cosa accadde? Il Papa si inginocchiò e chiese di confessarsi per risvegliare nel cuore del sacerdote la consapevolezza della grandezza del sacerdozio. Salutandolo, gli disse: “Vedi quanto è grande il sacerdozio! Non infangarlo!”. Abbondanti lacrime rigarono il volto del sacerdote al quale Giovanni Paolo II disse salutandolo: “Ricordati che un sacerdote non potrà mai essere ex-sacerdote”.

Parole e gesti degni di un Santo.

Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di affrontare “l’inverno mariano”, che caratterizzò la prima fase post-conciliare.

Egli ripropose con forza e con convinzione la devozione a Maria: una devozione che è parte irrinunciabile dell’Evangelo, cioè dell’opera di salvezza così come è stata e viene compiuta da Dio in Cristo Gesù.

“Il 13 maggio 1981 – sono sue parole – mentre una mano assassina sparava per uccidermi, io ho sentito una mano materna che fermava il Papa sulla soglia della morte”.

 

E il 24 febbraio 2005, dopo l’intervento di tracheotomia che lo privò della voce, scrisse su un foglio: “Che cosa mi avete fatto! Ma… Totus tuus, Maria”.

Fino alla fine Giovanni Paolo II si è lasciato condurre da Maria nella via della fede, dell’abbandono, del dono totale di se stesso.

              È stato un Santo! E oggi la Chiesa ha tanto bisogno di nuovi santi.

              Concludendo, vorrei condividere con voi una preghiera rivolta a Maria: una preghiera che fotografa l’attuale momento. Dice così:

“O Maria, mamma nostra cara,

un tempo non avevamo niente,

ma cantavamo!

Un tempo c’era soltanto

un po’ di zuppa la sera…

con scodelle sbeccate,

ma cantavamo!

Un tempo non c’era la televisione,

ma ci guardavamo negli occhi

e ci parlavamo di tutto,

e cantavamo!

Un tempo tutti eravamo poveri,

ma tenevamo sempre la chiave

sulla porta di casa,

e ci salutavamo per strada,

eravamo liberi dalla paura

e cantavamo!

Un tempo se c’era una gioia,

si condivideva;

se c’era un dolore,

si partecipava;

se nasceva un bimbo,

si benediceva;

se una persona invecchiava,

non si cacciava di casa

condannandola all’esilio

lontano dagli affetti;

se moriva un vecchio,

si piangeva e si pregava;

se c’era un ammalato,

si abbracciava con tenerezza

e si curava con il cuore

prima che con le medicine;

un tempo non mancava mai il canto

nelle nostre case disadorne,

perché il cuore era pieno di Dio:

ed era pieno di Dio perché era pieno d’amore.

Non è possibile tornare indietro nel tempo,

ma la vita di un tempo

può fare un passo in avanti

verso di noi, verso le nostre case”.

Che accada così!

Accada nelle nostre famiglie!