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Pontificale nella Basilica Cattedrale di Matera

 

Carissimi,

questo giorno è diverso da tutti gli altri perché intriso di vita, di profumi di primavera, di colori armoniosi, di luce che dirada le tenebre.

È un giorno che parla con forza e ci dice che l’enorme masso posto sulla storia dell’umanità come sigillo per un loculo di morte, viene rotolato perché la vita esca vittoriosa.

È un giorno durante il quale si esce dai luoghi stipati nella paura e si ritorna a correre vincendo il buio del primo mattino per lasciare il posto al sole che sorge.

È il giorno della vittoria che risana le ferite dell’egoismo, dell’ingiustizia e della prepotenza, che ha attraversato il mare della disperazione per giungere alla riva della liberazione.

È il giorno della terra fecondata dallo Spirito divino che torna ad essere arata e vangata con la forza dell’amore, per accogliere semi di pace, destare germogli di nuova umanità.

È il giorno in cui si raccolgono le spighe, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, per essere pane spezzato e condiviso con tutti.

È il giorno dell’ebbrezza del vino nuovo che scorre da acini macinati nel torchio dell’amore.

È il giorno della vittoria di Cristo sulla morte, distrutta per sempre, mentre si raccolgono i frutti deliziosi di una umanità nuova ai piedi della sua Croce.

È il giorno glorioso della sua risurrezione affinché ogni uomo ritorni ad essere creatura, figlio dell’unico Padre, camminando da fratello accanto al fratello.

È il giorno glorioso del Cristo che mostra i segni impressi nella sua carne dall’uomo violento, fratricida, egoista, despota e in cerca di gloria, è dal Cristo che è sgorgato copioso il sangue che ha lavato le nostre vesti intrise di peccato.

Si, carissimi, questo è il giorno in cui, in mezzo a tanto terrore, paure, guerre, malattie, povertà di ogni genere, avvertiamo il tepore della luce della Resurrezione che ci avvolge e ci consola, che asciuga le nostre lacrime, ci fa uscire dal chiuso dei nostri egoismi, ci apre la mente ed il cuore alla comprensione di un agire comune per il bene di tutti.

La Pasqua di Cristo è la nostra Pasqua come inizio di una nuova fase della nostra esistenza, mettendo da parte schermaglie e lotte di potere, per guardare con l’occhio della verità e il cuore che ama questa nostra terra di Basilicata, d’Italia, del mondo intero. Deporre le armi non come resa al nemico ma come desiderio e volontà di porre le basi per costruire progettualmente e con determinazione il futuro delle nuove generazioni.

Quanta tristezza e delusione nell’assistere a giochi di potere mentre vittime innocenti vengono sacrificate come agnelli condotti al macello! Quanta rabbia in alcuni momenti nello sperimentare l’impotenza di fronte al dilagare di ingiustizie dove i civili, come scudi umani, vengono trucidati, durante una festa da ballo nel deserto, nelle loro case o negli ospedali, nelle sale da ballo, nelle invasioni e occupazioni con il diritto di rubare la terra altrui.

Eppure siamo tutti figli della stessa terra, nostra madre e abitazione, con il cielo quale nostro tetto, il firmamento dove le stelle danzano per tutti, il sole illumina e scalda ogni essere vivente.

Chi è il diverso? L’immigrato che cerca un futuro migliore e che scappa da miserie, guerre e povertà, o chi si sente diverso perché migliore?

Chi è il diverso? Chi sta ai margini delle strade, della storia, relegato nei tuguri umidi e maleodoranti, o chi vive nel lusso e non ha spiccioli per dare concretamente una mano?

Chi è il diverso? Chi subisce torti e ingiustizie di ogni genere e sente la sua dignità calpestata perché costretto, per motivi di lavoro, ad andare via dalla propria casa, dai propri affetti, o chi coltiva i propri interessi?

Già. Chi è il diverso?

La Pasqua di Resurrezione c’interpella seriamente tutti, in particolare i battezzati, quindi i credenti, perché siamo stati sepolti nella morte di Cristo e siamo resuscitati con lui. Tutto questo non è teologia o filosofia teorica ma teologia e filosofia pratica, perché, come ci ha detto S. Paolo nella seconda lettura, dobbiamo avere il coraggio di rispondere a quest’invito: “Cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio”! (Col 3,1). Chi vive in questo mondo guardando verso il cielo, non desidera scappare da questo mondo o dalle responsabilità che ognuno ha, bensì impegnarsi concretamente, per aiutare questa umanità ad avere il volto del Risorto.

Questo è il vero passaggio che ci indica la Pasqua. La Pasqua di Gesù è gioia, entusiasmo, voglia di vivere, fiducia ritrovata. Non custodi di isterismi religiosi, ma custodi di una speranza e di una gioia che rende capaci di aprire nuovi solchi per la semina, nuove strade da percorrere, nuovi progetti attorno ai quali ritrovarsi e lavorare. Un entusiasmo che non spegne l’entusiasmo di agire a favore degli altri e ci rende indomiti e operatori di bene.

La Pasqua è uscire dalla solitudine del sepolcro ed entrare nella luce delle relazioni umane, incominciando da quelle familiari. Ma è altrettanto fondamentale sentirsi parte integrante di questa grande famiglia che è la Chiesa nella quale si agisce, si opera, a volte ci si scontra, ci si perdona, si condivide con non poche sofferenze l’esperienza di vita e di vita di fede.

In questo dinamismo relazionale scopriamo, giorno dopo giorno, che questo continuo passaggio ci introduce alle porte dell’eternità dove la Chiesa celeste ci attende e con la quale nel frattempo siamo in continua comunione, appunto la comunione dei santi e con Maria, Madre di Gesù e Madre nostra.

Questo siamo noi: testimoni della risurrezione perché capaci di rimettere in gioco la nostra storia personale e quindi la vita perché abbiamo incontrato il Risorto. Ecco perché ogni cristiano è chiamato a raccontare con la propria vita dove ha incontrato il Signore che ha distrutto la morte. Ci sono fatti, circostanze, momenti intimi e personali, gioie e dolori, volti, persone, luoghi che hanno segnato la nostra esistenza facendoci passare da uno stato di vita ad un altro. “E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 39-41).

Siamo arrivati a celebrare la Pasqua, ancora una volta dopo il tempo difficile della pandemia, avvertendo nella nostra carne che esiste una grande distanza tra ciò che annunciamo: “Cristo è risorto dai morti”, e tutto l’orrore che quotidianamente ci viene comunicato: guerre, attentati, naufragi, tanta disperazione, inondazioni, terremoti, fame e sete, sangue innocente che continua a bagnare una terra sempre più riarsa e bisognosa di vita. Penso sia esattamente qui la forza dell’annuncio cristiano: la morte non è la fine di tutto. Gesù risorto ci ha lanciato una sfida affinché si possa fare un passaggio decisivo: scegliere tra la vita e la morte, tra la disperazione e la speranza, tra il non senso e la preziosità di ciò che ci circonda, tra la rassegnazione e il lottare contro ogni visione più pessimistica, tra chi distrugge e chi non si arrende a ricostruire. È già in atto la vittoria su tutto ciò che, animato dall’odio, distrugge.

Carissimi, Cristo è risorto, è veramente risorto! Questo è il cuore della Pasqua, il resto è paganesimo, commercio, business manageriale, spettacolo. Auguro ad ognuno e a tutti voi di essere costruttori di pace e di fraternità, esattamente quanto Gesù risorto ha portato. Ne abbiamo bisogno nelle nostre famiglie, sempre più deboli e fragili, nelle nostre comunità parrocchiali che a volte colgo scoraggiate e demotivate, nella politica spesso litigiosa e non sempre lungimirante, impreparata nel cogliere le sfide dell’oggi; tra i nostri giovani virtuosi ma senza punti di riferimento e facilmente usati perché siamo bravi a parlare di loro ma non con loro e a loro: è come se non avessimo più tempo per cogliere il loro grido dignitoso di aiuto nell’essere sostenuti e incoraggiati con progetti di vita, anche lavorativi, capaci di guardare lontano. Non lasciamo morire la sanità e i luoghi dove tanti anziani trovano riposo e conforto: diamo segni di speranza, possibilmente evitiamo di fare promesse a scopi propagandistici ed elettorali.

Auguro a tutti gli abitanti delle nostre Diocesi di Matera-Irsina e di Tricarico che ci sia davvero pace. Pace a quanti a Matera come nei nostri stupendi borghi fanno visita quotidianamente. Pace ai nostri fratelli ammalati e sofferenti che magari ci stanno seguendo da casa tramite questa emittente televisiva TRM, che ringrazio per il prezioso servizio, ai carcerati con i quali stamattina ho condiviso la celebrazione della S. Messa. Ma auguro pace a quanti quotidianamente condividono un pasto caldo nelle nostre mense di S. Rocco e di D. Giovanni Mele e agli operatori Charitas che li servono con amore e cuore aperto. Pace a quanti vivono l’attesa silenziosa che qualcuno compia un gesto d’amore. Gesù è morto per tutti ed è risuscitato per tutti.

Santa Pasqua a tutti. Così sia.

 Don Pino