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Carissimi, “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamo visto la sua gloria” (cfr. Gv 1, 14). Il mistero del Natale che celebriamo è contenuto e svelato in questa espressione di S. Giovanni.

Lo dico a me stesso, ai confratelli sacerdoti, a voi tutti fratelli e sorelle che partecipate a questa solenne celebrazione eucaristica, alle autorità civili e militari, a voi che in questi giorni state abitando e visitando la nostra città, a quanti, grazie all’emittente televisiva TRM, ci seguite da casa, soprattutto a voi sofferenti, anziani soli e malati: Gesù è venuto per ridarci il sorriso che tentano di toglierci, la speranza che è stata spenta, la vita che continua ad essere annientata.

Si, Gesù è venuto per stare con noi, nei nostri ambienti che quotidianamente abitiamo, perché ognuno ritrovi quelle certezze che un certo modo di intendere la vita vorrebbe rubarci e portare via; per lasciarci riavvolgere da quell’amore vero, bello e, curare, quello malato che è diventato possessivo, cruento, egoista, bestiale: la morte ha preso il posto della tenerezza, l’ingiustizia è causa di guerre e di spargimento di sangue innocente; il preteso errore di libertà “del faccio quello che voglio” rompe ogni regola civile e di convivenza umana in quanto l’io si stacca dal noi, creando fratture, divisioni,; e mentre si parla di amore e fraternità si diventa arroganti, prepotenti pur di affermare la propria ideologia di vita.

Celebrare il Natale di Gesù significa celebrare la gioia della vita che scaturisce dal mistero che si è svelato, mostrato nell’azione concreta: “il Verbo si è fatto carne”. La Parola ha assunto la nostra condizione umana. Ciò che Dio dice diventa azione concreta. E’ quanto manca a noi: parliamo, parliamo, denunciamo, puntiamo il dito su quanto non va, diventiamo moralisti sulla vita degli altri, ma non agiamo secondo quello che diciamo. Spesso lo esprimiamo attraverso il detto famoso: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Non è così per Dio, non dovrebbe essere così per noi cristiani! Rimoduliamo la frase: “tra il dire e il fare c’è di mezzo l’amore!” E’ la forza, la potenza straripante dell’amore che ci porta ad aprire nuovi solchi di vita sul terreno arido della storia e lasciare cadere semi di speranza da far germogliare e godere di una nuova primavera della storia, della Chiesa, inebriandoci di profumi deliziosi, di frutti gustosi.

Eppure anche noi corriamo il rischio di celebrare il Natale senza viverlo. O meglio senza cogliere e vivere l’incarnazione nella nostra carne. Cosa ci manca? Di cosa abbiamo bisogno? Ci manca l’ascolto, il silenzio, l’incontro con la Sapienza di Dio.

“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. E’ quanto il profeta Isaia ci ha detto nella prima lettura di questa notte. Anche noi vogliamo uscire dalle tenebre ed entrare nella luce che è venuta nel mondo, Cristo Gesù. Stiamo vivendo un tempo difficile e stiamo diventando tutti più ansiosi, smarriti, preoccupati e impauriti. Le tenebre ci circondano, ci sentiamo soffocati. Eppure il Natale di Gesù è la luce che squarcia questa materia che ci opprime avvolgendoci di divino e risvegliando il desiderio di eternità: bisogno di trovare il Signore che avvertiamo come colui che: “Ha moltiplicato la gioia, ha aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda”.

Non a caso i padri della Chiesa dei primi secoli spiegavano che la nascita di Gesù probabilmente non aveva cambiato il corso della storia, però aveva restituito alla storia l’autenticità di un contenuto che, come ai nostri giorni, appariva paganizzato. Dal contenuto del Natale di Gesù si capisce qual è la direzione che bisogna seguire. 

Ecco perché, il Natale di Gesù, anche nelle nostre realtà, diventa impegno concreto per sostenere e salvaguardare una Sanità che appare sempre più a corto di ossigeno, quindi malata e in procinto di collassare; di una economia che ritorni a mettere la persona al centro e prima del profitto e dell’interesse; di una politica che superi lotte e beghe interne, capace di mettersi in cammino per incontrare ed ascoltare la gente, sentire le problematiche, le esigenze, e rendersi conto, guardando con i propri occhi le tante criticità presenti dappertutto, ma in particolare nelle nostre aree interne. Ascoltare e condividere quanto le nuove generazioni ci chiedono, sapendo intercettare il loro linguaggio, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle piazze, progettando e investendo energie e denaro affinché si vinca la tentazione sempre più impellente di lasciare la nostra amata terra. E ancora, con lo stesso sguardo dei pastori verso la grotta di Betlemme, riaffermare il valore della vita come sacra, per vincere la tentazione di servire la morte in nome di un falso progresso e un errato senso di civiltà e libertà. In questa logica non mi stancherò mai di ripetere che tutti abbiamo bisogno di essere educati per riconciliarci con la natura, tornando ad amare e rispettare la nostra madre terra dalla quale siamo stati impastati e alla quale ritorneremo.

Usciamo per un istante dalla favola e dalla commozione del presepe e consideriamo perché Gesù è nato in una stalla, nella povertà, fuori Betlemme, città che non è stata in grado di accoglierlo: “non c’era posto per loro nell’albergo”, dice l’evangelista. Purtroppo anche oggi questa triste realtà non è cambiata. A pensarci bene ci sono tante città che come Betlemme non hanno spazio per accogliere il Dio Bambino visibile e presente in chi ha bisogno di sostegno, di una parola di consolazione. Anche se li mettiamo nel presepe, mancano i pastori che portano i loro greggi a contemplare la luce che ha squarciato le tenebre dell’umanità. Vediamo invece arrivare tante armi e tanti soldati capaci di spegnere il sorriso, respingere la luce e accentuare le tenebre creando sofferenza, divisione, morte. Mancano i Re Magi che non confluiscono verso la capanna del Dio Bambino portando ricchezza, ma ci sono i potenti della terra che si scontrano per dividersi i beni dei poveri e degli indifesi che pagano sempre per tutti.

In mezzo a questa umanità triste, desolata, malata, Dio scende dal cielo e, per condividere la nostra condizione umana, nasce in questa stalla. Ecco il vero Natale del Signore! Questa la vera commozione che dovremmo sentire nella nostra carne che freme di gioia, pur essendo coscienti di non esserne degni, il battito del cuore innamorato dell’Amore, lo sguardo proteso nella certezza di una umanità nuova che nasce, il profumo della vita che risorge dalla morte, l’anelito ad agire contribuendo a costruire la pace sul fondamento della giustizia.

Il Natale di Gesù ci dice una cosa sostanzialmente: abbiamo tutti un debito da pagare, il debito dell’amore che ci fa tornare fratelli e non nemici, figli dello stesso Padre. Sarebbe bello se anche noi con Sant’Efrem potessimo cantare: “Il giorno della tua nascita, o Signore, è un tesoro destinato a soddisfare il debito comune”, il debito dell’amore.

Non accontentiamoci di una fede formale ed esteriore. Ascoltando la voce di Gesù, nutrendoci del suo corpo e sangue, coltivando la vita spirituale, sperimenteremo come si assimila Gesù e ognuno di noi diventa sempre più somigliante a lui. Diceva bene Kierkegaard che, parlando del Natale, affermava: «I due mondi da sempre separati, il divino e l’umano, sono entrati in collisione in Cristo. Una collisione non per un’esplosione, ma per un abbraccio».

Che bello sentire cantare con insistenza, da parte di una giovane emergente della canzone italiana, vincitrice di Sanremo Giovani con Boulevard, Clara, quando fa suo il grido di Papa Francesco: “Nessuno si salva da solo”.

E’ quanto ci chiedono i bambini sfruttati, uccisi, violentati nell’animo e nel corpo, in tutte le parti del mondo, così come le donne considerate oggetto di desiderio e di possesso che, in nome di un amore malato, vengono uccise. E’ quanto ci chiedono i tanti bambini mai nati ed abortiti come gli anziani soli e parcheggiati. Nessuno si salva da solo, nessuno può essere escluso dalla vita: tutti apparteniamo a questa grande famiglia che è l’umanità. Ce lo chiedono quanti hanno fame e sete di giustizia, quanti, come Maria e Giuseppe, si sentono stranieri e non accolti.

E’ quanto simbolicamente faremo al termine della S. Messa, recandoci davanti al monumentale presepe della nostra Basilica Cattedrale.

Così sia.

 Don Pino