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LECTIO DIVINA DELLA LITURGIA DELLA PAROLA DELLE 4 MESSE DI NATALE

NATALE DEL SIGNORE
MESSA VESPERTINA NELLA VIGILIA

L’INCARNAZIONE È UNA SCELTA D’AMORE

O Padre, che ci allieti ogni anno
con l’attesa della nostra redenzione,
concedi che possiamo guardare senza timore,
quando verrà come giudice, il tuo unigenito Figlio
che accogliamo in festa come redentore.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Isaìa Is 62,1-5
Il Signore troverà in te la sua delizia.

Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.

Per amore di Gerusalemme
Quello del profeta per la sua città è un amore impaziente che con forza richiede la restaurazione della giustizia e della «salvezza». L’oracolo non esprime solo il desiderio di veder ricostruiti edifici e reinsediati gli abitanti ma anche il fiducioso abbandono nelle mani di Dio. La restaurazione sognata comporta una vera reviviscenza della vita cittadina, della gioia dello sposo e della sposa, dei canti e delle feste, della fecondità della terra arata, seminata, veramente «sposata». L’amore per la città è l’amore per il popolo., con la sua cultura e la sua storia. Il profeta in nome dell’amore per la sua città e il suo popolo si fa loro intercessore insegnando ai figli d’Israele a fare lo stesso per Gerusalemme.
Il profeta che sogna Gerusalemme, città dell’incontro tra amici, difesa contro i nemici, culla della cultura, non si rassegna a vederla come luogo di violenza e di solitudine, di indifferenza e crudele competitività. Perciò invita i suoi concittadini a non smettere di sperare perché dove c’è speranza per la città umana c’è anche la salvezza.

Salmo responsoriale Sal 88
Canterò per sempre l’amore del Signore
.

«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo.
Stabilirò per sempre la tua discendenza,
di generazione in generazione edificherò il tuo trono».

Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia.

«Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre,
mio Dio e roccia della mia salvezza”.
Gli conserverò sempre il mio amore,
la mia alleanza gli sarà fedele».

Dagli Atti degli Apostoli At 13,16-17.22-25
Testimonianza di Paolo a Cristo, figlio di Davide.

Paolo, [giunto ad Antiòchia di Pisìdia, nella sinagoga,] si alzò e, fatto cenno con la mano, disse:
«Uomini d’Israele e voi timorati di Dio, ascoltate. Il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri e rialzò il popolo durante il suo esilio in terra d’Egitto, e con braccio potente li condusse via di là.
Poi suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”.
Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele.
Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”».

Il nostro Salvatore è Gesù Cristo
L’apostolo Paolo nella sua prima predicazione, quale missionario della Chiesa, evangelizza annunciando Gesù nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, dove erano state appena proclamate le Scritture in giorno di sabato. Paolo sintetizza il messaggio della Scrittura ricordando l’esperienza fatta da Israele di essere il popolo eletto e, perciò stesso, destinatario della potente misericordia di Dio che lo ha riscattato dalla schiavitù dell’esilio babilonese. Il Signore ha voluto rendere sempre più stabile la relazione con il suo popolo scegliendo un re dal cuore umile. Benché Davide sia presentato come modello di sovrano obbediente e giusto, non era eterno. Per cui il Signore aveva promesso un discendente il cui regno sarebbe stato eterno, senza fine. Con tale promessa Dio si impegnava ad una alleanza nuova ed eterna con Israele. Ecco il cuore dell’annuncio cristiano rivolto al popolo d’Israele: Gesù è il Cristo! La testimonianza del Battista raccoglie tutte le profezie che invitavano tutti ad alzare lo sguardo per contemplare la salvezza ormai vicina. Tanti nel passato hanno preteso di presentarsi come i salvatori del mondo. Nessuno può intitolarsi questa autorità, ma solamente Dio che opera meraviglie attraverso il suo servo e figlio Gesù Cristo.

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 1,1-25
Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

LECTIO
Le origini di Gesù

Il Vangelo secondo Matteo si apre con una soglia densa e solenne, che ha il valore di una vera professione di fede. I primi venticinque versetti non introducono semplicemente il racconto, ma ne contengono già la chiave interpretativa: in Gesù di Nazaret la storia trova il suo senso, e ciò che appare frammentato viene ricondotto a unità. L’espressione iniziale, «Libro della genesi di Gesù Cristo», richiama volutamente le origini bibliche: Matteo intende presentare Gesù come l’inizio di una nuova creazione e, nello stesso tempo, come il compimento della lunga vicenda di Israele. La genealogia non è dunque un elenco anagrafico, ma una lettura teologica della storia.
I titoli “figlio di Davide” e “figlio di Abramo” collocano Gesù dentro le due grandi promesse bibliche: quella della discendenza benedetta per tutte le genti e quella del regno stabile affidato a Davide. L’evangelista mostra che la storia non procede in linea retta, ma attraverso passaggi critici, cadute e ripartenze. La suddivisione simbolica in tre serie di quattordici generazioni evidenzia che anche l’esilio, evento traumatico e apparentemente fallimentare, rientra nel disegno di Dio e diventa luogo di attesa e di maturazione.
In questo cammino emergono figure inattese: donne segnate da storie irregolari, straniere o ferite, che infrangono l’idea di una genealogia “pura”. In esse Matteo lascia intravedere lo stile di Dio, che non si vergogna delle fragilità umane, ma le assume come spazio della sua grazia. La genealogia culmina in Maria, dalla quale nasce Gesù, non per iniziativa umana ma per opera dello Spirito: qui la storia raggiunge il suo punto di svolta.
Il racconto della nascita si concentra sulla figura di Giuseppe, uomo giusto, chiamato a una giustizia che non si esaurisce nell’osservanza della legge, ma si apre all’ascolto di Dio. Il sogno diventa il luogo della rivelazione, come nelle grandi pagine bibliche: Dio parla quando l’uomo rinuncia al controllo. Il comando dell’angelo, “non temere”, apre la via all’obbedienza della fede. Dare il nome al bambino significa assumersi una responsabilità e riconoscere che quel figlio appartiene a una storia più grande. Il nome Gesù rivela la sua missione: salvare il popolo dai peccati, andando alla radice del male umano.
I Padri della Chiesa hanno letto queste pagine come una grande catechesi sull’incarnazione reale del Verbo. Ireneo vi riconosce la ricapitolazione dell’intera storia umana; Giovanni Crisostomo insiste sul realismo della carne assunta; Agostino vede nella genealogia una profezia della Chiesa, composta da peccatori perdonati; Origene contempla in Giuseppe il modello di un credente che accoglie il mistero senza pretendere di dominarlo. Così Matteo mostra che Dio non entra nella storia dall’esterno, ma dall’interno, assumendone il peso e trasformandolo in promessa.

MEDITATIO
La spiritualità dell’inizio di Dio

Mt 1,1-25 ci consegna una spiritualità sorprendentemente concreta, lontana da ogni idealizzazione. L’inizio di Dio nella storia non coincide con un contesto perfetto, ma con una vicenda segnata da ambiguità, domande e decisioni difficili. La genealogia ci ricorda che nessuna storia è inutile e che anche ciò che appare deviazione può diventare via. Dio non cancella il passato, lo attraversa; non seleziona i migliori, ma chiama tutti dentro un disegno di salvezza più grande delle loro stesse intenzioni.
La nascita di Gesù avviene nel cuore di una crisi: una gravidanza inattesa, un progetto di vita che sembra infrangersi, un uomo giusto chiamato a scegliere tra la legge e la misericordia. È proprio lì che Dio prende dimora. Giuseppe non comprende tutto, ma si fida; non parla, ma agisce; non cerca spiegazioni, ma obbedisce. La sua fede è fatta di gesti concreti: accogliere, custodire, dare un nome, assumersi una responsabilità. In lui la giustizia diventa spazio di ascolto e la legge si apre alla vita.
Il titolo “Emmanuele, Dio con noi” illumina l’intero racconto e ne svela la portata spirituale. Dio non salva dall’alto, ma stando dentro la storia; non elimina le ferite, ma le abita. Il Natale, letto alla luce di questo testo, non è un rifugio emotivo, ma una chiamata esigente: riconoscere che Dio viene là dove non lo avremmo previsto e ci chiede di fare spazio. Accogliere Cristo significa lasciarsi coinvolgere in un cammino che continua, diventando a nostra volta parte di quella genealogia di fede in cui Dio scrive ancora la sua presenza nel mondo.

LA PAROLA INTERPELLA LA VITA

Quali “genealogie ferite” riconosco nella mia storia personale o comunitaria?
In quali situazioni mi sento chiamato a una giustizia che vada oltre la lettera della legge?
Quali paure mi impediscono di accogliere ciò che Dio sta generando oggi?
Sono disposto a dare un nome, cioè a prendermi responsabilità, di ciò che Dio affida alla mia vita?

ORATIO

O Dio fedele,
che attraversi le generazioni
e scrivi la salvezza
con nomi imperfetti e storie ferite,
insegnaci a riconoscere la tua presenza nel tempo.

Dio con noi,
che scegli la via dell’umiltà
e dimori nelle case incerte degli uomini,
liberaci dalla paura
di accogliere ciò che non comprendiamo.

Signore Gesù,
figlio promesso e dono inatteso,
entra nelle nostre notti vigilanti
e rendi il nostro silenzio
luogo di obbedienza e fiducia.

Spirito Santo,
che generi il nuovo dentro la storia,
fa’ della nostra vita una dimora aperta,
perché il mondo riconosca
che Dio è ancora con noi. Amen.

NATALE DEL SIGNORE
MESSA DELLA NOTTE

IL BAMBINO SI È FATTO PANE PER NOI

O Dio, che hai illuminato questa santissima notte
con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo,
concedi a noi, che sulla terra contempliamo i suoi misteri,
di partecipare alla sua gloria nel cielo.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Isaìa Is 9,1-6
Ci è stato dato un figlio.

Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Màdian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Ci è nato un figlio
In questo oracolo è un inno di gioia per il compimento dell’annuncio dato ad Acaz della nascita del figlio al quale sarebbe stato dato il nome di Emmanuele, Dio con noi (Is 7, 14s.). La nascita del bambino non è solo una gioia per il re, suo padre, ma per tutto il popolo che, guidato da capi acciecati dall’avidità e dall’orgoglio, brancola nel buio dell’incertezza e della precarietà. Il profeta indica nel figlio del re il segno della presenza potente di Dio che opera la giustizia e costruisce la pace. La guerra e i conflitti fratricidi, generati dal peccato, cedono il posto alla pace e alla libertà. L’immagine del bambino con la sua innocenza, vulnerabilità, insufficienza, povertà, debolezza, contrasta con l’imponenza della macchina militare di un esercito, con la portentosa struttura economica e sociale di uno stato, con il solenne e complicato cerimoniale di corte. Dio sorprende l’uomo capovolgendo le sue attese e le logiche del mondo.

Salmo responsoriale Sal 95
Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.

Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito Tt 2,11-14
È apparsa la grazia di Dio per tutti gli uomini.

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

In Gesù Dio dona la salvezza
La liturgia di Natale propone due brani tratti dalla lettera Tito nei quali Paolo ricorda l’evento capitale per la fede e la vita degli uomini. A Dio è piaciuto rivelarsi a tutti gli uomini, mediante suo Figlio Gesù Cristo, mostrandosi come Salvatore. Offrendosi liberamente alla morte di croce, Egli ha dato sé stesso per noi affinché potessimo essere liberati dalla schiavitù del peccato e formare una comunità che testimonia con la propria vita la bellezza dell’amore di Dio. Il modo con il quale Dio viene incontro all’uomo per amarlo diventa per tutti modello di vita. Egli, che ha rigettato le lusinghe delle tentazioni e ci ha amati fino al “colmo” è luce che traccia la strada attraverso la quale compiere il pellegrinaggio spirituale che ci conduce alla piena conformazione a Cristo e, conseguentemente, alla totale manifestazione in noi dell’amore di Dio.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 2,1-14
Oggi è nato per voi il Salvatore.

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

LECTIO
Dio entra nella storia dalle sue periferie

Il racconto lucano della nascita di Gesù (Lc 2,1-20) si sviluppa come una rivelazione progressiva che conduce il lettore dal centro del potere alle periferie della storia. L’evangelista costruisce il racconto in tre movimenti narrativi: la nascita del bambino a Betlemme, l’annuncio ai pastori e l’incontro tra il segno rivelato e coloro che lo accolgono. Questa dinamica non è solo narrativa, ma profondamente teologica: Dio si manifesta non nei luoghi della decisione politica, ma là dove la vita è fragile e quotidiana.
L’apertura del racconto colloca l’evento nel quadro del censimento voluto da Cesare Augusto. Il potere imperiale appare come forza che organizza, conta, misura e possiede. Tuttavia, proprio l’obbedienza a un editto imperiale diventa, paradossalmente, lo strumento attraverso cui Dio conduce Giuseppe e Maria a Betlemme, la città di Davide. Luca mostra così che la storia degli uomini, anche quando è segnata da decisioni ingiuste o interessate, non sfugge alla signoria di Dio. Come già avevano intuito i Padri, Dio non elimina le strutture della storia, ma le attraversa, piegandole silenziosamente al suo disegno.
La nascita di Gesù avviene in un contesto di povertà reale. Il bambino è avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia: segno di precarietà, ma anche di cura. Sant’Ambrogio osserva che Cristo viene posto dove mangiano gli animali perché l’uomo impari da dove ricevere il vero nutrimento. Origene aggiunge che la mangiatoia è figura della Scrittura, luogo umile in cui il Verbo si lascia trovare da chi ha fame di senso. Il segno indicato dall’angelo non rimanda a una prova straordinaria, ma a una fragilità riconoscibile.
La seconda scena si apre nella notte, tra pastori che vegliano. Essi appartengono a una categoria marginale, spesso disprezzata, eppure sono i primi destinatari dell’annuncio. Qui Luca attinge al linguaggio delle grandi teofanie bibliche: la gloria di Dio avvolge, la paura paralizza, la parola divina rassicura. L’angelo annuncia una gioia destinata a tutto il popolo e proclama la nascita del Salvatore, titolo che nel mondo romano era attribuito all’imperatore. Luca opera così una sottile ma radicale rilettura del potere: il vero Salvatore non domina, ma si dona.
Il canto degli angeli rivela il cuore teologico del racconto: la gloria di Dio si manifesta come pace donata agli uomini amati dal Signore. Agostino sottolinea che non è l’uomo a produrre la pace, ma è la pace che nasce dall’essere raggiunti dall’amore di Dio. La pace annunciata non è quella fragile garantita dalle armi, ma quella che riconcilia il cuore dell’uomo con Dio e con i fratelli.

MEDITATIO
Il Dio che si fa Pane per la nostra notte

Il racconto della nascita di Gesù parla anche alle nostre notti, a quei momenti in cui ci sentiamo esposti, vulnerabili, privi di certezze. La luce che splende a Betlemme non è abbagliante: è una luce che si lascia vedere solo da chi accetta di riconoscere le proprie tenebre. Il Vangelo non si impone, ma si offre; non grida, ma canta.
Il bambino deposto nella mangiatoia rivela uno stile divino che disarma. Dio non entra nella storia imponendo condizioni, ma chiedendo accoglienza. Là dove il cuore è ingombro di paure, di lamentele o di autosufficienza, non c’è spazio per lui. Solo chi si riconosce povero può accogliere il dono. Per questo il segno della mangiatoia è decisivo: Cristo si fa Pane prima ancora di essere spezzato, nutrimento offerto a chi ha fame di vita vera.
I pastori rappresentano l’umanità vigilante, non perché perfetta, ma perché attenta. Vegliano nella notte e per questo sono capaci di ascoltare. Il Vangelo raggiunge anche noi nelle nostre notti interiori, quando siamo esposti alle intemperie delle emozioni, del dubbio, della fatica. L’annuncio non elimina la notte, ma la attraversa, trasformandola in attesa.
Accogliere il Bambino significa lasciarsi educare a uno stile nuovo: la mitezza che vince la violenza, la sobrietà che libera dall’eccesso, l’umiltà che restituisce gioia. La pace che Cristo dona non è evasione dalla realtà, ma forza per abitarla in modo diverso. Chi accoglie questo dono diventa, a sua volta, artigiano di pace, capace di trasformare la storia non con il dominio, ma con l’amore che si dona.

LA PAROLA INTERPELLA LA VITA

Quali “notti” sto attraversando oggi, personali o comunitarie, e in che modo l’annuncio del Vangelo riesce — o fatica — a raggiungermi proprio lì, dove mi sento più esposto e fragile?
Quali spazi del mio cuore sono troppo pieni di paure, lamentele o autosufficienza per accogliere il Signore che viene in povertà, e a che cosa sono chiamato a rinunciare per fare posto a Lui?
Accogliendo il Bambino deposto nella mangiatoia, quale stile di vita nuovo il Vangelo mi chiede di assumere oggi per diventare, nelle relazioni e nelle scelte quotidiane, artigiano di pace e testimone della gioia donata da Dio?

ORATIO

Signore Gesù,
che nasci nel silenzio della notte
mentre il mondo misura, conta e possiede,
entra nelle nostre storie affaticate
e insegnaci la forza della mitezza.

Dona pace ai nostri cuori inquieti,
perché impariamo a fidarci come bambini,
abbandonati non alla paura
ma alle mani fedeli del Padre
che veglia su di noi.

Fa’ che, come i pastori nella notte,
sappiamo ascoltare la tua Parola
e metterci in cammino senza indugio
per riconoscerti presente
nella povertà dei segni.

Nutrendoci di Te, Pane spezzato,
liberaci dall’orgoglio che divide
e rendici testimoni della gioia
che nasce dall’amore accolto
e donato senza misura. Amen.

NATALE DEL SIGNORE
MESSA DELL’AURORA

LA MANGIATOIA DEL CUORE

Signore, Dio onnipotente,
che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo,
fa’ che risplenda nelle nostre opere
il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Isaìa Is 62,11-12
Ecco, arriva il tuo Salvatore.

Ecco ciò che il Signore fa sentire
all’estremità della terra:
«Dite alla figlia di Sion:
Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Li chiameranno Popolo santo,
Redenti del Signore.
E tu sarai chiamata Ricercata,
Città non abbandonata».

È nato il nostro Salvatore
Un piccolo poema (Is 62, 10-12) conclude i capitoli 60-62 che riprendono il tema della consolazione operata da Dio nei confronti del popolo duramente provato dalle guerre e dall’esilio. È Lui stesso che si rivolge al popolo presentandosi come il salvatore. Egli non ha in mano le armi della punizione ma porta con sé il dono di un nome nuovo. Il nome indica l’identità. Chi pretende di farsi un nome presume di essere lui l’unico artefice della sua vita. Al contrario, chi si lascia chiamare per nome e lo accetta, aderisce anche alla missione che quel nome rivela. Dio ci fa figli suoi dandoci il suo nome. In tal modo ciò che di più profondo appartiene alla sua identità viene partecipata all’uomo. I riscattati del Signore passano dalla dipendenza dal male, che spersonalizza e riduce a numero, all’appartenenza a Dio come figli che condividono con Lui la ricchezza del suo amore paterno e materno. Essi non subiscono l’umiliazione dei potenti di questo mondo ma godono dell’amorevolezza del loro Sposo e Padre.

Salmo responsoriale Sal 96
Oggi la luce risplende su di noi.

Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Annunciano i cieli la sua giustizia
e tutti i popoli vedono la sua gloria.

Una luce è spuntata per il giusto,
una gioia per i retti di cuore.
Gioite, giusti, nel Signore,
della sua santità celebrate il ricordo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito Tt 3,4-7
Ci ha salvati per la sua misericordia.

Figlio mio,
quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Salvati per grazia
Per Paolo la salvezza è sinonimo di giustificazione, ovvero di santificazione. Fine della nostra vita è diventare santi, raggiungere, cioè la pienezza dell’amore in Dio. Egli sin dall’origine ci offre vocazione di essere suoi figli, eredi della vita eterna, ovvero, la vita stessa di Dio che ama totalmente, fedelmente, gratuitamente ed eternamente. Non diventiamo santi mediante le nostre opere ma esse diventano le opere di Dio nella misura in cui, lasciandoci riconciliare e rigenerare dallo Spirito Santo, gli permettiamo di agire in noi per diventare riflesso e trasparenza del suo amore misericordioso.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 2,15-20
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

LECTIO – “Andiamo fino a Betlemme”

Dopo l’annuncio angelico e il canto della moltitudine celeste, il racconto lucano conosce un cambiamento decisivo: la Parola udita chiede di diventare cammino. I pastori si dicono l’un l’altro: «Andiamo fino a Betlemme». Il verbo indica una scelta condivisa e immediata. Non restano prigionieri dello stupore né si fermano alla visione, ma si mettono in movimento. La rivelazione, nella Scrittura, non è mai fine a se stessa: domanda una risposta che coinvolga il corpo, i passi, il tempo.
Luca sottolinea che i pastori vanno “senza indugio”. Questo tratto è stato molto caro alla tradizione patristica. Sant’Ambrogio osserva che la vera fede non rimanda, ma obbedisce prontamente; chi ha incontrato la luce non può restare fermo. Origene interpreta il cammino verso Betlemme come il passaggio dall’ascolto alla comprensione: solo chi si muove verso il segno può penetrare il mistero. Il luogo raggiunto è umile e povero, eppure è lì che la Parola annunciata si rende visibile.
I pastori trovano Maria, Giuseppe e il bambino deposto nella mangiatoia. Nulla di straordinario dal punto di vista umano, ma tutto è colmo di senso. Gregorio Magno sottolinea che Dio non muta la condizione esterna del mondo per farsi riconoscere: la sua verità si manifesta nella semplicità dei segni. Il bambino è lo stesso annunciato dagli angeli: ciò che era stato proclamato ora è consegnato allo sguardo e al cuore.
Dopo aver visto, i pastori raccontano. Diventano testimoni di ciò che è stato detto loro e di ciò che hanno riconosciuto. Il loro annuncio suscita stupore, ma non ancora conversione esplicita: Luca registra una reazione aperta, non conclusa. In questo quadro emerge la figura di Maria, che custodisce e medita nel cuore. Agostino vede in lei l’icona della Chiesa che non si limita a trasmettere eventi, ma li interiorizza per lasciarsi trasformare dalla Parola. Il racconto si chiude con i pastori che tornano alla loro vita quotidiana, glorificando e lodando Dio: la rivelazione non li separa dal mondo, ma restituisce loro la realtà trasfigurata.

MEDITATIO
Dalla parola ascoltata alla vita trasformata

Il cammino dei pastori è il cammino di ogni credente. Essi non comprendono tutto, ma si fidano della Parola ricevuta. La fede non nasce dal possesso di spiegazioni, ma dall’obbedienza a una voce che chiama. Anche noi siamo spesso tentati di restare fermi, di rimandare, di accontentarci di una conoscenza indiretta di Dio. Il Vangelo, invece, ci invita ad “andare fino a Betlemme”, a verificare nella concretezza della vita ciò che abbiamo ascoltato.
Il segno resta povero: un bambino, una mangiatoia, una famiglia fragile. Dio non cambia strategia. Continua a offrirsi in forme che non costringono, ma chiedono accoglienza. Solo chi accetta di abbassare le proprie difese interiori può riconoscere in quella povertà la presenza del Signore. Il rischio più grande non è la povertà dei segni, ma la durezza del cuore.
Maria, che custodisce e medita, ci insegna che la Parola ha bisogno di tempo e di silenzio per generare vita. Non tutto va compreso subito; alcune parole vanno portate nel cuore, lasciate maturare, attraversate dalle domande. I pastori, invece, ci mostrano che l’incontro con Cristo non sottrae alla quotidianità, ma la restituisce rinnovata. Tornano ai loro campi, ma non sono più gli stessi: la lode accompagna ora il loro lavoro, la gloria di Dio illumina la notte.
Così il Natale non è evasione dalla storia, ma trasfigurazione della vita ordinaria. Chi ha visto il Signore non abbandona il mondo, ma lo abita con uno sguardo nuovo, diventando testimone discreto di una gioia che non viene meno.

LA PAROLA INTERPELLA LA VITA

Quale parola del Vangelo sono chiamato oggi a “verificare” nella mia vita, passando dall’ascolto all’obbedienza concreta?
Quali segni poveri o ordinari faccio fatica a riconoscere come luogo della presenza di Dio nella mia storia personale o comunitaria?
Dopo l’incontro con il Signore, in che modo sono chiamato a tornare alla mia quotidianità con uno sguardo rinnovato e una lode più autentica?

ORATIO

Signore Gesù,
Parola annunciata nella notte
e segno fragile consegnato ai nostri occhi,
donaci un cuore pronto a mettersi in cammino
senza rimandare l’obbedienza.

Rendici poveri nello spirito,
capaci di riconoscerti
nei segni semplici della vita quotidiana,
là dove tu continui a farti vicino
senza imporre la tua presenza.

Insegnaci, come Maria,
a custodire la tua Parola nel silenzio,
a meditarla nel cuore
perché trasformi lentamente
i nostri pensieri e le nostre scelte.

Fa’ che, come i pastori,
torniamo alla nostra vita
lodando e glorificando Dio,
testimoni discreti della gioia
che nasce dall’incontro con Te. Amen.

NATALE DEL SIGNORE
MESSA DEL GIORNO

MIRABILE SCAMBIO

O Dio, che in modo mirabile
ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile
ci hai rinnovati e redenti,
fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio,
che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Isaìa Is 52,7-10
Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

L’evangelizzatore e i testimoni
L’oracolo del capitolo 52, col quale si apre la seconda parte del libro di Isaia, funge da inclusione con quello del capitolo 40, che invece lo inaugura. Entrambi i testi sono una proclamazione e hanno in comune l’immagine del messaggero che deve annunciare la venuta prossima del Signore. Ciò che viene preannunciato nel cap. 40 viene proclamato realizzato nel 52. Le sentinelle della città santa, appostate sulle mura, scorgono sulle montagne vicine il messaggero che corre per annunciare la pace, la liberazione, il lieto messaggio. Le sentinelle si rivolgono allora alla città stessa, ancora in rovina, e alzano la voce per annunciare l’arrivo del Signore. Il profeta predilige termini che si riferiscono al corpo per far passare il messaggio che l’evento della salvezza coinvolge tutta la persona perché non è una realtà astratta ma è un fatto che tocca la vita: i piedi umani sono gli strumenti affinché si manifesti il braccio divino. Particolarmente importante è il valore attribuito al messaggero e alla sua testimonianza. Vi è una mediazione molteplice, quella del messaggero che porta la bona notizia alle rovine di Gerusalemme, «Regna il tuo Dio», e quella delle sentinelle che ricevono il suo messaggio e lo ritrasmettono a tutte le nazioni e a tutti i confini della terra. La figura dell’evangelizzatore trova compimento in Gesù che fa conoscere il Padre e quella delle sentinelle corrisponde a Giovanni e ai testimoni che fungono da mediatori affinché la fede dei credenti possa maturare fino a giungere ad essere l’opzione fondamentale della propria vita.

Salmo responsoriale Sal 97
Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Dalla lettera agli Ebrei Eb 1,1-6
Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Gesù Cristo, Parola di Dio che crea e salva
L’autore della lettera agli Ebrei introduce la sua meditazione su Gesù, presentato come il Cristo nelle vesti del Sommo Sacerdote fedele e misericordioso, mettendo in risalto la Parola quale caratteristica del Dio d’Israele. Dio parla continuamente al suo popolo invitandolo ad amarlo e ad unirsi a Lui. Molti sono stati i modi con i quali Dio ha voluto allacciare relazioni d’amore con Israele manifestandogli il suo affetto e la sua volontà. Gesù, pur apparendo al mondo quale figlio di Maria e di Giuseppe, è Figlio di Dio, parola prima, per mezzo del quale tutto è stato creato, ed è parola ultima perché tutto il creato sia salvato e diventi Regno di Dio nel quale tutti gli uomini sono adoratori di Dio in «Spirito e Verità». Riecheggiano le parole dei Sapienti d’Israele che rintracciano nella creazione e nella storia la Sapienza di Dio che risplende del suo amore misericordioso. Questa luce sfolgora definitivamente nell’evento della Pasqua quando Gesù è «intronizzato». Nella risurrezione dai morti si manifesta nel Crocifisso risorto la gloria di Dio e Gesù è riconosciuto come il Figlio di Dio. Gesù Cristo, quale Figlio di Dio, è «Luce da Luce, Dio vero da Dio vero». In questo senso egli è «irradiazione della sua gloria»; ed è «impronta della sua sostanza» perché vedendo Gesù si vede il Padre e chi accetta l’amicizia di Gesù diventa anche lui figlio di Dio, erede della vita eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1,1-18
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

LECTIO
Il Verbo che era presso Dio ha posto la sua tenda tra noi

Il Prologo del Vangelo di Giovanni non racconta un evento, ma ne svela il mistero. Non descrive la nascita di Gesù attraverso personaggi e luoghi, bensì attraverso il linguaggio della rivelazione: parole che spalancano l’eternità dentro il tempo. «In principio era il Verbo»: Giovanni riporta il lettore alle origini, prima ancora della creazione, per affermare che ciò che accade nella storia di Gesù ha radici in Dio stesso. Il Verbo non nasce nel tempo, ma entra nel tempo; non comincia a esistere, ma si dona.
I Padri della Chiesa hanno visto in questo testo il cuore della fede cristiana. Ireneo afferma che il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato creato, assume la carne per ricapitolare l’umanità e restituirla al Padre. Atanasio insiste che il Figlio si fa uomo perché l’uomo possa partecipare alla vita di Dio. Non si tratta di una discesa momentanea, ma di una comunione reale: il Verbo era presso Dio ed è Dio, e proprio per questo può rendere Dio accessibile all’uomo.
Giovanni introduce poi il tema della luce. Il Verbo è vita e la vita è la luce degli uomini. Agostino legge questa luce come quella che illumina l’intelligenza e riscalda il cuore: non una conoscenza astratta, ma una presenza che trasforma. Tuttavia, la luce incontra la resistenza delle tenebre. Il dramma attraversa il Prologo: «venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto». Crisostomo osserva che Dio non forza l’ingresso nella storia dell’uomo; si espone al rifiuto, rispettando fino in fondo la libertà.
Il vertice del Prologo è l’affermazione decisiva: «il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi». Origene sottolinea che la carne non è un rivestimento apparente, ma la condizione concreta dell’esistenza umana, con i suoi limiti e la sua vulnerabilità. L’immagine della tenda richiama l’esodo: come Dio accompagnava il suo popolo nel deserto, così ora dimora stabilmente nella storia. La gloria contemplata non è quella del potere, ma quella dell’amore che si dona nella carne del Figlio.

MEDITATIO
Accogliere la luce che entra nella nostra carne

Il Prologo di Giovanni ci pone davanti a una rivelazione che coinvolge l’intera esistenza. Se il Verbo si è fatto carne, allora nessuna dimensione della vita umana è estranea a Dio. Egli non salva dall’esterno, ma dall’interno; non ci sottrae alla fragilità, ma la assume. Questo cambia radicalmente il nostro modo di guardare a noi stessi e al mondo: la carne non è un ostacolo alla comunione con Dio, ma il luogo in cui Dio si lascia incontrare.
La luce che viene nel mondo non elimina automaticamente le tenebre. Esse continuano a resistere, a volte anche dentro di noi. Accogliere la luce significa esporsi a un giudizio che non condanna, ma svela. È più facile restare nell’ombra dell’abitudine, delle sicurezze costruite, delle immagini di Dio che non disturbano. Il Verbo incarnato, invece, chiede spazio reale, chiede di abitare le nostre scelte, le relazioni, le ferite.
A quanti lo accolgono è dato il potere di diventare figli di Dio. Non si tratta di un privilegio riservato a pochi, ma di una possibilità offerta a tutti: generati non da volontà di carne o di uomo, ma da Dio. La fede non è conquista, è accoglienza; non è possesso, ma relazione. Diventare figli significa imparare a vivere da dentro questa comunione, lasciando che la grazia trasformi lo sguardo e lo stile di vita.
Il Prologo si chiude con una promessa: Dio, che nessuno ha mai visto, il Figlio lo ha narrato. La vita di Gesù diventa il racconto di Dio. Accogliere il Verbo fatto carne significa lasciarsi raccontare da Lui, permettere che la nostra storia sia riscritta come storia di grazia, di verità e di luce condivisa.

LA PAROLA INTERPELLA LA VITA

In quali ambiti della mia vita faccio fatica a credere che Dio abbia posto la sua dimora, assumendo davvero la mia fragilità e la mia storia concreta?
Quali forme di tenebra resistono ancora alla luce del Verbo, chiedendomi un passo di verità e di conversione?
Se il Figlio “narra” il volto del Padre, quale immagine di Dio traspare oggi dal mio modo di vivere e di relazionarmi?

ORATIO

Verbo eterno del Padre,
luce che precede ogni tempo
e silenzio che abita la notte del mondo,
entra nelle nostre storie fragili
e insegnaci la via della vita.

Tu che hai posto la tua tenda tra noi,
abita le nostre paure e le nostre ferite,
perché nessuna carne si senta esclusa
dalla tenerezza del tuo amore
che salva e custodisce.

Luce vera che illumina ogni uomo,
vinci le nostre tenebre interiori
e rendi trasparente il nostro cuore
alla grazia che trasforma
e alla verità che libera.

Figlio unigenito, volto visibile del Padre,
fa’ di noi figli nella tua comunione,
testimoni della luce ricevuta
perché il mondo creda
nell’amore che si è fatto carne. Amen.