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XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – LECTIO DIVINA

Ez 17,22-24   Sal 91   2Cor 5,6-10  

O Padre,

che spargi nei nostri cuori

il seme del tuo regno di verità e di grazia,

concedici di accoglierlo con fiducia

e coltivarlo con pazienza,

per portare frutti di giustizia nella nostra vita.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Ezechièle Ez 17,22-24

Io innalzo l’albero basso.

Così dice il Signore Dio:

«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,

dalle punte dei suoi rami lo coglierò

e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;

lo pianterò sul monte alto d’Israele.

Metterà rami e farà frutti

e diventerà un cedro magnifico.

Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,

ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.

Sapranno tutti gli alberi della foresta

che io sono il Signore,

che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,

faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.

Io, il Signore, ho parlato e lo farò».

Il potere promuovente dell’amore di Dio

Il brano biblico è un oracolo di salvezza con il quale si conclude il cap. 17 del libro del profeta Ezechiele che è dominato da un oracolo di condanna. Il profeta si rivolge agli Israeliti che erano stati deportati in Babilonia perché Dio gli ordina di parlare loro attraverso il linguaggio degli enigmi e parabole. Infatti, Nabucodonosor nel 597, rispondendo alla ribellione del re di Giuda che si era rifiutato di riconoscersi vassallo del sovrano babilonese e di versare il tributo in segno di sottomissione, assedia e entra a Gerusalemme spodestando dal suo trono il legittimo re per sostituirlo con Sedecìa. Questo atto di forza induce il nuovo re a professare obbedienza a Nabucodonosor e a pagare il tributo imposto. Sedecìa, illudendosi di poter contare sull’appoggio dell’Egitto, si ribella a sua volta provocando, dopo dieci anni dalla prima, una seconda deportazione e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio. Con Sedecìa, accecato dal nemico che lo rese prigioniero ed esule in Babilonia, termina anche la dinastia Davidica. Il profeta Ezechiele spiega questi avvenimenti con l’immagine di una grande aquila, i Babilonesi, che strappa un ramo dalla cima del cedro per piantarlo in un’aiuola affinché diventasse una vite bassa. Questa parabola descrive l’umiliazione del regno di Giuda che da popolo forte e robusto, ben radicato, come un cedro, diventi una vigna modesta. La ribellione è descritta come un tradimento dell’alleanza. La sottomissione al sovrano babilonese, da una parte è la conseguenza del tentativo di emanciparsi e di sottrarsi alla signoria di Dio, e dall’altra, è lo strumento pedagogico perché riconoscendo il suo peccato avrebbe potuto convertirsi. La caparbietà di Israele lo porta a toccare il fondo da cui Dio si incarica di rialzarlo promettendo l’avvento di un re messianico. Questo è il messaggio di salvezza che Ezechiele offre per la consolazione dei deportati che non devono confidare negli uomini potenti, ma solamente della Parola di Dio. La parola profetica non alimenta false speranze ma fonda quella vera sulla Parola che viene da Dio. L’intervento salvifico di Dio è descritto negli stessi termini dei sovrani identificate con l’immagine dell’aquila. La differenza sta nelle intenzioni con cui si esercita l’autorità e il potere. Anche quando sembra che Dio abbia lasciato al suo destino Israele, il Signore usa il potere dell’amore per convertire il cuore dell’uomo e cambiare il corso della storia. La sua volontà è sempre orientata alla vita e alla promozione dell’uomo.

Salmo responsoriale Sal 91

È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore

e cantare al tuo nome, o Altissimo,

annunciare al mattino il tuo amore,

la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma,

crescerà come cedro del Libano;

piantati nella casa del Signore,

fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,

saranno verdi e rigogliosi,

per annunciare quanto è retto il Signore,

mia roccia: in lui non c’è malvagità.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2Cor 5,6-10

Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere graditi al Signore.

Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.

Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Pellegrini nella speranza

L’apostolo Paolo riflette sul senso della sofferenza, soprattutto quella legata al ministero. Le tribolazioni, infatti, alla luce della Pasqua di Gesù, sono i dolori del parto che appartengono al processo generativo dell’uomo, il quale col battesimo diviene gradualmente una «nuova creatura». Paolo usa un linguaggio in cui s’intrecciano reminiscenze bibliche ed elementi della cultura greca. L’antropologia paolina prende forma dal Vangelo che è annuncio della morte e risurrezione di Gesù. Il corpo riveste un ruolo centrale nella teologia dell’apostolo perché la fede cristiana è basata sull’evento dell’incarnazione, nel quale Dio si è fatto carne, e della redenzione grazie alla quale l’uomo è chiamato a partecipare alla gloria di Dio con i suo corpo. Infatti, l’uomo è chiamato a vivere nel «corpo celeste» che il Signore darà nel giorno ultimo della risurrezione. La vita nel «corpo mortale» è assimilata all’esperienza dell’esilio d’ Israele in terra straniera nella quale aspirava a ritornare nella propria patria. Ogni battezzato vive compiendo un cammino di esodo dalla terra dell’esilio alla terra promessa. Qui Paolo compie un passaggio d’immagine transitando dalla realtà precaria della tenda, dimora dei pellegrini, al «corpo celeste», casa non costruita da mani d’uomo. Questa dimora, nella quale siamo introdotti, è il «corpo celeste» ovvero il «Corpo di Cristo». Tuttavia, l’apostolo usa il verbo rivestire per indicare che la conformazione a Cristo è un cammino graduale che riguarda non l’esteriorità del corpo ma la condizione interiore, ovvero la libertà. L’azione dello Spirito, infatti, non influisce sulla dimensione estetica del corpo ma cambia l’essere delle persona, sicché l’io non è più vittima della sua autoreferenzialità narcisista ma, mortificando il proprio orgoglio diventa sempre meglio un essere in relazione, l’io verso il tu. Il desiderio dell’uomo spirituale non si concentra su ciò che può possedere ma orienta e determina i passi per andare verso l’altro da sé e insieme camminare e costruire una vera comunità fraterna.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 4,26-34

È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto.

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

LECTIO

Il Vangelo di Marco predilige il racconto di avvenimenti ma non mancano due piccole raccolte di detti che compongono un discorso. Il primo è nel capitolo quattro, che ha come scenario le sponde del lago di Tiberiade, e il secondo si svolge nel tempio di Gerusalemme. La pagina del Vangelo di questa domenica è la conclusione del discorso composto fondamentalmente da parabole che hanno come tema la Parola e il Regno di Dio unificati dal simbolo del seme. La prima parabola, infatti descrive la scena dello spargimento del seme ad opera del seminatore che cade su varie tipologie di terreno e con diversi risultati. Dall’intervento successivo di Gesù, rivolto ai discepoli che sono attorno a lui e che chiedono spiegazione sul significato della parabola, comprendiamo che lui s’identifica con il seminatore e che il seme è il suo insegnamento in parabole. La parabola non è solo la parola espressa mediante la narrazione, ma è anche quella che viene comunicata attraverso i gesti e le esperienze fatte con Gesù. Le ultime due parabole, offerte nella forma di similitudine, presentano il tema del Regno di Dio, inteso come una realtà dinamica e non statica, nel cui sviluppo s’intrecciano l’azione di Dio e quella dell’uomo. La prima parabola fotografa la realtà del regno di Dio il cui protagonista principale è il seminatore che sparge la semente dovunque. Tuttavia, le varie tipologie di terreno chiamano in causa gli ascoltatori e gli interlocutori di Gesù dalla cui accoglienza dipende il compimento del processo di fruttificazione avviato dalla seminagione. Le due similitudini insistono sulla dinamica della crescita del seme e ciò che diventa, una volta compiuto il processo di maturazione. Anche in questo caso, la prima delle due parabole sottolinea l’intreccio che si viene a delineare tra il seminatore, il seme e il terreno. Dell’uomo che semina si mette in evidenza la sua «attività», la quale deve cedere il posto alla «inattività» mentre entra in gioco quella del seme la cui crescita segue delle tappe fino alla sua maturazione. Quello è il momento in cui ritorna in scena l’uomo, seminatore prima e poi mietitore, affinché il frutto non si perda ma sia raccolto e valorizzato. L’agricoltore semina per mietere. Dunque, c’è una complementarietà tra il gettare il seme e il raccoglierlo nuovamente. Tra questi due momenti c’è l’attesa, il tempo nel quale si sviluppa il processo vocazionale del seme. Il Regno di Dio prende l’avvio con l’annuncio della Parola, la quale diventa evento nel quale la volontà divina si rivela gradualmente fino al suo pieno compimento che è la comunione dei Santi. Il terreno è lo spazio dell’azione dell’uomo, seminatore e mietitore, e del seme che crescendo gradualmente fruttifica. Il terreno, stando alla parabola precedente e alla sua spiegazione, non svolge un ruolo secondario ma la sua tipologia determina e garantisce un sano procedimento di crescita del seme che giunge fino al compimento della fruttificazione. Il regno di Dio è il risultato dell’incontro tra l’uomo e il Vangelo, simboleggiato dal seme e da colui che lo sparge e ne raccoglie i frutti. La volontà di Dio si compie secondo i tempi che Lui stesso stabilisce e questo accade per virtù propria, ovvero per la forza dell’amore di Dio che è libero e gratuito e non dipendente da alcun merito umano. Tuttavia, dalla responsabilità dell’uomo dipende l’efficacia della realizzazione della volontà di Dio.

La seconda parabola continua a mettere a tema la dinamica della manifestazione del Regno di Dio giocando sul contrasto tra la piccolezza iniziale del seme e la grandezza dell’arbusto. La piccolezza del seme di senape non è una qualità intrinseca ma la si rileva paragonandolo agli altri tipi di semente. Così il Vangelo appare piccola cosa se paragonato alla sapienza dei dotti o alla potenza dei governanti di questo mondo. Eppure, quel seme, valutato come «il più piccolo», diventa un arbusto più grande degli altri. La sua grandezza non è utile a sé stesso, e non è motivo di vanto particolare, ma diventa uno spazio accogliente per gli uccelli del cielo che trovano riparo sotto i suoi rami. La protezione richiama chiaramente all’autorità regale sotto la cui tutela si pongono gli uomini per essere al sicuro.

Il Regno di Dio è presente nell’annuncio del vangelo sin dalle prime battute: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio si è fatto prossimo». Il Regno di Dio è l’esercizio dell’azione regale di Dio ma si manifesta pienamente nell’esistenza di quei discepoli che fanno della loro umanità, di per sé insufficiente, il terreno in cui il vangelo trova accoglienza e fruttifica in opere di carità.

La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Ezechiele, offre la chiave di lettura per la seconda similitudine. Dio promette ad Israele di rifondare il regno scegliendo un giovane germoglio di un cedro per piantarlo sul monte più altro d’Israele, il monte Sion dove sorge il tempio. La promessa di Dio riguarda la scelta e l’elezione di una persona giovane che agli occhi dei più anziani può sembrare inesperto ma che diventerà il fondatore di un regno aperto ad accogliere tutti coloro che cercano pace e giustizia.

La seconda lettura invece sembra essere più adatta ad esplicitare la prima similitudine. Il corpo terreno è la terra nella quale viene seminato il seme della Parola di Dio e nella quale essa attecchisce, germoglia, cresce fino alla maturazione del frutto che coincide con il tempo della mietitura, ovvero quello nel quale ognuno riceverà la ricompensa che si merita. Si tratta della risurrezione dei corpi che nel progetto di Dio coinciderà con la partecipazione piena e definitiva alla sua vita, la vita eterna.

MEDITATIO

Il Regno di Dio, intreccio tra Vangelo e vita

Dal segno del pane e del vino in questa domenica passiamo a quello del seme, protagonista delle due parabole offerte da Gesù alla folla che lo ascoltava. L’immagine del seme è molto cara a Gesù al punto di identificarsi con esso, sia quando, spiegando la parabola del seminatore chiarisce che il seme sparso è «la Parola» e poi nel momento in cui, volendo rivelare il senso della sua Pasqua ormai imminente, parla del chicco di frumento che, caduto in terra, «deve» morire per portare frutto. Il seme, dunque, è un’immagine potente nella sua eloquenza perché svela il segreto della vita che non si riduce a pura meccanica deterministica ma il suo dinamismo si sviluppa all’interno di un progetto (mistero) e dell’ intreccio di relazioni, fatto di attività e inattività, che si alternano o si sovrappongono. Come la vita di Gesù, anche quella dell’uomo, è fatta di passaggi racchiusi da due interventi espliciti di Dio, seminatore e mietitore. Per quello che riguarda Gesù il cammino in mezzo agli uomini è posto tra il suo battesimo al Giordano, nel quale la voce celeste lo chiama «Figlio mio, l’amato» e la sua morte in croce quando viene riconosciuto veramente come «il Figlio di Dio». Nel battesimo vediamo la semina e nella morte la mietitura. Tra questi due eventi accade il miracolo della vita nella quale, di passaggio in passaggio il seme diventa frutto. Così avviene anche per il discepolo di Cristo che dal battesimo inizia un cammino di fede il quale, attraverso i vari passaggi della vita, cresce fino alla sua maturazione. Questo processo di crescita si chiama conversione, ovvero è la nostra Pasqua quotidiana nella quale con Cristo passiamo gradualmente dal vivere per noi stessi all’amare offrendo, come Gesù sulla croce, la vita per gli altri. Come il pane spazzato e il vino condiviso sono il segno della vita di Cristo donata e noi, mangiandone e bevendone, diventiamo Lui e ancora, pur essendo molti, diventiamo uno in Gesù, così il seme della Parola seminata nella nostra vita, accolta nel cuore con l’ascolto e la preghiera, fa di noi altrettanti semi del Vangelo sparsi nel terreno del mondo. La seconda metafora vuole rassicurarci del fatto che anche se appariamo come «i più piccoli» e insignificanti tra gli altri uomini, ciò che ci fa grandi non è il giudizio degli altri e il loro consenso, ma la realizzazione della vocazione che Dio ha messo nel cuore di ciascuno. Il battesimo ci dona, per così dire, il DNA di Dio, per il quale la nostra identità di figli di Dio e il patrimonio che ci viene dato sin dall’origine, si manifesta nel momento in cui la vita si coniuga con il Vangelo ed essa diventa annuncio ed esperienza della grandezza di Dio nel cui cuore trovano rifugio tutti gli uomini.

ORATIO

Signore Gesù, seme che scendi dalle mani del Padre

per diventare pane spezzato nelle nostre mani,

rivelami il mistero del Regno di Dio,

apri il mio cuore e trasforma la mia mente

perché possa accogliere la Parola come terreno fertile

nel quale nasce, cresce e si manifesta

il tuo grande amore per gli uomini.

Tu, che nel battesimo mi hai unito alla tua Pasqua

e hai messo nel mio corpo mortale il germe della Vita eterna,

fa crescere in me la speranza di corrispondere ogni giorno

alla mia vocazione di essere nel mondo

segno della tua vita donata per amore.

Eccomi Signore, nelle tue mani,

spargimi nel mondo dove e come vuoi;

fa che i miei momenti di solitudine e

la condizione interiore di deserto

non siano alibi per isolarmi dagli altri

e rimanere carcerato delle mie paure,

ma diventino, per tuo dono, spazio e tempo di grazia,

grembo da cui prende vita ogni parola di Verità e ogni gesto di Carità. Amen.