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DOMENICA DELLE PALME (ANNO A)

Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11  

Dio onnipotente ed eterno,

che hai dato come modello agli uomini

il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore,

fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,

fa’ che abbiamo sempre presente

il grande insegnamento della sua passione,

per partecipare alla gloria della risurrezione.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

+ Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo (Mt 26,14- 27,66)

– Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.

– Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?

Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

– Uno di voi mi tradirà

Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

– Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue

Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

– Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge

Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».

Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.

– Cominciò a provare tristezza e angoscia

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».

Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».

– Misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono

Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.

– Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza

Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.

I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».

Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».

– Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte

Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

– Consegnarono Gesù al governatore Pilato

Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.

Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».

– Sei tu il re dei Giudei?

Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.

Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

– Salve, re dei Giudei!

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

– Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».

Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

– Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!

Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

– Elì, Elì, lemà sabactàni?

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.

(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)

Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

– Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo depose nel suo sepolcro nuovo

Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatèa, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.

– Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete

Il giorno seguente, quello dopo la Parascève, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.

Lectio divina

Il racconto della Passione secondo Matteo è composto di 5 atti.

La preparazione della Pasqua (26, 1-19)

La santa Cena (26, 20-35)

La preghiera al Ghetsemani (26, 36-46)

Dall’arresto alla morte di Giuda (26, 47-27,10)

Dalla condanna a morte alla sepoltura del Messia (27, 11-66)

Il primo atto è composto di cinque scene:

a. – Preparativi per la Pasqua (26, 1-2)

b. – La riunione del Sinedrio per uccidere Gesù (26, 3-5)

c. – La cena di Betania (26, 6-13)

b1. – Giuda e il complotto con i capi (26, 14-16)

a1. – La preparazione della Pasqua (26, 17-19)

La prima e l’ultima scena, come anche la seconda e la quarta, si richiamano mettendo in evidenza quella centrale. Gesù ricorda che la Pasqua è imminente e annuncia il tradimento e la crocifissione. La gioia per l’imminenza della festa si coniuga con la profezia della morte. Gesù prepara i suoi discepoli a vivere la Pasqua rendendoli partecipi di un evento nel quale essi dovranno assumersi delle responsabilità. La seconda e la quarta scena raccontano come l’annuncio profetico di Gesù inizia a realizzarsi. I capi del popolo e uno dei Dodici si alleano per complottare contro Gesù. Gesù è veramente un profeta. Lo dimostra il fatto che quello che dice si realizza. La scena centrale, ambientata a Betania nella casa di Simone il lebbroso, descrive il gesto inaspettato di una donna che versa sul capo di Gesù l’olio prezioso molto profumato suscitando lo sdegno dei discepoli e la grata ammirazione di Gesù. Infatti, egli coglie nell’unzione un atto profetico nel quale riconosce la sua consacrazione. Egli è chiamato ad essere il Profeta, il Re e il Sacerdote. Non si tratta di titoli ma di un servizio altissimo a favore del nuovo popolo di Dio. Gesù, consacrato Cristo e Figlio di Dio, in quanto profeta compie in sé stesso la Parola di Dio; offrendo sé stesso in sacrificio esercita il Sacerdozio per espiare i peccati del popolo e riconciliarlo con Dio; ricevendo da Dio ogni potere viene costituito Pastore d’Israele per riunirlo in un unico popolo e condurlo alla salvezza.

Il secondo atto è composto da tre scene:

a – Annuncio profetico del tradimento (26, 20-25)

b – Il segno profetico di Gesù e le parole sul pane e sul vino (26, 26-30)

a1 – Annuncio profetico della passione del Pastore e del rinnegamento (26, 31-35)

Al segno profetico della donna, la quale agli occhi di Gesù riveste un ruolo importante nel discernimento della sua vocazione, segue quello di Gesù stesso. Viene sottolineata la sua attività profetica. Nel contesto della cena, in un clima di convivialità, porta alla luce le intenzioni di Giuda, rivela il cuore del progetto di Dio e anticipa la reazione dei discepoli davanti al dramma che sta per consumarsi. Gesù appare come un uomo pienamente consapevole di ciò che sta per accadere, delle intenzioni e le debolezze dei suoi discepoli. Nelle parole sul pane e sul vino Gesù fa una dichiarazione d’intenti. Egli condivide con i suoi l’intenzione di aderire alla volontà di Dio e di offrire la sua vita come sacrificio di espiazione per i peccati. L’evangelista Matteo chiarisce il valore salvifico della morte di Gesù. Egli sta per essere sacrificato come il capro espiatorio il cui sangue, sparso sul popolo indicava l’avvenuto perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio. «Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti per il perdono dei peccati». Con queste parole Gesù insegna a vedere nel sacrificio della croce, il cui memoriale è celebrato nell’Eucaristia, l’atto salvifico di Dio che riconcilia l’uomo a sé per un’alleanza di vita e non di morte. Nella festa dello Yom Kippur, mediante il rito del sacrificio di un capro il cui sangue veniva in parte portato oltre il velo del Tempio nel Santo dei Santi e in parte asperso sul popolo, si celebrava il rinnovo dell’alleanza con Dio infranta con i peccati. Con quel rito s’intendeva ripristinare ogni anno la giusta relazione di amicizia con Dio. Il segno profetico annuncia una novità rispetto alle attese del popolo che pure aspettavano un rinnovamento sociale. La novità inaugurata dalla Pasqua non è l’imposizione di un nuovo ordine sociale con la sostituzione delle figure apicali, ma il dono di uno spirito che rende nuovo il cuore dell’uomo che, aderendo alla volontà di Dio, si mette al servizio del progetto di una nuova civiltà fondata sulla legge dell’amore. Il perdono offerto all’uomo dal sacrificio di Cristo sulla croce nelle intenzioni di Dio vuole essere il giorno natalizio di un uomo nuovo consacrato per essere in Cristo profeta, re e sacerdote.

Il terzo atto, che si svolge nel Getsemani, è strutturato in tre scene, tante quante sono le menzioni della preghiera di Gesù:

a – La prima preghiera (26, 36-41)

b – La seconda preghiera (26, 42-43)

a1 – La terza preghiera (26, 44-46)

Nel racconto della Passione il terzo atto riveste un ruolo centrale perché segna il passaggio dalla parola all’evento. Questa svolta avviene nella preghiera, anticipazione del passaggio cruciale sulla croce dove la Pasqua si consuma mentre Gesù prega. L’evento della Pasqua è vissuto da Gesù come un rito liturgico, ovvero come sacrificio di lode. Da quel momento in poi la Pasqua è liturgia affinché tutta la vita sia una liturgia. La liturgia è pregare con Gesù con spirito vigilante. I discepoli, che già erano un po’ brilli a causa del vino dolce bevuto durante la cena, non reggono alla stanchezza e si addormentano. Il custode d’Israele non si addormenta e prega il Padre affinché gli sia risparmiata la sofferenza e la morte. Egli è combattuto tra il fare la volontà di Dio fino alla sua fine e la paura della morte. In questa lotta spirituale egli si abbandona fiducioso in Dio e dice il suo amen: «Si compia la tua volontà». Non è un sì rassegnato. L’anima turbata diventa serena e pacifica come un bambino in braccio a sua madre (cf. Sal 130). Infatti, invita i discepoli a dormire e riposare. Ma subito dopo, con fare risoluto e deciso ordina di alzarsi e di andare. È l’ordine del re. Gesù è il nuovo piccolo Davide che va incontro a Golia semplicemente con l’arma della fede nella potenza del Padre.

Il quarto atto copre l’arco di tempo che va dall’arresto di Gesù alla morte di Giuda ed è composto di cinque scene:

a – arresto di Gesù e la fuga dei discepoli (26, 47-56)

b – prima fase del processo a Gesù (26, 57-68)

c – il rinnegamento di Pietro (26, 69-75)

b1 – la consegna a Pilato (27, 1-2)

b2 – la morte di Giuda (27, 3-10)

Con l’arresto inizia a compiersi la Scrittura e le parole di Gesù. Si sovrappongono due piani, quello degli uomini e quello di Dio anche se sono diametralmente opposti. I capi e Giuda sono alleati tra loro nel fare fuori Gesù che, per gli uni e per l’altro, anche se da due prospettive diverse, rappresenta una minaccia. Infatti, per i capi religiosi Gesù è un usurpatore del loro potere, mentre per Giuda è un fallito che potrebbe ostacolare la sua idea di redenzione d’Israele. In fondo, Giuda vorrebbe sostituirsi a Gesù nella conduzione di una rivoluzione che possa portare al ristabilimento di un nuovo ordine sociale. È giunto il momento propizio per consegnare nelle mani delle autorità Gesù perché sia messo fuori gioco. Però lui, al contrario dei capi, di cui ignora le reali intenzioni, non vuole la morte di Gesù. Il Rabbì è padrone della situazione più di quanto Giuda possa immaginare perché non solo conosce il progetto di Dio ma sa che esso si realizzerà anche per la salvezza di chi lo vuole fare fuori. Perciò non risponde al male col male ma col bene. Gesù chiama Giuda «amico» e intima ai suoi di non opporsi con le armi alla violenza. Egli per primo mette in pratica la «giustizia superiore» di quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5): cerca la riconciliazione con il suo avversario e prega per i suoi nemici. Dunque, la parola di Gesù si realizza non solamente negli eventi esterni, ma soprattutto nella sua vita interiore. La libertà viene esercitata mediante la conformazione della propria volontà a quella del Padre. Questa è la forza vincente di chi punta all’obbiettivo di amare i fratelli e salvarli a costo di perdere la propria vita. Chi invece vuole salvare sé stesso, ovvero raggiungere gli obiettivi che sono nella sua testa, perde sé stesso e coinvolge anche gli altri nella caduta. Chi salva gli altri, salva anche sé stesso.

Giuda consegna Gesù nelle mani dei capi i quali, mediante un processo farlocco, lo condannano a morte. Ma la condanna non può essere eseguita senza l’intervento dell’autorità civile. Davanti ai capi che cercano un capo di accusa valido per decretarne la morte Gesù rivela che si sta compiendo la Scrittura che, mediante il profeta Daniele, annuncia l’arrivo del Messia. Egli ha caratteristiche regali e sacerdotali, non sul modello umano ma su quello divino. Questa figura misteriosa, infatti, viene dal cielo. Gesù, dunque, si rivela come il re-pastore che viene da Dio per riunire le pecore disperse. Il messianismo regale viene frainteso dalle autorità religiose che finalmente trovano il capo d’imputazione giusto per deferire Gesù all’autorità civile e chiederne la morte. Non è questa la fine che aveva immaginato Giuda, il quale, vedendo Gesù consegnato nelle mani di Pilato, comprende che la sua condanna a morte è ormai certa. L’ultima scena narra il drammatico epilogo della vita di Giuda. Matteo è l’unico evangelista che racconta più diffusamente la vicenda dell’apostolo traditore. Innanzitutto, Giuda riconosce il suo errore e si pente confessando pubblicamente il suo peccato. Spera che con la sua confessione e la restituzione del denaro pattuito per la consegna di Gesù possa convincere i capi a salvarlo da morte certa, ritirando la denuncia. La risposta negativa, con la quale le autorità si disinteressano al suo appello, lo inducono ad un gesto estremo che si spiega non solamente con la disperazione generata dal rimorso, ma anche con l’idea ebraica di espiazione del peccato. Esso dipende dal perdono dei sacerdoti o dalla morte. Giuda sceglie di morire per espiare il suo peccato e liberare Gesù dalla morte. Egli, per così dire compie un sacrificio sostitutivo come se fosse il capro espiatorio. Giuda, dunque, dandosi la morte ha inteso sacrificarsi per Gesù, al posto suo. Questo gesto di Giuda rivela quello che la morte di Cristo non è. Si tratta di una contro-testimonianza che però mette in risalto il vero senso della morte di Gesù. Gesù non muore per espiare i suoi peccati, quindi per auto-salvarsi, ma perde la propria vita per servire e dare la propria vita in riscatto di molti, cioè di tutti gli uomini (cf. Rm 5, 6-8).

Anche la scena centrale, che racconta il rinnegamento di Pietro e si conclude col suo pianto amaro, descrive l’apostolo come un discepolo legato a Gesù, che lo segue fintanto che può, anche se da lontano. Lui vorrebbe tener fede alla promessa fatta a Gesù ma deve cedere all’evidenza del suo peccato rivelato dal Maestro qualche ora prima. Gesù aveva parlato del canto del gallo. Infatti, quando il gallo canta Pietro si ricorda la profezia sul suo rinnegamento. Cosa che si è puntualmente realizzata. Anche la contro-testimonianza di Pietro diviene la testimonianza della credibilità di Gesù. Il gallo del canto nella letteratura rabbinica indica il suono dello Shofar che chiama i sacerdoti e i leviti al loro servizio. Nel canto del gallo Pietro riconosce la voce di Dio che chiama Gesù al servizio del tempio. Egli, come sommo sacerdote e vittima, entra nel tempio col suo sangue che, sparso sul popolo, lo redime dai suoi peccati e lo riconcilia con Dio.

Davanti al sommo Sacerdote Kaifa, Gesù ha evocato la profezia di Daniele 7, 13-14 con la quale s’identificava con la figura misteriosa del Figlio dell’uomo. Egli annuncia il compimento di quella promessa divina con la quale Daniele assicurava al popolo esule in Babilonia la reintegrazione di quanto aveva perduto: la terra, il Re e il tempio. Come avverrà quanto promesso? Gli eventi della Pasqua di Gesù sono letti alla luce di queste promesse messianiche. In realtà, la Pasqua di Cristo non consiste nel restituire quanto perduto ma nel donare un’alleanza nuova che rinnovi anche il popolo. Il sangue di Gesù, versato in sacrificio, è il prezzo del riscatto dal peccato che rende schiavi. Grazie a quel sangue il popolo riceve in eredità una terra nuova, viene affidato alle cure del Re-Pastore secondo il cuore di Dio e diviene egli stesso Tempio nel quale abita il Signore. Infatti, la conclusione del quarto atto riferisce l’acquisto del «Campo del vasaio» con i soldi, compenso per il tradimento, che Giuda aveva prima preso e poi restituito ai sacerdoti. Citando indirettamente il profeta Zaccaria (Zc 11,12-13) l’evangelista Matteo vuole mettere in evidenza ancora una volta il realizzarsi del piano divino. La logica lineare dell’amore di Dio si fa strada tra le linee contorte delle scelte umane. La Parola fa il suo cammino per raggiungere la sua meta passando attraverso le strade tortuose delle vicende umane, rese impraticabili dal peccato. Il campo del vasaio prende il nome di «Campo del sangue». Il sangue di Cristo è il prezzo col quale viene acquistata la terra, segno profetico che indica il compimento della promessa di Dio al suo popolo. Quel terreno viene acquistato per la sepoltura degli stranieri, ad indicare che l’azione salvifica di Cristo non è riservata al solo Popolo eletto ma a tutti gli uomini. Anche gli stranieri diventano cittadini della Città santa. Nel quinto atto prosegue il processo di compimento che raggiungerà il suo culmine con la «intronizzazione» di Gesù sulla croce e l’accesso definitivo a tutti nel Tempio.

Il V atto copre l’arco narrativo che va dalla condanna a morte di Gesù alla sua sepoltura ed è composto da cinque scene:

a – La condanna (27, 11-26)

b – La crocifissione (27, 27-44)

c – La morte (27, 45-54)

b1 – La sepoltura (27, 55-61)

a1 – I sigilli (27, 62-66)

La prima e l’ultima scena hanno come protagonista Ponzio Pilato dai cui ordini dipendevano i soldati deputati ad eseguire la condanna a morte e a fare la guardia al sepolcro di Gesù.

L’interrogatorio davanti a Pilato si svolge attorno all’accusa mossa contro Gesù di credersi e far credere di essere il re dei Giudei. Gesù non si difende in alcun modo. Il suo silenzio è interpretato giustamente da Pilato come segno della sua innocenza così come, dalla veemenza delle accuse mosse dai capi nei confronti di un Giudeo come loro, comprende che lo hanno consegnato per invidia. Il governatore vorrebbe liberare Gesù coinvolgendo la folla, la quale, in occasione della festa di Pasqua, ha il privilegio di concedere la grazia ad un condannato. Nella scelta tra Barabba e Cristo sembra riproporsi la scelta tra il capro, il cui sangue deve essere asperso nella Festa della Espiazione, e quello che invece deve essere lasciato andare nel deserto carico dei peccati del popolo, secondo la prescrizione di Lv 16 che distingue il capro «per il Signore» e quello «per Azazel». La voce della moglie di Pilato e quello della folla concordano nell’identificare Gesù con il «capro per il Signore» il cui sangue deve essere asperso in segno di perdono dei peccati. Il sogno rivela che Gesù è innocente, senza difetto, e la folla acclama: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». In questo modo si compiono le parole di Gesù nell’ultima cena: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti per il perdono dei peccati». Gesù, dunque, diviene vittima e sacerdote. Con la sua morte, in qualità di nuovo Sommo Sacerdote, entra nel Santo dei Santi portando non il sangue di un capro ma il suo stesso sangue, grazie al quale avviene la riconciliazione e il perdono dei peccati.

La seconda scena è un trittico nel quale tutto ruota attorno alla figura di Gesù, Cristo Re. I soldati lo scherniscono prima denudandolo e poi mettendogli addosso un mantello rosso, ponendogli sul capo una corona di spine e in mano una canna. Gli infliggono sofferenze fisiche e umiliazioni. È l’inizio di un corteo che non ha nulla di trionfale ma tutto di estremamente paradossale e pieno di violenza. Sono coinvolti anche persone, come il Cireneo, che casualmente incrocia la strada verso il calvario. Probabilmente Gesù era così debilitato che non avrebbe retto fino al luogo dell’esecuzione se non fosse stato aiutato a portare il patibolo della croce. Anche se costretto, il Cireneo fa esperienza diretta delle parole di Gesù: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29). Gesù, infatti, è il giusto innocente e sofferente che vive il dramma nella preghiera. L’evangelista Matteo racconta la passione di Gesù facendo eco alla preghiera del Sal 22 nel quale l’orante racconta a Dio la sua passione. Il salmista si lamenta delle angherie subite da coloro che lo spogliano delle sue vesti e se ne appropriano dividendole tra loro o gettando la sorte. La ferita più grande non è nel corpo ma nell’anima ed è inferta dalle parole che dileggiano la sua fede insinuando il dubbio sulla sua onestà. Se fosse veramente innocente Dio lo salverebbe dalla morte. La sofferenza atroce e ingiusta fa sorgere interrogativi inquietanti sulla sua reale identità. Può essere lui, il crocifisso tra i malfattori, il re d’Israele, il Messia e Figlio di Dio? Quali sono i segni che ne manifesterebbero la sua autorità? Tutto fa pensare che sia un impostore e che abbia ingannato tutti. La passione sarebbe la dimostrazione della sua colpevolezza. A questa conclusione certamente si arriverebbe seguendo la logica della giustizia retributiva, che però non è quella di Dio. Il fine della giustizia divina non è il risarcimento per il danno o la restituzione del mal tolto, ma è la misericordia che genera per grazia una nuova realtà.

Gesù è il «Servo di Dio» sofferente descritto nei 4 oracoli profetici di Isaia (cf. I Canti del Servo sofferente: Is 42,1-4[5-9]. 49,1-6. 50,4-9[10-11]. 52,13-53,12). L’evangelista Matteo in più momenti del suo racconto accosta la figura di Gesù a quella del Servo di YHWH. Nella scena centrale del quinto atto della narrazione Gesù ritorna a parlare. Non sono parole solamente sue, ma fa sue le parole dell’uomo sofferente che nella passione prega. Sulla croce la preghiera di Gesù è l’amen definitivo che aveva pronunciato nel Ghetsemani. La domanda di Gesù non cade nel vuoto ma viene raccolta da Dio insieme al suo spirito.

La risposta di Dio è nei segni che seguono la morte di Gesù. Lo squarciarsi del velo del tempio, il terremoto, con la conseguente apertura dei sepolcri e la risurrezione dei morti, sono segni rivelativi dell’opera di Dio. Gesù con la sua morte è stato consacrato definitivamente Re, Sacerdote, Profeta. In quanto Re, come Salomone, costruisce il nuovo tempio, in qualità di Sommo Sacerdote apre l’accesso a Dio oltre la morte per tutti, nel ruolo di Profeta pronuncia la parola di vita che trae fuori dai sepolcri i santi per introdurli nella Gerusalemme celeste.

La Chiesa nascente è rappresentata dal centurione che, sebbene pagano, riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, da Giuseppe d’Arimatea che, in qualità di membro del Sinedrio e in rappresentanza dei capi, offre a Gesù l’omaggio del proprio sepolcro e, in fine le donne, uniche tra i discepoli a rimanere con lui fino alla fine, siedono e attendono presso il sepolcro. La fede del centurione, di Giuseppe di Arimatea e delle donne è sincera ma ancora mancante. Essi credono ma non ricordano tutte le parole di Gesù che oltre alla passione e alla morte ha annunciato anche la sua risurrezione il terzo giorno. È una fede rassegnata che fa coincidere la giustizia di Gesù nella sua obbedienza. Bisogna fare propria la domanda di Gesù sulla croce: «Perché mi hai abbandonato?». Gesù non cerca la causa e il colpevole, ma chiede a Dio di rivelare il fine di quella sofferenza mortale: Verso quale oltre mi stai conducendo? I segni, resi noti dall’evangelista, indicano a quale oltre conduce Gesù con la sua morte. Essi che hanno creduto nell’obbedienza di Gesù alla volontà di Dio devono fare ancora un passo in avanti nel credere che quella volontà si compie con la risurrezione grazie alla quale si raggiunge pienamente l’obiettivo della Pasqua: la riconciliazione e la comunione tra Dio e l’uomo.

L’ultima scena ha qualcosa di paradossale. C’è chi crede ma non ricorda e chi, come i capi che tornano da Pilato, ricorda ma non crede. Essi ricordano le parole di Gesù che aveva annunciato la risurrezione. Non credono perché non riconoscono nella passione e morte di Gesù il realizzarsi della volontà di Dio. Eppure, tutto quello che egli aveva annunciato circa la sua passione si è puntualmente realizzato, ma non possono credere perché non sono giunti a vedere nelle vicende dolorose della passione il compiersi della promessa di Dio. I capi, acciecati dall’invidia e dall’avidità, non hanno speranza perché le loro aspettative sono chiuse nell’orizzonte mondano. Chiedono a Pilato di mettere una guardia per custodire il corpo di Gesù e impedire la realizzazione di una truffa ad opera dei suoi discepoli. La pietra viene sigillata quasi a dichiarare definitivamente chiusa la questione che invece sarà di nuovo aperta dall’angelo che romperà i sigilli umani per porre su quella tomba vuota il sigillo della risurrezione e della vita nuova.

Meditatio

La salvezza è scambio e cambiamento

La liturgia che inaugura la Settimana Santa commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Sono gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù il quale, consapevole di ciò che sta per accadergli, affronta la realtà lasciandosi guidare dalla Parola di Dio. È giunto alla piena coscienza di essere inviato da Dio come il Cristo, il re e pastore d’Israele. Fa il suo ingresso cavalcando non un cavallo, simbolo della forza militare, ma in groppa ad una asina. L’evangelista collega questa scelta alle profezie che annunciavano l’avvento del re, il Signore, ma non con potenza e violenza ma con mitezza e in pace.

L’immagine usata dai profeti e ripresa da Gesù è attinta dalla storia narrata nei primi capitoli del Primo Libro dei Re in cui si descrive la successione al trono di Davide. C’è qualcuno che, approfittando dell’anzianità di Davide, vuole usurpagli il titolo, ma il re interviene indicando in Salomone il suo successore e lo fa facendolo entrare in città sulla sua mula. La gente, vedendo Salomone, lo saluta come re, il benedetto di Dio.

Gesù, dunque, è il vero Salomone che entra trionfante in Gerusalemme acclamato dalla folla che riconosce in lui il «Benedetto che viene da Dio». Gesù entra nella nostra città, nelle nostre famiglie, nella nostra vita che, come Gerusalemme, vive non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca. Certamente ognuno avverte la gravità del momento nel quale è intervenuta una novità inaspettata che, come un terremoto, ci ha costretti a cambiamenti di stili di vita, di abitudini, di esigenze, di atteggiamenti. A Gerusalemme alcuni, vedendo il trambusto e l’agitazione, domandano: «Chi è costui?». È bene che questa domanda ce la poniamo anche noi: «Chi è Gesù che viene verso di me?».

La Domenica delle Palme ci introduce nei giorni della passione; sorge una domanda: quelli che stiamo vivendo non sono giorni di sofferenza? Certo! Il Vangelo non ci vuole distrarre dal dolore che colpisce tanti nostri fratelli e sorelle, anche se in modalità e intensità diverse, ma ci aiuta a vivere questo tempo come tempo di salvezza. C’è qualcuno che può intendere la salvezza come ritornare a fare le cose di prima e ad essere come era fino qualche settimana fa, oppure altri la intendono come riuscire a tirare a campare alla giornata, o ancora c’è chi aspetta di migliorare le proprie condizioni economiche e sociali ma vede questa attesa come un miraggio che si allontana e svanisce. Gesù non viene a illudere, a offrire false speranze, dispensare rassicurazioni che tutto andrà bene. Chi è allora questo Gesù? Egli, mi chiede di seguirlo e rimanergli vicino in questo tempo di cambiamento perché io possa cambiare me stesso, quasi trasfigurarmi, per tirar fuori il figlio di Dio che è in me.

Siamo tutti come Simone di Cirene, che veniva dalla campagna per vendere al mercato i prodotti della sua terra per portare il pane a casa. Avrebbe voluto essere semplice spettatore, veder passare il corteo dei condannati, e poi andare verso il mercato a compiere il suo dovere, come ogni giorno. Invece i suoi programmi sono sconvolti, deve lasciare la cesta con il prodotto del suo lavoro e farsi carico di una croce non sua, peso di una condanna di una colpa non commessa. Le domande del Cireneo sono anche le mie: «Perché proprio a me?», «Cosa ho commesso di male per meritare tutto questo?». Abituati a trovare scorciatoie per sfuggire ai problemi, la storia ci carica anche di pesi che, solo in apparenza non sono nostri. Con quale sguardo Simone guarda la realtà? È naturale la sua rabbia, vorrebbe ribellarsi e svincolarsi, forse guarda Gesù con disprezzo imputandogli la responsabilità di quello sforzo inutile. L’uomo di Cirene è quello comune che ragiona come tutti: se l’hanno condannato avrà certamente una colpa! Ma io che colpa ho?

Ma mi piace immaginare anche che, nel segreto di sguardi silenziosi ed eloquenti dopo i ragionamenti istintivi, incrociare lo sguardo di Gesù gli ha fatto percepire la sua innocenza. In quello sguardo non ha colto il colpevole ma il fratello con il quale portare il peso della prova.

Ma noi che abbiamo assistito al processo davanti a Ponzio Pilato sappiamo che colui che meritava di essere condannato, Barabba – che significa “figlio del padre” – è libero e al suo posto Gesù sale sulla croce. È avvenuto uno scambio in cui Dio si carica delle nostre iniquità e le sconta inchiodandole sulla croce.

Questo scambio è condizione del nostro cambiamento: da meritevole di condanna sono reso libero, ma sono veramente liberato se tale cambiamento non lo subisco, ma lo vivo insieme con Gesù.

Il cambiamento che stiamo vivendo è un vero e proprio terremoto, come accenna Matteo nel momento in cui Gesù muore. Di questo cambiamento avremo paura e ci atterrirà se crediamo che esso ci costringa solamente a perdere. In questo senso la paura è amplificata dal terrore di scomparire con ciò che perdiamo.

Con Gesù comprendiamo che il cambiamento che stiamo vivendo, il terremoto che scuote dalle fondamenta la nostra vita è il segno e preludio che Dio ci sta portando verso la vita nuova. Essa non è la riedizione aggiornata del passato, ma la realizzazione della sua promessa e della sua benedizione: farci figli suoi e fratelli tra noi che si amano portando i pesi gli uni degli altri, come Dio, il buon pastore ci porta sulle sue spalle.

«Tremi la creatura di fronte al supplizio del suo redentore. Si spezzino le pietre dei cuori infedeli, ed escano fuori travolgendo ogni ostacolo coloro che giacevano nella tomba. Appaiano anche ora nella città santa, cioè nella Chiesa di Dio, i segni della futura risurrezione e ciò che un giorno deve verificarsi nei corpi si compia ora nei cuori» (San Leone Magno, Discorso sulla Passione del Signore, 15, 3-4)