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Processione Eucaristica e conclusione durante il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale a Matera

Insieme come Clero di Matera-Irsina e Tricarico

Carissimi confratelli nel sacerdozio e diaconi,

San Giovanni Paolo II, nella lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 25 marzo 1995, istituì la Giornata mondiale di preghiera per la santificazione del Clero, facendola coincidere con la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.

Oggi, 16 giugno 2023, Giornata mondiale di santificazione sacerdotale, ci troviamo insieme per la prima volta come clero di Matera – Irsina e di Tricarico.

Come anticipato nell’ultimo ritiro con il clero di Matera-Irsina a Molfetta (9 maggio 2023), ho pensato di rendervi partecipi di alcuni pensieri che in questi mesi (da quando le due Diocesi sono state unite in persona episcopi) ho maturato e che mi stanno accompagnando. Questa lettera segue il libro che scrissi in preparazione al XXVII Congresso Eucaristico Nazionale, celebrato a Matera dal 22 al 25 settembre 2023 [1]. Lo faccio con voi sotto lo sguardo materno della Madonna di Picciano.

Don Paolo Paradiso mi comunicò l’intento del clero di Tricarico di vivere la giornata su questo colle mariano. Proposta che accolsi subito favorevolmente. Ricordiamo Don Paolo con affetto, con nostalgia e grande dispiacere perché ne avvertiamo la mancanza e il vuoto che ha lasciato soprattutto nel clero tricaricese. Nello stesso tempo, vivendo ed annunciando la vittoria di Cristo sulla morte, restiamo sereni e nella pace, certi di avere in cielo un intercessore in più per le nostre Chiese, in particolare per noi preti. Per dirlo con una parola di Georges Bernanos: «Tutto è grazia!» [2]. Anche la morte, perché ci apre alla contemplazione del volto di Dio: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario» (Sl 26,4).

Questo primo momento insieme ci prepara il cammino che, come Clero di Matera-Irsina-Tricarico, siamo chiamati a condividere. In questo Cenacolo di Picciano, come in quello di Gerusalemme all’inizio della missione della Chiesa, sentiamo presente la Vergine Santa mentre prega e invoca per noi lo stesso Spirito che ha generato in lei l’autore della Vita, Cristo Gesù.

Gli apostoli per primi erano pieni di paura e di perplessità nell’uscire ed affrontare la multiculturalità, la multireligiosità, cosa certamente non facile. Lo scenario di oggi non è diverso considerando i cambiamenti religiosi, culturali e storici. Maria ci invita a fidarci del Figlio, Gesù, che ci ha scelti e che ai piedi della Croce a lei ci ha affidato. La nostra famiglia presbiterale è stata chiamata ad allargarsi, i confini territoriali a dilatarsi notevolmente. Non c’è chi ottiene di più e chi perde: le due Chiese sorelle, insieme, diventano unica ricchezza da cui tutti attingiamo e a cui tutti diamo, «Dilatentur spatia caritatis [3]».

Di certo lo Spirito Santo, per mezzo della Chiesa, ci sta stimolando a rimotivarci, riscoprire la bellezza del nostro sacerdozio ministeriale, nella comunione, attraverso lo stile sinodale che ci stiamo sforzando di vivere. Dio ci meraviglierà sempre se siamo capaci di accogliere e fare nostre le ricchezze che ognuna delle due Chiese possiede e mette a servizio dell’altra. Il vero rinnovamento ci sarà a tutti i livelli se saremo capaci di essere corresponsabili di quell’annuncio gioioso del vangelo che cambia prima di tutto la nostra vita. I fedeli in questo ci seguono perché si fidano di noi.

Ora che sto conoscendo meglio il presbiterio di Tricarico, incomincio a guardarlo nel suo insieme con quello di Matera-Irsina, ringraziando il Signore per voi tutti e per ognuno di voi. Sappiate che, pur essendo a conoscenza di opinioni, valutazioni contrarie, giudizi che minano seriamente la comunione presbiterale, non mi allontano dal volervi bene e dal continuare ad aver fiducia in voi. Davanti a Gesù Sacramentato, ringrazio il Signore per ognuno di voi tutti i giorni. Mi risulta che, insieme a me, lo fanno tanti fratelli e sorelle laici che vi amano e vi apprezzano. Incoraggiamoci l’un l’altro, crescendo nell’unità e in un rinnovato entusiasmo.

Affidiamo questo nostro cammino all’intercessione dei tanti santi vescovi e sacerdoti che con la loro testimonianza hanno servito le nostre Chiese con dedizione, sacrificio, amore, santificandosi e aiutando sacerdoti e fedeli a santificarsi. Penso al Venerabile Mons. Raffaello delle Nocche, a Mons. Anselmo Pecci, a Mons. Vincenzo Cavalla, a Mons. Giuseppe Vairo, a D. Vito Staffieri, a D. Pancrazio Toscano, per citarne alcuni.

Gesù ci ha scelti

Tenendo presente quanto S. Paolo dice nelle sue lettere, rileggiamo la nostra storia di chiamati dal Signore, contenti di essere preti e di servirlo con gioia e rinnovato entusiasmo, instancabili e «pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15), dove Lui ci ha posti attraverso il vescovo diocesano e quello di Roma. Ubbidire alla Chiesa non è mai semplice; implica dispiaceri e lacerazioni, paure e lacrime. Ma ognuno di noi sa, nonostante la debolezza della carne, che la nostra missione rappresenta la partecipazione dell’uomo all’opera di Dio. É un mistero che si rivela nel tempo e che ci porta lontano dal nostro modo di pensare e forse anche desiderare. Significa: rimanere sottomessi alla voce dello Spirito Santo che soffia dove vuole (Gv 3,8).

Ci sono almeno tre momenti che hanno segnato, stanno segnando e segneranno la nostra vita presbiterale:

  1. Ogni chiamato ha avuto un incontro personale con il Signore che gli ha cambiato la vita. L’esperienza di S. Paolo, la sua chiamata e la sua conversione (At 9,1-22; At 22,3-16), sono avvenute attraverso un incontro non cercato da lui ma voluto da Gesù. Per grazia di Dio, Paolo ha sentito la voce di Gesù sulla strada di Damasco: c’è un progetto di Dio per il mondo pagano e sarà proprio lui a portare l’annuncio della salvezza.

Mi sembra interessante quanto Benedetto XVI diceva a proposito di questo momento che ha segnato in profondità la vita di Paolo: «Quell’incontro segnò l’inizio della sua missione: Paolo non poteva continuare a vivere come prima; si sentiva investito dal Signore dell’incarico di annunciare il suo vangelo in qualità di apostolo. Normalmente, seguendo i vangeli, identifichiamo i Dodici col titolo di apostoli, cioè coloro che erano compagni di vita e ascoltatori dell’insegnamento di Gesù. Ma anche Paolo si sente vero apostolo… Ovviamente, Paolo sa distinguere bene il proprio caso da quello di coloro “che erano stati apostoli prima” di lui (Gal 1,17). Ad essi riconosce un posto del tutto speciale nella vita della chiesa. Eppure, anche san Paolo interpreta se stesso come apostolo in senso stretto.  Quindi, egli aveva un concetto di apostolato che andava oltre quello riservato al gruppo dei Dodici e tramandato soprattutto da Luca negli Atti (cfr At 1,2.26; 6,2). Infatti, nella prima Lettera ai Corinzi, Paolo opera una chiara distinzione tra “i Dodici” e “tutti gli apostoli”, menzionati come due diversi gruppi di beneficiari delle apparizioni del Risorto (cfr 14,5.7). Nello stesso testo egli passa poi a nominare umilmente se stesso come “l’infimo degli apostoli”, paragonandosi persino a un aborto e affermando testualmente: “Io non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (1Cor 15,9-10) [4].

Ogni sacerdote, come Paolo, è destinatario di una chiamata, per cui non è lui che decide cosa fare, come e dove evangelizzare. É questo il motivo per cui ogni chiamato si confronta nella preghiera, nell’ascolto della Parola, in comunione con il presbiterio e in obbedienza alla Chiesa, per capire dove il Signore invia. Paolo dice di essere «apostolo per vocazione», cioè «non da parte di uomini né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre» (Rm 1,1ss).

Durante il tempo della pandemia avete dato un esempio autentico di solidarietà verso tutti, pur dovendo modificare completamente lo stile di vita pastorale. Un atto di grande carità e rispetto verso tutti, condividendo l’inumano dolore di tante famiglie impossibilitate a stare accanto ai loro cari sofferenti, senza nemmeno la celebrazione cristiana delle esequie. É stato il tempo durante il quale avete dimostrato ancora una volta di essere sempre pronti e disponibili, per il bene delle nostre comunità. Grazie!… a nome di tutti, Grazie!

 

  1. Ognuno di noi può dire che alla luce di questo primo passo è stato inviato a portare un messaggio da parte del mandante, quindi un dono immenso per la nostra gente. Anche quando non vediamo chiaro e viene meno ogni certezza, continuiamo a credere. Sappiamo che il Signore non si sbaglia mai e per la fiducia che ha posto in ognuno di noi ci ha affidato la sua parola, e per questo possiamo ripetere: «Io so in chi ho creduto» (2 Tm 1,12). Ma nessuno di noi è l’uomo della Parola perché siamo stati chiamati a parlare per annunciare il messaggio di Gesù.

Più attraversiamo il tempo e più ci convinciamo che la nostra vita è riposta sulla Parola di Dio. Questo significa che nessuno è prete per occupare un posto fisso, una sistemazione. Ciò vale per gli impiegati statali, per gli assunti al lavoro, ma non per il prete che vive la sua missione a tempo indeterminato ma a tempo determinato nelle funzioni ministeriali. Infatti Paolo dice di essere «apostolo di Gesù Cristo», cioè suo delegato; ma anche «Servo di Gesù Cristo», cioè posto totalmente al suo servizio.

Qualsiasi altro interesse personale passa in secondo piano: prima il bene della Chiesa. Il resto non fa parte della missione sacerdotale ma sfocia in personalismi che potrebbero trasformarsi in idolatria: dipendenza dai soldi, legami affettivi malati, l’io che prende il posto di Dio, culto della persona coltivato senza rendersene conto. Nessuno di noi è esente da queste tentazioni. Sempre nel tempo duro e triste della pandemia abbiamo sicuramente riscoperto la nostra vera identità di presbiteri: «Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At 6,4). Le tante cose da fare ogni giorno, se pur importanti, ci fanno talvolta dimenticare il nostro compito primario che è pregare per i fedeli a noi affidati e annunciare la Parola. Che non manchi mai durante la giornata un tempo di silenzio, di deserto, davanti al SS. Sacramento per sentire il suo respiro, la sua dolcezza, il suo soffrire e gioire per l’umanità: è, d’altronde, quanto viviamo quotidianamente. In quel silenzio ritroviamo la carica per riprendere con più entusiasmo la nostra missione.

 

  1. Siamo tutti coscienti che la priorità della missione del sacerdote è l’annuncio del Vangelo. In Paolo questo aspetto è talmente chiaro che scrivendo alle comunità di Corinto e di Roma dice: «Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati e noi disprezzati (1 Cor 4,9-11)...Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati» (Rm 8,37).

Siete davvero un esempio voi sacerdoti, consacrati e diaconi, che con generosità spendete la vostra vita nell’umile servizio verso i fratelli. Tuttavia non dimentichiamoci che il diavolo è sempre all’opera. Riporto un passaggio dell’omelia che Papa Francesco ha dettato a Budapest recentemente: «Non lasciate entrare le ideologie! La vita di fede, l’atto di fede non può essere ridotto a ideologia: questo è del diavolo. No, per favore: il primo lavoro pastorale è la testimonianza della comunione, perché Dio è comunione ed è presente dove c’è carità fraterna. Superiamo le divisioni umane per lavorare insieme nella vigna del Signore! Immergiamoci nello spirito del Vangelo, radichiamoci nella preghiera, specialmente nell’adorazione e nell’ascolto della Parola di Dio, coltiviamo la formazione permanente, la fraternità, la vicinanza e l’attenzione agli altri. Un grande tesoro ci è stato messo nelle mani, non sprechiamolo inseguendo realtà secondarie rispetto al Vangelo! [5]».

I confratelli sacerdoti e vescovi che ci hanno preceduto nel servire questa nostra terra e che ora sono nati alla vita eterna, rimangono un grande esempio di pastori per noi tutti. Si sono generosamente impegnati nel quotidiano esercizio del loro ministero sacerdotale ed episcopale, spendendo la loro vita gioiosamente, pur fra mille tribolazioni e sofferenze, fino all’ultimo respiro. Non hanno permesso all’azione del demonio di creare divisioni all’interno del presbiterio tra sacerdoti, tra sacerdoti e vescovi, tra sacerdoti e laici (Papa Francesco lo ritiene un artista nel fare questo, è la sua specialità).

 

Come vostro vescovo prego per voi

La ragione della nostra vita è il Signore. Mi ritorna spesso in mente la frase evangelica: «Li chiamò perché stessero con Lui» (Mc 3,14). Quando ero parroco ho imparato che solo nell’unione con Dio, nello stare nel silenzio in preghiera, nella ricerca di Dio nella nostra vita e nella vita del mondo, si trovano forza, entusiasmo e gioia dell’annuncio. Gli anni della vita pubblica di Gesù sono segnati dallo stretto contatto con gli apostoli. Da questo contatto fatto di ascolto, di preghiera, di Parola spezzata, d’incontri con la gente comune come con quella di alto rango, di malati, di bisognosi, di folle che lo cercano a qualsiasi ora e in qualunque luogo, gli apostoli hanno imparato come vivere e continuare quella missione.

Ogni giorno, in preghiera, come vostro Vescovo, sento di rinnovare con voi la fiducia, la stima, la libertà. Nel mio cuore il posto centrale lo occupate voi. E vi assicuro che non sempre è facile. Proprio in questi mesi di grande movimento da una parte all’altra delle due Diocesi, come pastore sento che devo vivere di più il mio tempo con voi confratelli sacerdoti. Mi piacerebbe stare con voi non per risolvere problemi relativi a sistemazione di chiese, questioni burocratiche, nulla osta … ci sono gli uffici di Curia preposti a tutto questo. Il vescovo è padre e pastore che deve stare con i suoi preti e accanto ai fedeli, altrimenti diventa un manager. Mi piacerebbe ascoltarvi di più, pregare insieme, condividere un pasto. Vi assicuro che con molti questo avviene, mentre con altri è più complicato, forse anche per colpa mia. Se così fosse aiutatemi a capire.

Durante la mia lettura personale ho trovato questa bella riflessione medievale che mi ha particolarmente colpito e che vi partecipo: «Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito, come di sangue reale, semplice e naturale, come di ceppo contadino, un eroe nella conquista di sé, un uomo che si è battuto con Dio, una sorgente di santificazione, un peccatore che Dio ha perdonato, dei suoi desideri il sovrano, un servitore per i timidi e per i deboli, che non s’abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri, discepolo del suo Signore, capo del suo gregge, un mendicante dalla mani largamente aperte, un portatore di innumerevoli doni, un uomo sul campo di battaglia, una madre per confortare i malati, con la saggezza dell’età e la fiducia d’un bambino, teso verso l’alto, i piedi sulla terra, fatto per la gioia, esperto del soffrire, lontano da ogni invidia, lungimirante, che parla con franchezza, un amico della pace, un nemico dell’inerzia, fedele per sempre… Così differente da me! [6]».

La mia gratitudine a voi tutti

La mia gratitudine a Dio per ognuno di voi, perché ci siete, perché siete preti. Non vi nascondo il piacere che provo nel sentire quanto mi viene riferito soprattutto dai laici che riconoscono in voi la comunione di Gesù con il Padre, il suo parlare, il suo essere misericordioso, la sua consolazione che portate nei momenti difficili della vita ai fedeli, la fraternità sacerdotale, il vostro essere uomini di preghiera. È S. Pietro a ricordarci: «Anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo… (1 Pt 2,5). Ma voi siete una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una gente santa, un popolo acquistato per Dio, affinché proclamiate le meraviglie di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce» (1 Pt 2,9). E lo siete realmente perché amate Cristo e la sua Chiesa, nel servizio disinteressato, nell’obbedienza che a volte mi disarma, perché capaci di sacrificarvi in un’offerta totale e nella carità silenziosa che risolleva ogni persona piagata nel corpo e nello spirito. È davvero tanto l’olio della consolazione e il vino della speranza che versate. Mi emoziona pensare tanti di voi che, come parroci, anche in comunità di 250/300 anime (soprattutto nella Chiesa di Tricarico), svolgete il vostro ministero con entusiasmo e amore, pur tra tante difficoltà e solitudine che sapete nascondere e affrontare.

Il mio grande dispiacere, che diventa preghiera sofferta, per lo scandalo di chi si mostra schiavo del denaro, di chi, sentendosi giudicato o aggredito verbalmente dai fedeli, preso dall’impulsività, diventa aggressivo, o di chi parla male, anche nelle omelie, dei confratelli, dei vescovi, del Papa, o di chi diventa possessivo dei fedeli affidati, o di chi vive affetti malati, o di chi rimprovera continuamente i fedeli [7]. Non dimentichiamo che Gesù «ci ha fatti re e sacerdoti per Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,6).

 

Preti: uomini di fede che dilatano il cuore

Oltre le conoscenze teologiche, la bravura nella predicazione, l’amore per la liturgia, il legame a ritualità a volte vuote e senza Dio, ciò che ci viene chiesto è di essere esperti di umanità, partecipando e condividendo le gioie e le sofferenze di tutti, sapendo che Gesù ci ha chiamati e che ognuno è chiamato ad essere segno vivo del Cristo che offre la vita per i fedeli e li riconcilia con Dio. Siamo chiamati ad essere uomini di fede nel Maestro e Signore, Gesù. Questa fede ci fa dilatare gli spazi dell’amore a Lui offerto e donato con gioia, contenti di essere preti, vivendo il nostro ministero nella diversità di uffici e comunità parrocchiali.

Nell’ultima Messa Crismale del 2023, Papa Francesco, nella sua omelia, con animo sofferente ma traboccante d’amore per i sacerdoti, ha fatto un forte richiamo, dicendo: «Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione. Ricordiamo che lo Spirito, ‘il noi di Dio’, predilige la forma comunitaria, cioè la disponibilità rispetto alle proprie esigenze, l’obbedienza rispetto ai propri gusti, l’umiltà rispetto alle proprie pretese» [8].

Sant’Agostino ci ricorda: «Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te» [9] (Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te). Ogni sacerdote trova nel Cuore di Dio il suo rifugio, la salvezza, il posto dove abitare. In questa casa si sperimenta di essere amati e si trova la pace, mentre attorno a noi forze funeste contrastano la Parola che annunciamo. Da Dio veniamo e a Dio siamo chiamati a ritornare, vivendo già su questa terra il cielo che è disceso.

É sempre S. Paolo a ricordarci quale dev’essere il nostro comportamento per essere fedeli alla vocazione ricevuta: «comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,1-2). Nessuno di noi è padrone delle comunità dove siamo stati inviati ad esercitare il nostro ministero ma ognuno di noi è chiamato a servirle con cuore paterno, desiderando e volendo il bene dei figli. Vescovo e presbiteri, insieme, chiamati a mostrare un solo volto, quello di Cristo “Buon Pastore”. Non siamo proprietari delle nostre comunità ma amministratori col cuore di padre.

 

Non dimentichiamo mai di tenere lo sguardo fisso su Gesù

L’autore della lettera agli Ebrei ci ricorda come vivere fedelmente il nostro ministero sacerdotale: «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio » (Eb 12,2).

La nostra fede ci impone di essere in grado di saper sfidare il tempo che attraversiamo e le difficoltà che quotidianamente incontriamo, preoccupandoci di stare in mezzo alla nostra gente e abitando tutto il territorio della parrocchia [10]. L’atleta senza allenamento continuo e senza sacrifici e rinunce non sarà mai in grado di raggiungere la meta. Questa è la nostra corsa, in lotta con l’avversario, che non è mai un confratello, ma il peccato che ci tiene lontani dalla grazia di Dio. La gara di cui parla la lettera agli Ebrei, in greco dice agóna, un “agone”, è una corsa agonistica, oppure è una agonia, è un combattimento, è una vera e propria gara, a tutti gli effetti.

Il premio da conquistare ce lo indica Gesù con la sua vita. Si è sottoposto al sacrificio della croce, è stato insultato, sputato, calunniato, schiaffeggiato, flagellato, crocifisso: «Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo” (Eb 12,3). Per questo veniamo ammoniti ed esortati: «perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato»! (Eb 12, 4).

Con un gruppo di sacerdoti della Diocesi di Tricarico, dal 17 al 19 aprile scorso, abbiamo vissuto tre giorni di fraternità in Calabria, gustando insieme momenti di preghiera, di riflessione, cibi succulenti, la bellezza delle coste, dello stare insieme. L’ultimo giorno ci siamo recati nel punto esatto dove il 26 febbraio 2023 una barca di migranti, a 100 m dalla costa di Steccato di Cutro, naufragò: cento persone persero la vita annegando tra le onde del mare in tempesta. Lì, abbiamo ascoltato la testimonianza del parroco che, buttandosi in acqua, ha raccolto diversi corpi ormai privi di vita. Abbiamo pregato, celebrato la messa nella chiesa e, raccogliendo alcuni pezzi di quella barca, ne ho fatto una croce che ho collocato nella mia cappella di Matera. Ogni giorno, guardando quella croce, penso ai tanti crocifissi nel mondo, alle tante ingiustizie che anche nel nostro territorio tocchiamo con mano, e al forte grido di Cristo prima di spirare: è il grido soffocato dell’umanità sommersa e nascosta che, però, noi conosciamo bene, perché in tanti modi ce ne facciamo carico.

In questa umanità in tempesta, desideriamo che ritorni la quiete. Siamo chiamati a crescere ogni giorno nella vita spirituale, una corsa che sarà impossibile fare se ci portiamo dei pesi addosso, i peccati, con i quali, anche se dovessimo riuscire ad arrivare al traguardo, sarebbe troppo tardi, non ottenendo ciò per cui abbiamo offerto la nostra vita.

Se camminiamo o corriamo nella luce, lo sguardo resterà rivolto sempre verso il traguardo da raggiungere, verso il futuro: Cristo Gesù. Nessun atleta mentre corre guarda i piedi. Allo stesso modo ognuno di noi è chiamato a tenere fisso lo sguardo su Gesù, senza stancarci, demoralizzarci, perderci d’animo di fronte alle difficoltà, alle incomprensioni, alle delusioni. Anch’io vivo gli stessi stati d’animo vostri, e ciò che dico a voi lo dico a me stesso. L’esempio del S. Curato d’Ars è sempre attuale: cambiò la sua comunità parrocchiale perché era uomo di preghiera, confessava fino a 16 ore al giorno, aiutava i fedeli a celebrare e gustare l’Eucarestia. Mi rendo conto che i tempi sono cambiati, che il tipo di vita che conduciamo è molto più stressante, e che le distrazioni che ci inducono ad evadere la nostra vita spirituale sono sempre più numerose.

Il venerabile D. Tonino Bello, soprattutto al clero di Matera-Irsina, sta accompagnando questo nostro cammino con la sua presenza e insegnamento: gli esercizi spirituali vissuti a S. Maria di Leuca nel mese dello scorso Novembre, l’ultimo ritiro mensile a Molfetta. Mi piace ancora una volta risentire questo stupendo pensiero che rivolse ai suoi sacerdoti: «In conclusione, brocca, catino e asciugatoio devono diventare arredi da risistemare al centro di ogni esperienza comunitaria. Con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali. Che cosa significa tutto questo per noi? Che, ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri, e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli…Convinciamoci che non sono credibili le nostre parole se perseveriamo in squallidi esercizi di demolizione reciproca. L’olio profumato della comunione ci faccia camminare insieme. Ci raccolga a tavola insieme. Come l’olio di Betania, quello della comunione ha un prezzo altissimo» [11].

Ognuno di noi sa benissimo che la pastorale non sarà mai efficace se, nelle diverse forme, non si vive la fraternità sacerdotale. Non a caso Benedetto XVI ci invita a riflettere che «il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo nella comunione» [12].

 

In ascolto e in comunione con la Chiesa

L’ultima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (la 77ª), che si è svolta in Vaticano dal 22 al 25 maggio 2023, si è aperta e chiusa con due interventi di Papa Francesco. Il secondo è stato aperto anche ai referenti diocesani del Cammino sinodale, nell’aula Paolo VI.

Alla luce di quanto il Santo Padre ci ha detto abbiamo riletto il biennio narrativo del Cammino sinodale, mettendo in evidenza la ricchezza della rete dei referenti diocesani; l’acquisizione del metodo della “conversazione spirituale” come stile sinodale permanente e dei “cantieri” come esperienza laboratoriale da proseguire; la consapevolezza delle fatiche e delle resistenze.

É stato il lavoro dei gruppi sinodali che ci ha permesso di lavorare su cinque piste fondamentali per il discernimento operativo: la missione nello stile della prossimità; il linguaggio dell’annuncio, della liturgia e della comunicazione; la formazione e l’iniziazione alla vita cristiana; la corresponsabilità nella guida delle comunità; la revisione e la valorizzazione delle strutture.

Papa Francesco ci ha incoraggiati facendoci quattro consegne: continuare a camminare, fare Chiesa insieme, essere una Chiesa aperta, essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo. Ci ha spronati, dicendo: «Proseguiamo insieme questo percorso, con grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando. È Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa» [13].

É emerso dalla sintesi dei lavori di tutti i gruppi sinodali della Chiesa italiana il bisogno di ripensare, considerando i problemi pastorali esistenti oggi, il modo di essere e di fare i preti oggi. Si sente l’urgenza di nuove forme del ministero sacerdotale, della sua formazione e dei suoi compiti. In tante parti d’Italia un solo sacerdote è parroco anche di 13 piccole parrocchie. La gente desidera incontrarci guardandoci come segni trasparenti di Gesù Pastore, quali uomini contenti della loro vocazione e ministero a favore dell’edificazione delle comunità e dei singoli fedeli.

In questo cammino sinodale siamo arrivati ad un passaggio: dalla fase narrativa a quella sapienziale. Bisogna esercitare quella “sapienza pratica” derivante dalle Scritture, tenendo fisso lo sguardo sull’icona dell’incontro di Emmaus (Lc 24,13-35). É lo Spirito che precede e ispira l’azione stessa della Chiesa, spingendola alla testimonianza; lo Spirito dota i battezzati del “senso di fede” che, attraverso l’esperienza del confronto, può diventare “consenso di fede”. L’orizzonte missionario, si è detto concordemente, deve restare il faro del Cammino sinodale: senza questa prospettiva, che costituisce la natura stessa della Chiesa – che esiste per annunciare Cristo e il suo Vangelo – le comunità cristiane si perderebbero nelle loro problematiche interne, smorzando la forza dello Spirito e impoverendo così il mondo [14].

 

Un pensiero speciale al presbiterio visto nella terza e quarta età

Durante l’omelia della messa crismale con il Clero di Tricarico, ho avuto modo di sottolineare che ogni età della vita del prete è preziosa. Dagli anziani, contenti per quanto Dio ha fatto in loro e attraverso di loro: è meraviglioso quando un prete anziano riesce a trasmettere i suoi sogni a un prete giovane; ai sacerdoti maturi che hanno un tesoro prezioso in vasi di creta (cf 2 Cor 4, 7), capaci di rinnovarsi ogni giorno, cercando quei legami di fraternità sacerdotale con tutti, giovani e anziani, che fanno uscire dall’isolamento dei nostri piccoli e meravigliosi paesi; infine i preti giovani chiamati più degli altri ad intercettare il linguaggio di una umanità che parla esattamente il linguaggio contrario del Vangelo. È fondamentale non rinchiudersi in schemi pastorali del passato, coltivando solo la religiosità popolare, ma aprendosi alla novità del Vangelo che non significa adeguarsi ai tempi, ma capire i tempi difficili che stiamo vivendo. È importante coltivare, desiderare, pretendere legami di fraternità, uscendo da quelle certezze, tipiche della giovinezza, che a volte si rivelano tombe che spengono la speranza [15].

Il ministero ordinato non si esaurisce nel fare. Ogni sacerdote mette a disposizione della Chiesa e dei fratelli la fondamentale dimensione dell’offerta della sua vita, soprattutto quello anziano, animato e sostenuto dalla preghiera e dalla testimonianza: un dono per la Chiesa e per il mondo (cfr. Rom 12,1).

Il Signore, come già detto, ci ha voluti per servire, per cui ognuno, soprattutto i preti anziani, resta servitore della comunità mettendo a disposizione tutto quello che si ha.

Mi sembra significativo quanto scrive Papa Francesco, rivolgendosi ai preti della Lombardia: «Potete, invece, portare con la vostra saggezza molto frutto: avete molto tempo per poter pregare per la Chiesa e per i vostri confratelli più giovani perché siano fedeli alla parola di Gesù; potete ascoltare con pazienza e magnanimità le confessioni» [16]. A loro dobbiamo guardare con riconoscenza, amore, donando cura e attenzione e attingendo dalla loro tenerezza, ma soprattutto dalla sapienza che viene da Dio. Assicuriamo la nostra presenza e vicinanza, valorizzando il loro ministero non semplicemente quando ci fa comodo, ma sempre e comunque. Trovare il tempo per i confratelli sacerdoti anziani e ammalati significa avere la forza e il coraggio di saper stare con loro ai piedi della croce, come l’apostolo Giovanni insieme alla Madonna.

Sto pensando seriamente alla realizzazione di una Casa del Clero che, nella ristrutturazione dei nuovi locali del vecchio Seminario Arcivescovile di Matera, possa accogliere in modo confortevole i sacerdoti in tarda età o in difficoltà. Anche questa è una risposta alle esigenze abitative e umane, dei presbiteri anziani. E’ una questione di giustizia e di gratitudine.

Infine una parola di incoraggiamento, sempre con Papa Francesco: «A voi cari sacerdoti anziani dico: non è questo il tempo di ‘tirare i remi in barca’, di vivere la rassegnazione. Potete, invece, portare con la vostra saggezza molto frutto: avete molto tempo per poter pregare per la Chiesa e per i vostri confratelli più giovani perché siano fedeli alla parola di Gesù; potete ascoltare con pazienza e magnanimità le confessioni, potete testimoniare quanto sia importante per noi guardare e leggere la storia a partire dai molti segni di tenerezza e di amore che Dio Padre ha disseminato nella nostra vita» [17].

 

Vi chiedo la carità della preghiera per me

Pur sapendo che già lo fate, vi chiedo la carità di non stancarvi di pregare per me. Chiedete anche ai fedeli di fare altrettanto.  Vorrei anch’io vivere, secondo quanto dice l’apostolo Paolo, come uno che diffonde il Vangelo, sempre più appassionato dell’annuncio della Buona Novella, rimanendo fedele al mio motto episcopale: “Omnium me servum feci”. «Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge e con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne a ogni modo alcuni. E faccio tutto per l’Evangelo, al fine di esserne partecipe insieme con altri” (1 Cor 9,19-23). Come vorrei che questa Parola s’incarnasse in me senza togliere nemmeno una virgola! Chiedo a Dio che io sia sollecito a tessere dei legami tra le nostre due comunità, per l’edificazione vicendevole.

Infine rimetto le mie deboli forze nelle mani del Signore affinché Lui si riveli come il Risorto, perché diano testimonianza di fede e di preghiera, vivendo nella gioia il mio ministero episcopale, indicando a tutti la strada della speranza.

La Madonna che veneriamo sotto i dolci titoli della Bruna, del Carmine, di Fonti, ci sostenga in questo nostro camminare insieme e ci aiuti con la sua preghiera a ripetere senza tentennamenti il nostro “Si” quotidiano a colui che ci ha chiamati ad essere suoi presbiteri. I santi Eustachio, Pancrazio, Eufemia, Potito e Giovanni da Matera, insieme al Venerabile Mons. Raffaello delle Nocche e alla Serva di Dio Maria Marchetta preghino per noi e per le nostre Chiese.

Vi abbraccio e benedico tutti.

 

Don Pino, arcivescovo

 

Santuario della Madonna di Picciano (MT), 16 giugno 2023, Giornata mondiale di santificazione sacerdotale.

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[1] A.CAIAZZO, Tornare al gusto del pane, e farci noi stessi pane, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 2022.

[2] G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna, Alba, San Paolo Edizioni, 2019.

[3] S. AUGUSTINI, Sermo 69: PL 5, 440.441.

[4] BENEDETTO XVI, Udienza generale del 10 settembre 2008.

[5] FRANCESCO, Incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali, Budapest, Concattedrale di Santo Stefano, 28 aprile 2023.

[6] Anonimo medievale, da un manoscritto trovato a Salisburgo.

[7] “Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti” (BENEDETTO XVI, Lettera ai presbiteri per l’aperura dell’anno sacerdotale,  in occasione del 150° anniversario della morte (il dies natalis) di San Giovanni Maria Vianney, Curato d’Ars, 16 giugno 2009).

[8] FRANCESCO, Omelia Messa Crismale 2023.

[9] S. AUGUSTINI, Confess. 1, 1; PL 32, 661.

[10] Cfr. BENEDETTO XVI, Lettere ai presbiteri per l’apertura…, o.c.

[11] T. BELLO, Omelia Messa Crismale, Gli uni i piedi degli altri, 19 marzo 1989.

[12] BENEDETTO XVI, Lettera ai presbiteri per l’apertura…, o.c.

[13] FRANCESCO, Udienza ai partecipanti all’Incontro Nazionale dei Referenti diocesani del Cammino Sinodale Italiano, 25.05.2023

[14] Cfr. CEI, 77ª Assemblea Generale: Comunicato finale.

[15] A. CAIAZZO, Omelia Messa Crismale, Cattedrale di Tricarico, 04 aprile 2023.

[16] FRANCESCO, Messaggio ai sacerdoti lombardi anziani, malati e con disabilità riuniti a Caravaggio per l’VIII Giornata di fraternità con i Vescovi della regione, 15 settembre 2022.

[17] Idem.