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S. Ecc. Mons. Caiazzo celebra l’Eucaristia, sottolineandone la centralità nella vita del sacerdote, perché indica chiaramente che il prete è chiamato anzitutto a stare con il Signore e a offrire a Lui la vita per il bene di tutto il popolo di Dio. Il sacerdote ha infatti la missione di far «tornare al gusto del pane» Eucaristico, l’unico che dà sapore alla vita.

Carissimi confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,

attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia uniti, come gli apostoli a Cesarea di Filippo, ci lasciamo interrogare da Gesù, per vivere sempre più intimamente con lui, accogliendo l’invito di S. Ambrogio che abbiamo meditato nella seconda lettura dell’Ufficio delle letture di oggi, “Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla”.

Personalmente ogni giorno attendo il mattino per godere l’alba e il sorgere del sole, “luce sul mio cammino”, meditando le stagioni della vita. Ogni tramonto lo sento pieno di speranza nella misura in cui si fa preludio all’alba. In questa feconda positività è il mistero del sacerdote che si svela, si alimenta e radica nel momento dell’Eucarestia.

L’occasione di celebrare a Matera il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale diventa un motivo in più per meditare «come ogni sacerdote è assunto in mezzo alla gente e per la gente costituito appunto per offrire il Sacrificio…». È Cristo l’unico ed eterno Sacerdote: “Lui deve crescere e io diminuire”.

Il sacerdozio è un mistero che si svela man mano che si vive e si interiorizza: ogni momento, ogni azione, ogni gioia e dolore, ogni smarrimento e paura, ogni caduta e ferita, ogni lacrima e solitudine, ogni dolcezza e risurrezione, ogni atto di misericordia e grazia divina, ogni guarigione e gioiosa fatica, ogni atto d’amore e sudore, ogni tutto posto nelle mani di chi ha chiamato, scelto, inviato, Cristo Gesù, il bel Pastore.

È un mistero che si svela e rivela la sua grandezza di essere sacerdote.

Noi preti, dal giorno in cui siamo stati scelti e chiamati da Gesù, come i primi discepoli, abbiamo incominciato la nostra formazione, condividendo la sua vita, il suo insegnamento. Formati e inviati nel mondo come testimoni e annunciatori del suo messaggio di salvezza – e non di noi stessi -, a mostrare concretamente il suo volto di amore, di misericordia, di attenzione, di condivisione[1].

San Pietro, fino a quando lascia parlare lo Spirito Santo, si fa illuminare e guidare, ed è capace di riconoscere che Gesù “è il Cristo di Dio”. Nel momento in cui, investito dall’autorità divina di essere il primo tra gli apostoli ed avere il potere di fare da ponte tra Dio e la Chiesa, si mette al posto di Dio, diventa Satana, perché non pensa più secondo Dio, ma secondo gli uomini. Pietro, e quindi ognuno di noi, deve ricordarsi che la Chiesa è di Cristo, è lui che la salva. Noi agiamo e operiamo nel suo nome, alla sua sequela per non rimanere schiacciati e vinti dall’opera di Satana.

Il prete è chiamato da Dio a stare, prima di tutto, con lui, lasciandosi possedere dall’amore divino. È questo che gli fa vivere la fecondità di un ministero intriso del mistero e dell’agire per Cristo, con Cristo e in Cristo. Un prete non deve mai perdere il gusto di vivere in comunione con colui che l’ha chiamato (fedeltà alla preghiera, all’ascolto, alla meditazione della Parola, alla vita sacramentale, soprattutto all’amore per l’Eucaristia).

Questa è la vera fecondità alla quale si è chiamati: una libertà interiore che permetta di servire e non di essere serviti, di essere misericordiosi e meno burocrati, di accompagnare e non di essere semplici viandanti, di vegliare costantemente affinché nessuno si allontani da Dio e dalla Chiesa.

Sull’altare, sul quale vengono presentati ogni giorno il pane e il vino perché diventino corpo e sangue di Gesù, ogni sacerdote rinnova la sua offerta come sacrificio gradito a Dio in favore di tutti i fedeli e non solo dei presenti.

Quale grande dono il Signore ha fatto alla nostra vita!

Siamo nati insieme all’eucaristia. Gesù ci ricorda: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Presbiteri, dunque, chiamati a dare Gesù Cristo nella sua Parola, soprattutto nell’Eucaristia.

La vita di ognuno di noi è una continua eucaristia donata per nutrire e dissetare cuori desiderosi di vita, storie tribolate e contorte, unioni fragili e spezzate, infanzia tradita e violata, amori malati che sfociano nel sangue, giovani delusi e mortificati.

L’Eucaristia suscita in noi il desiderio di relazioni profonde, soprattutto perché il lungo tempo della pandemia non sempre ce l’ha permesso. Stiamo uscendo da giorni di forte preoccupazione, paura e dolore che possiamo superare anche grazie al rigore nell’osservanza delle regole di sicurezza.

L’Eucaristia è mistero che si svela e aiuta il nostro cuore a dilatarsi per esprimere gratitudine a Dio che si è fatto carne e cibo di vita eterna. È esperienza concreta che ci invia nel mondo per diffondere il buon profumo del Vangelo, aiutando a costruire un’umanità nuova.

Il Congresso Eucaristico Nazionale a Matera intende dare un forte messaggio dopo mesi di sofferenza a causa della pandemia: “Ritorniamo a gustare il pane” di vita eterna, Gesù, per una Chiesa sinodale, in cammino che vuol vivere la comunione, la partecipazione e la missione. Sarà proprio il “pane dei Sassi” che ci aiuterà a ritrovare forza ed energia per riprendere il cammino, come popolo di Dio.

Anticamente le mamme di questa città, come un po’ dappertutto, iniziavano la lavorazione dell’impasto per il pane con il segno della croce. Successivamente, per risparmiare spazio nel forno e mettere più pani, si sviluppò la tecnica di creare un pane che lievitasse soprattutto in altezza. Questa tecnica si basa sulla teologia della Santissima Trinità. La pasta viene stesa a forma di rettangolo: si uniscono le estremità di un lato arrotolandola tre volte, mentre si pronuncia: “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Dall’altro lato, con la stessa tecnica, si fanno due giri per ricordare la doppia natura di Gesù Cristo: umana e divina. Al termine l’impasto viene piegato al centro e fatti tre tagli sopra recitando: Padre, Figlio e Spirito Santo.

A questo punto il pane viene lasciato riposare nel giaciglio caldo dove aveva dormito il marito: luogo sacro perché luogo dell’amore e nascita di vita nuova. La formula che la donna usava era questa: Cresci pane, cresci bene come crebbe Gesù nelle fasce. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Qui, continuando a lievitare con il lievito madre, si amalgamava diventando una sola massa.

Quel pane che ci rimanda al “pane eucaristico”. “Tornare al gusto del pane”, partecipando all’Eucaristia, la S. Messa, dove la Parola fattasi carne, nel pane e nel vino, è nutrimento di vita eterna. Gesù che si spezza per noi, noi che lo riceviamo che ci spezziamo per condividere oltre gli affetti familiari la stessa festa di Gesù con chi si trova nel bisogno, nella necessità, nel buio, con chi si sente fallito e non ha voglia di vivere.

Gesù Eucaristia è dove i gesti d’amore si moltiplicano. Lui si è fatto vicino per far sentire il vero gusto della vita, il profumo che inebria il cuore e la mente e ogni luogo abitato da esseri viventi, esattamente come il profumo del pane.

Adorare Gesù Eucaristia significa “tornare al gusto del vero amore”, fatto di vicinanza, contatto, condivisione del dolore e della gioia, servizio gratuito e disinteressato, dello stare insieme attorno alla stessa mensa e gustare lo stesso pane.

“Tornare al gusto del pane” per fasciare ferite e consolare, piangere e asciugare lacrime, gioire e fare festa, perché in tutti rinasca la speranza.

Alla Madonna della Bruna, venerata in questa Basilica Cattedrale, ci affidiamo per camminare insieme a lei fiduciosi per le strade di questa umanità rinnovando ogni giorno con sempre più determinazione la gioia del nostro “si”. Così sia.

 

[1] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Il Presbitero, Maestro della Parola Ministro dei Sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano, Città del Vaticano, 19 marzo 1999.