Nota bibliografica
Negli ultimi anni ha guidato con passione e coraggio la Fondazione Lucana Antiusura “Mons. Vincenzo Cavalla”, di cui era Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Missionario monfortano, ha speso la sua vita sacerdotale in difesa degli ultimi, opponendosi con fermezza ai drammi dell’usura e della dipendenza dal gioco d’azzardo, che ha denunciato con forza e chiarezza, senza mai risparmiarsi.
Il suo impegno lo ha esposto anche a minacce e intimidazioni, che non hanno mai piegato la sua fede né il suo servizio.
Uomo dal carattere schietto e diretto, Padre Basilio ha saputo unire rigore e profonda umanità, lasciando un segno indelebile nella comunità ecclesiale e civile della città.
Matera, 1° settembre 2025
Eccellenza il Prefetto, rappresentante del Sindaco, Luciano Gualzetti, presidente della Consulta Nazionale Antiusura.
Carissimi tutti,
oggi siamo qui in questa circostanza che veramente nella vita nessuno di noi ama e alla quale non siamo mai pronti, mai, in nessuna situazione.
Fare i conti con la morte e con la consegna di una persona che ha lasciato questa vita è un appuntamento che volentieri eviteremmo. Ma noi siamo qui oggi, e allora io voglio invitarvi a capovolgere la situazione.
Questa non è una liturgia funebre: è una liturgia della vita.
È una vita piena, innanzitutto quella eterna, nella quale padre Basilio è entrato. Noi siamo intimamente convinti di questo: per stare con il Signore per sempre, come dice la lettura, la prima lettura che abbiamo ascoltato. La vita eterna nella quale è entrato per stare con il Signore per sempre.
Ma è anche una liturgia della vita coltivata, moltiplicata, guarita, difesa nelle migliaia di situazioni delle persone che padre Basilio, nella sua esistenza, ha incontrato e accompagnato.
Celebriamo anche questa vita moltiplicata.
Immaginate quindi ogni azione di bene fatta nella vita delle persone come se fossero altrettante piccole luci. Si illumina il cielo.
Vi rendete conto un po’ di questo se fate mente locale sulla sua esistenza: tante piccole luci accendono il cielo.
Ecco, noi celebriamo anche questa vita spesa per accendere le piccole luci. Quindi: una liturgia della vita.
E allora, venendo un pochettino al Vangelo che abbiamo ascoltato quest’oggi, vorrei sottolineare tre passaggi.
Abbiamo ascoltato: Gesù torna a Nazaret. È già un profeta famoso, potente, riconosciuto—se vogliamo così—fuori dalla sua patria ha operato cose grandi finora, e torna nella sua Nazaret ed entra nella sinagoga. Vive la liturgia della sinagoga e, ricevendo il rotolo del profeta Isaia legge questo testo, questo caposaldo dei compiti del Messia, dell’unto del Signore.
E legge Gesù: “Lo Spirito mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato.”
Ho ricevuto una consacrazione, un’unzione con l’olio, e sono stato mandato.
È il compito del presbitero, di padre Basilio, di tutti i presbiteri e di tutti i credenti: ricevere l’unzione ed essere mandati.
La nostra fede non è una fede da sagrestia: è una fede che si spande come il profumo, oppure non è fede autentica.
È una consacrazione per una missione ben precisa però, verso categorie ben chiare: i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi.
Accomunate queste categorie di vita da situazioni di vita fragile, umiliata, vita appesantita.
Il mandato del consacrato del Signore è andare incontro alla vita ferita, umiliata, appesantita; affiancarla e portarne una prova concreta della presenza del Signore. È un sollievo reale.
Il Vangelo e la missione del credente è una missione reale, fattiva, da sporcarsi le mani, come diceva Luigi Di Liegro, un amico di padre Basilio.
Cosa desiderano queste persone umiliate, affaticate dalla vita, verso le quali è mandato l’unto del Signore?
Desiderano la salvezza, desiderano che si possa concretizzare in un intervento concreto, un cambiamento reale della loro situazione di vita.
Il Vangelo che annuncia l’unto del Signore non vola sulla testa nell’astrazione delle singole parole, ma entra nella carne viva delle ferite, soprattutto per portare l’olio della consolazione.
Altrimenti si tradisce il Vangelo, anzi il mandato.
L’unto è colui che si sporca le mani, si compromette, si gioca la vita con la sorte dei diseredati. Si gioca la vita.
Non c’è un ponte levatoio per cui entri un attimo nella vita delle persone, un attimino intingi il dito, poi scappi subito.
Ti giochi la vita quando evangelizzi: ti giochi la vita tua personale, ti giochi il tuo tempo, ti giochi le tue energie; perché sappiamo bene—e i genitori lo sanno bene—l’amore costa e ti consuma appresso alle persone.
Ecco, lui si è consumato appresso alle persone.
Il secondo passaggio di questo Vangelo, Gesù lo sottolinea nella sua predica, probabilmente la predica più corta della storia: “Oggi si è adempiuta questa Parola che avete ascoltato.”
È oggi: la concretezza quotidiana si verifica oggi, non domani.
Nel libro Cristo si è fermato Eboli, ad un certo punto l’autore dice due parole insopportabili che il carabiniere, il maresciallo, nota: “niente” e “domani”; e dice: non è possibile dire “niente” nelle situazioni della vita delle persone, “non ci posso fare niente”. È intollerabile questa parola.
E anche la parola “domani”, cioè “mai”, è altrettanto intollerabile.
“Oggi si adempia la Parola”: cioè, il Signore mi trafigge con il suo amore oggi; mi unge e mi manda oggi alle persone.
Ecco perché padre Basilio sembrava consumato da un fuoco interiore, da un’irrequietezza: era quasi incontentabile.
“Oggi” —dice Gesù—si adempie questa Parola della liberazione.
Terzo: sembra che Gesù faccia l’attaccabrighe con i suoi compaesani,
Sembra che stia montando questa specie di parole un po’ ruvide verso di loro: “Ah, voi mi citerete il proverbio: ‘Medico, cura te stesso’; adesso fallo qui.”
E, con molta schiettezza e ruvidezza, dice: nessun profeta è ben accetto nella sua patria.
Perché Gesù si comporta così?
Perché i suoi compaesani hanno due atteggiamenti che lui vuole correggere.
Uno: nessun segno, nessun miracolo, nessuna opera di Dio ti è dovuta. Se siamo compaesani non vuol dire che tu hai una corsia preferenziale.
Questa è la prima cosa.
E l’altro aspetto è che tu devi essere pronto ad accogliere la gratuità dell’amore di Dio.
Era accolto malvolentieri questo sacerdote e lo mandavano via perché era un prete singolare ed eccentrico.
Non sto parlando di padre Basilio sto parlando di San Luigi Maria di Monfort. Questo si diceva di lui: era un prete singolare ed eccentrico, quindi lo mandavano via.
Ecco, da questo punto di vista possiamo dire tranquillamente che padre Basilio si è sintonizzato bene anche con il suo fondatore: singolare ed eccentrico nel suo essere profeta che rompe gli argini, che chiama le cose per nome, che non guarda—come si dice—in faccia nessuno e va avanti sulla sua strada, anche se deve pagare un costo umano.
Quindi non è un ricercare il conflitto per il desiderio del conflitto, ma rompere gli equilibri di quietezza e di cose non chiare. E le cose lui le chiamava per nome.
Ecco l’atteggiamento del profeta, quindi del credente: perché la profezia, parte integrante del credente—a maggior ragione da parte del ministro.
Al profeta importa la giustizia, la verità e il bene delle persone. Ecco, il profeta rompe gli argini.
Gesù dice: nessun profeta è accolto nella sua patria.
Che cosa significa questo? Significa che il credente, quando è sintonizzato soprattutto con Dio, è sempre dalla parte di Lui e non si fa troppo problemi sui convenevoli, perché gli importa il bene autentico delle persone.
Padre Basilio era un profetico lottatore per la giustizia.
Il suo modo di vivere il sacerdozio lungo gli anni è sempre stato—e lo è ancora oggi, forse a maggior ragione oggi—attuale e fresco: uno stile sacerdotale attuale e fresco.
E mi permetto di sottolinearlo visto che abbiamo una presenza così bella e significativa anche di sacerdoti: i profeti, poi—Gesù lo dirà— “Voi celebrate le tombe dei profeti, ma quando sono in vita li fate fuori.”
Ecco, io invito me stesso e ciascuno di noi a recuperare, accogliere e prendere la staffetta di questa modalità di vita sacerdotale attuale e fresca, che scende nelle pieghe della vita delle persone; che vigila—veglia da sentinella—e non scende a compromessi.
Ha vissuto, dando un’impostazione autentica di vivere la pastorale parrocchiale. Direi anche che era il religioso più diocesano: a Roma si diceva che i preti diocesani più doc sono i religiosi.
Ha sempre vissuto la sua vita con un’apertura ampia. Non soltanto la parrocchia, tutta la sua attività nella Fondazione antiusura.
Io non lo voglio canonizzare, ma penso che per la Chiesa Materana il suo esempio e la sua vita spesa debba rimanere come una strada aperta che noi dobbiamo percorrere.
Le tematiche dell’usura, dell’azzardo, della ludopatia, dove le persone si schiacciano, si autodistruggono; dove le leggi istituzionali a volte tendono a fare profitto sulla debolezza delle persone, e contro le quali lui ha lottato in prima persona, sono una eredità che non possiamo far cadere, perché la credibilità dell’unto del Signore si vede nelle pieghe dell’umanità.
Anzi, in due parti: nella parte liturgica del grido al Signore—e questo è un esercizio della preghiera nella solitudine che viviamo o nella preghiera comunitaria, quindi nella vita liturgica—ma anche l’altra parte nell’abitare le pietre dell’umano.
Allora, caro padre Basilio, noi ti ringraziamo anche per la tua paternità.
Una paternità che mi pare traspaia molto bene dalla presenza nostra, dai messaggi arrivati, dal tuo modo di avere speso la vita.
Una paternità che con i figli non si accontentava mai; era una paternità che guardava le persone quasi a dire ogni volta: “Potresti essere di più, potresti fare di più.”
Non perché era semplicemente esigente, ma perché, come un padre, vede potenzialità molto più grandi del figlio di quanto il figlio non ne percepisca di sé.
E questa paternità, penso che abbia nutrito, dato vita, rafforzato per la vita tanta gente.
E di questa paternità—seppure a volte incontentabile e ruvida—era un modo di richiamare tutti, non ad essere campioni di umanità, ma ad essere figli di Dio autentici.
Vedeva il bene attorno e credeva nel bene che le persone potevano dare ed essere molto più di quanto le stesse persone non ne vedevano in sé.
Questa paternità è stata tanto feconda nella comunità parrocchiale: ci sono tre sacerdoti di questa comunità venuti fuori sotto il suo ministero.
Ecco, di questa fecondità noi rendiamo grazie a te, rendiamo grazie al Signore per averci donato te; allo stesso tempo, nell’atto di consegna di tutti noi nelle mani del Padre della tua persona, raccogliamo e scegliamo di non far cadere questa eredità che tu ci hai insegnato con la vita.
Amen
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