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Dal libro del profeta Isaìa Is 9,1-6

Ci è stato dato un figlio.

Il popolo che camminava nelle tenebre

ha visto una grande luce;

su coloro che abitavano in terra tenebrosa

una luce rifulse.

Hai moltiplicato la gioia,

hai aumentato la letizia.

Gioiscono davanti a te

come si gioisce quando si miete

e come si esulta quando si divide la preda.

Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,

la sbarra sulle sue spalle,

e il bastone del suo aguzzino,

come nel giorno di Màdian.

Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando

e ogni mantello intriso di sangue

saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.

Perché un bambino è nato per noi,

ci è stato dato un figlio.

Sulle sue spalle è il potere

e il suo nome sarà:

Consigliere mirabile, Dio potente,

Padre per sempre, Principe della pace.

Grande sarà il suo potere

e la pace non avrà fine

sul trono di Davide e sul suo regno,

che egli viene a consolidare e rafforzare

con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

In questo oracolo è un inno di gioia per il compimento dell’annuncio dato ad Acaz della nascita del figlio al quale sarebbe stato dato il nome di Emmanuele, Dio con noi (Is 7, 14s.). La nascita del bambino non è solo una gioia per il re, suo padre, ma per tutto il popolo che, guidato da capi acciecati dall’avidità e dall’orgoglio, brancola nel buio dell’incertezza e della precarietà. Il profeta indica nel figlio del re il segno della presenza potente di Dio che opera la giustizia e costruisce la pace. La guerra e i conflitti fratricidi, generati dal peccato, cedono il posto alla pace e alla libertà. L’immagine del bambino con la sua innocenza, vulnerabilità, insufficienza, povertà, debolezza, contrasta con l’imponenza della macchina militare di un esercito, con la portentosa struttura economica e sociale di uno stato, con il solenne e complicato cerimoniale di corte. Dio sorprende l’uomo capovolgendo le sue attese e le logiche del mondo.

Sal 95

Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo,

cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

In mezzo alle genti narrate la sua gloria,

a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,

risuoni il mare e quanto racchiude;

sia in festa la campagna e quanto contiene,

acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:

sì, egli viene a giudicare la terra;

giudicherà il mondo con giustizia

e nella sua fedeltà i popoli.

Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito Tt 2,11-14

È apparsa la grazia di Dio per tutti gli uomini.

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.

Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

La liturgia di Natale propone due brani tratti dalla lettera Tito nei quali Paolo ricorda l’evento capitale per la fede e la vita degli uomini. A Dio è piaciuto rivelarsi a tutti gli uomini, mediante suo Figlio Gesù Cristo, mostrandosi come Salvatore. Offrendosi liberamente alla morte di croce, Egli ha dato sé stesso per noi affinché potessimo essere liberati dalla schiavitù del peccato e formare una comunità che testimonia con la propria vita la bellezza dell’amore di Dio. Il modo con il quale Dio viene incontro all’uomo per amarlo diventa per tutti modello di vita. Egli, che ha rigettato le lusinghe delle tentazioni e ci ha amati fino al “colmo” è luce che traccia la strada attraverso la quale compiere il pellegrinaggio spirituale che ci conduce alla piena conformazione a Cristo e, conseguentemente, alla totale manifestazione in noi dell’amore di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 2,1-14

Oggi è nato per voi il Salvatore.

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

MESSA DELL’AURORA

Is 62,11-12   Sal 96   Tt 3,4-7   Lc 2,15-20: I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.

Dal libro del profeta Isaìa Is 62,11-12

Ecco, arriva il tuo Salvatore.

Ecco ciò che il Signore fa sentire

all’estremità della terra:

«Dite alla figlia di Sion:

Ecco, arriva il tuo salvatore;

ecco, egli ha con sé il premio

e la sua ricompensa lo precede.

Li chiameranno Popolo santo,

Redenti del Signore.

E tu sarai chiamata Ricercata,

Città non abbandonata».

Un piccolo poema (Is 62, 10-12) conclude i capitoli 60-62 che riprendono il tema della consolazione operata da Dio nei confronti del popolo duramente provato dalle guerre e dall’esilio. È Lui stesso che si rivolge al popolo presentandosi come il salvatore. Egli non ha in mano le armi della punizione ma porta con sé il dono di un nome nuovo. Il nome indica l’identità. Chi pretende di farsi un nome presume di essere lui l’unico artefice della sua vita. Al contrario, chi si lascia chiamare per nome e lo accetta, aderisce anche alla missione che quel nome rivela. Dio ci fa figli suoi dandoci il suo nome. In tal modo ciò che di più profondo appartiene alla sua identità viene partecipata all’uomo. I riscattati del Signore passano dalla dipendenza dal male, che spersonalizza e riduce a numero, all’appartenenza a Dio come figli che condividono con Lui la ricchezza del suo amore paterno e materno. Essi non subiscono l’umiliazione dei potenti di questo mondo ma godono dell’amorevolezza del loro Sposo e Padre.

Sal 96

Oggi la luce risplende su di noi.

Il Signore regna: esulti la terra,

gioiscano le isole tutte.

Annunciano i cieli la sua giustizia

e tutti i popoli vedono la sua gloria.

Una luce è spuntata per il giusto,

una gioia per i retti di cuore.

Gioite, giusti, nel Signore,

della sua santità celebrate il ricordo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito Tt 3,4-7

Ci ha salvati per la sua misericordia.

Figlio mio,

quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,

e il suo amore per gli uomini,

egli ci ha salvati,

non per opere giuste da noi compiute,

ma per la sua misericordia,

con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,

che Dio ha effuso su di noi in abbondanza

per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,

affinché, giustificati per la sua grazia,

diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Per Paolo la salvezza è sinonimo di giustificazione, ovvero di santificazione. Fine della nostra vita è diventare santi, raggiungere, cioè la pienezza dell’amore in Dio. Egli sin dall’origine ci offre vocazione di essere suoi figli, eredi della vita eterna, ovvero, la vita stessa di Dio che ama totalmente, fedelmente, gratuitamente ed eternamente. Non diventiamo santi mediante le nostre opere ma esse diventano le opere di Dio nella misura in cui, lasciandoci riconciliare e rigenerare dallo Spirito Santo, gli permettiamo di agire in noi per diventare riflesso e trasparenza del suo amore misericordioso.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 2,15-20

I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».

Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

Lectio divina Lc 2, 1-20

L’episodio della nascita di Gesù è narrato in tre scene. Nella prima (vv. 1-7) viene presentato il contesto storico e geografico e i personaggi di Giuseppe, Maria e il bambino. La seconda scena (vv. 8-14) racconta l’annuncio dell’angelo ai pastori e, infine, nella terza (vv. 15-20) avviene l’incontro tra i due gruppi di personaggi presentati.

I personaggi della prima scena sono nell’ordine: Cesare Augusto, la cui autorità si estende a tutto il mondo abitato, Quirinio che governa per conto dell’imperatore la regione della Siria, Giuseppe, appartenente ad un ramo cadetto del casato di Davide, Maria, sposa di Giuseppe e, infine, il loro bambino che, appena nato, viene avvolto nelle fasce e deposto nella mangiatoia. Lo stesso movimento discendente che caratterizza l’entrata in scena dei personaggi lo si riscontra nelle annotazioni geografiche. Si passa, infatti, dall’intero mondo abitato alla grotta di solito occupata dagli animali che erano a servizio della sussistenza della famiglia.

L’evangelista Luca insiste sul censimento. L’imperatore lo ordina mediante un editto (letteralmente: dogma) che viene eseguito da tutti i sudditi, tra cui c’è anche Giuseppe, abitante di Nazaret di Galilea, ma originario di Betlemme. Giuseppe, in obbedienza all’editto dell’imperatore, si mette in viaggio verso la città di Davide. Di solito con questo nome si intende Gerusalemme, ma Luca vuole sottolineare l’origine. Davide era nato a Betlemme e lì, nella sua casa paterna, era stato unto re dal profeta Samuele. Nel pellegrinaggio di Giuseppe e della sua famiglia si allude al ritorno alle origini, alle sorgenti. Anche se non ne è consapevole Giuseppe, mediante l’obbedienza al comando dell’imperatore, sta compiendo il progetto di Dio. L’insistenza sul censimento e la sottolineatura che Giuseppe era della discendenza davidica pongono sullo sfondo la vicenda narrata in 2Sam 24 e in 1Cr 21 dove si racconta il censimento organizzato da Davide. Il re, dopo averlo indetto, fu preso dal rimorso e chiese perdono a Dio. Il censimento era considerato un peccato perché conoscere il numero della popolazione significava esercitare nei suoi confronti l’autorità di dominio e possesso. In tal modo si pretendeva di sostituirsi a Dio misconoscendone la sua signoria. Il censimento era un modo per riscuotere una tassa e monetizzare. Il peccato sta nel ridurre il popolo a oggetto di speculazione piuttosto che destinatario del proprio servizio. Il peccato fu punito con una pestilenza, contenuta grazie al sacrificio che Davide offrì sull’altare in una aerea sulla quale Salomone avrebbe in seguito edificato il tempio. L’intervento di Dio salva il popolo dalla pestilenza che avrebbe distrutto tutto. Questo avviene pagando un prezzo. Davide sale sull’altare per offrire il sacrificio nello stesso luogo nel quale la tradizione indentifica il sacrificio di Isacco offerto da Abramo. Si instaura così un parallelo tra Gerusalemme, in cui si consumerà il sacrificio pasquale di Cristo col quale verrà consacrato Signore, e Betlemme, scenario dell’unzione regale di Davide e luogo nel quale un bambino sarà deposto in una mangiatoia, profezia del Golgota.

Con Giuseppe c’è anche Maria, la sua sposa promessa, che è incinta. Mentre erano a Betlemme giunse per lei il tempo del parto dando alla luce un bambino. Di lui non si dice nulla se non che fu destinatario di cure amorevoli da parte di sua madre, la quale lo depose nella mangiatoia dopo averlo avvolto in fasce. Con la mangiatoia si identifica l’ambiente più interno della casa nella quale Giuseppe e Maria erano stati ospitati con la nascita del bambino. Probabilmente la famiglia di Nazaret era stata accolta da parenti nella propria dimora, la quale, oltre all’ambiente più domestico, aveva una grotta dotata di mangiatoia per alloggiare anche gli animali.

Dopo la descrizione dell’evento della nascita del bambino, l’evangelista introduce la seconda scena (vv. 8-14) del suo racconto spostando l’attenzione dalla grotta di Betlemme alle campagne circostanti dove all’aperto i pastori vegliavano di notte le loro greggi. Essi sono i destinatari del primo annuncio. La descrizione dell’apparizione angelica e la reazione dei pastori sono una chiara indicazione del fatto che il racconto appartiene al genere letterario dell’esperienze teofaniche. L’angelo si presenta come l’evangelizzatore, colui che porta l’annuncio gioioso della nascita di un figlio. Nelle parole del messaggero divino ritroviamo l’eco degli annunci evangelici attestati nella letteratura greco-romana e nelle Scritture ebraiche. Infatti, nell’antichità l’evangelizzatore è colui che porta l’annuncio gioioso della nascita dell’erede al trono e della vittoria militare del re. Nelle profezie, soprattutto quella di Isaia, il messaggero di buone notizie evangelizza annunciando la venuta del Signore (Cf Is 40, 9-11). Il cuore della seconda scena è l’annuncio angelico che comunica la nascita del Salvatore, il Cristo Signore. Il titolo «Salvatore» era uno di quelli attribuiti a Cesare Augusto, mentre «Cristo Signore» è un chiaro richiamo alla tradizione ebraica e alla promessa di Dio. L’angelo ha la funzione di narrare l’evento il cui segno è il bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia. Il segno indicato dall’angelo accentua la paradossalità già accennata nella prima scena. La deposizione nella mangiatoia era stata spiegata precedentemente col fatto che la piccola famiglia di Nazaret dovette adattarsi perché non c’era posto per tutti nell’alloggio domestico. Dunque, il segno legge alla luce di Dio una scelta dettata da un’esigenza pratica. Come il viaggio di Giuseppe insieme a Maria verso Betlemme era dovuto al censimento indetto dall’imperatore, così la povertà dei mezzi aveva imposto la scelta di usare la mangiatoia come primo giaciglio per il bambino. Le vicende storiche, che sembrano essere guidate dall’autorità dei potenti o influenzate dalle condizioni economiche e dalle contingenze storiche, sono invece il luogo nel quale Dio manifesta la sua gloria e porta a compimento il suo disegno di salvezza. Il bambino nato nella città di Davide e che, avvolto in fasce, giace in una mangiatoia è la chiave di lettura di tutta la storia che tra le sue pieghe custodisce l’opera di Dio. La visita dell’angelo ai pastori era iniziata con la manifestazione della gloria divina che li aveva avvolti con il suo splendore. Si conclude con il coinvolgimento dei pastori nell’inno di lode intonato da tutta la corte celeste. Alla rivelazione, che mira a suscitare la gioia in chi ascolta e accoglie il vangelo, segue la lode che, come un turbine, solleva in alto per partecipare alla liturgia del cielo. In essa si confessa la gloria di Dio che, manifestandosi in mezzo agli uomini, dona loro la pace. La gloria di Dio è il suo amore per gli uomini che ricevono la pace dalle mani del Signore. L’uomo che glorifica Dio con la sua vita è in pace e diventa costruttore di pace. La pace che Augusto aveva imposto sui territori occupati era precaria. Infatti, fu proprio il censimento della Giudea, organizzato da Quirinio per sancire il definitivo passaggio di questa regione sotto la diretta dipendenza dell’amministrazione romana, a determinare l’insurrezione di Giuda il Galileo, (Cf. At 5, 37). La pace è il dono di Dio che gli uomini ricevono quando scoprono di essere amati da Dio. Il bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia è il segno dell’amore di Dio verso gli uomini. Egli viene incontro a noi nelle vicende della storia, soprattutto quelle che appaiono come ingiustizie perpetrate da chi detiene il potere. Giuseppe e Maria si adattano alla realtà trovando il modo, nell’obbedienza, di compiere il bene. I pastori sono coloro che vegliano di notte all’aperto vigilando sul gregge. Essi richiamano la funzione dei profeti che, come sentinelle, sono attenti ai pericoli che possono minacciare il gregge ma che scrutano l’orizzonte per cogliere i segni del sorgere nel nuovo giorno (Is 21,8). I pastori richiamano alla mente uno di loro, il piccolo Davide, chiamato da Dio non solo a pascere il proprio gregge ma il popolo d’Israele.

La terza scena (vv. 15-20) racconta l’incontro tra i pastori e la famiglia di Nazaret. Il ritorno in cielo degli angeli sancisce la conclusione della loro missione nella quale era stata annunciata la nascita del Salvatore, era stato dato il segno e, infine, era stato intonato un inno di lode. Nell’indicazione del segno era implicito l’invito ad andare a Betlemme per cercare il bambino. Il messaggio angelico suscita nei pastori la gioia, comunicata dal Vangelo, che li spinge a fare un pellegrinaggio verso la città di Davide con desiderio di ri-conoscere ciò che il Signore ha fatto conoscere per mezzo degli angeli. L’evento (letteralmente: la parola-azione accaduta) appreso va compreso mediante una esperienza diretta. La visione angelica induce i pastori a mettersi in cammino seguendo le indicazioni offerte dal segno. La ricerca li conduce alla mangiatoia intorno alla quale ci sono Maria e Giuseppe che vegliano il bambino neonato. I pastori si rendono conto che il vangelo ricevuto è qualcosa di estremamente concreto come lo sono le persone nella cui vita prende forma la salvezza. La parola di Dio non è una teoria immaginifica o la proiezione onirica delle umane aspirazioni ma è un fatto storico visibile e udibile come lo può essere un bambino che dorme in braccio alla sua mamma. I pastori diventano testimoni della credibilità del vangelo che getta luce sull’opera della salvezza condotta da Dio. L’annuncio del Vangelo apre gli occhi della mente e li illumina con la fede per vedere in maniera intelligente la realtà e cogliere Dio all’opera. Il dono della gioia apre il cuore per tradurre la speranza in cammino di ricerca, per fare esperienza della Parola, per realizzare l’incontro con il Mistero. Gli occhi dei pastori vedono un bambino nella mangiatoia, il loro cuore crede che sia il Salvatore, la loro bocca narra riecheggiando la parola del Vangelo che hanno ascoltato e contemplato. Catechizzando coloro che incontrano attraverso il racconto della loro esperienza, i pastori diventano testimoni di fede ed evangelizzatori. Il Vangelo proclamato dai pastori non è una favola artificiosamente inventata che alimenta attese illusorie ma è una parola vera che suscita meraviglia perché in essa c’è la fede, ovvero la voce di Dio. Per molti le parole dei pastori suonano come una novità assoluta. Per Maria, che già era stata evangelizzata dall’angelo Gabriele, le parole dei pastori le giungono come una conferma. Ella ascolta la Parola, la custodisce e la medita. Come i pastori che all’aperto vegliavano sul gregge, anche Maria custodisce con fare protettivo la Parola di Dio che diventa evento. La sua maternità non si è compiuta nel momento del parto, ma richiede di essere ancora maturata. Non è tutto chiaro nel cuore di Maria nel quale rimangono aperti tanti interrogativi: che sarà di questo figlio? Come si realizzerà la promessa messianica di Dio ribadita dagli angeli? La Pasqua di Gesù sarà la risposta definitiva alle domande degli uomini che, ponendosi con fede a servizio di Dio, ricercano la sua volontà e la attuano nella carità fraterna. La fede non può ridursi a conoscenza di cronaca o a speculazione mentale, ma essa matura nell’esperienza diretta dell’amore che si fa realtà nella carne delle persone. Solo la fede incarnata nelle relazioni diviene esperienza di gioia intima e profonda che fa sgorgare dal cuore canti di benedizione e di lode. I pastori, gente umile e semplice, che conoscono la fatica della vita e del lavoro, diventano come gli angeli che intonano l’inno di gloria a Dio. Essi non ritornano semplicemente alla vita di prima ma partono dalla mangiatoia di Betlemme portando negli occhi e nel cuore il segno dell’amore di Dio, seme e luce di speranza per tutti gli uomini.

Meditatio

La mangiatoia del cuore

Ogni nascita è una festa perché alle grida di dolore per le doglie del parto segue il pianto liberatorio del neonato che canta la vittoria della vita sulla morte. Nel bambino Gesù è annunciata l’iniziativa di Dio che viene per riscattarci dalla schiavitù del peccato e renderci figli suoi. Al di là delle luci che rendono allegre le strade centrali delle città, brulicanti di gente alla ricerca dei regali da fare o degli acquisti per le cene e i pranzi festivi, appena fuori dal recinto commerciale, c’è un mondo in cui l’ansia e la paura la fanno da padroni. Spesso siamo abbagliati dalle lusinghe pubblicitarie e da modelli che ci suggeriscono stili di vita in dissonanza e in distonia con il desiderio di amore che portiamo nel cuore. La cultura dominante ci induce a credere che si può diventare adulti, liberi ed emancipati, nello stesso modo con cui si allevano gli animali per renderli pronti alla macellazione nel più breve tempo possibile per soddisfare la richiesta sempre crescente della fame insaziabile di pochi. Mentre siamo distratti da mille preoccupazioni mondane e dai nostri sogni di grandezza, Dio ci mostra un bambino che giace inerme nella mangiatoia. È lui il segno che offre alla nostra contemplazione. Non si tratta di fissare lo sguardo perso nel vuoto di verità astratte, ma di guardare innanzitutto dentro di noi, lì dove il Signore ha posto la sua dimora. La mangiatoia, luogo più interno della dimora umana, altro non è che il nostro cuore, lì dove risuona la voce dello Spirito che, come i vagiti di bambino, chiede un po’ di attenzione nei suoi confronti. Ha da dirci una cosa tanto importante, quanto essenziale, per la nostra vita: Io ti amo. Non sono parole di circostanza, né rituali, o vuote di senso. Non c’è nulla di più semplice e di più vero delle parole che nascono da un cuore che ama liberamente e gratuitamente, come è appunto quello di Dio. Gesù, Parola di Dio, è la voce del Dio Bambino, che si è fatto debole con i deboli, povero tra i poveri, ha condiviso la fragilità e la precarietà della condizione umana caricandosi delle nostre infermità. La parola dell’amore che crea sgorga dal cuore amante di Dio. Solo l’amore crea. Egli, che fa sua la nostra debolezza perché sia nostra la sua forza, condivide con noi la nostra povertà per parteciparci l’infinita ricchezza della sua misericordia, ci chiede di accoglierlo. La creazione non è la produzione del mondo esistente ma è l’opera di Dio che sapientemente intesse la relazione familiare con tutte le sue creature. Egli non solo è il costruttore della Casa comune ma è Colui che vuole abitarla con noi. Facendosi figlio dell’uomo, Dio si fa servo dell’umanità perché coloro che si pongono al servizio di Dio siano rigenerati come suoi figli ed eredi della vita eterna. Nel Natale del Signore appare chiaramente lo stile con il quale Dio dialoga con l’uomo: non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non cerca il suo interesse… (1Cor 12). In un mondo in cui si gareggia ad ostentare la propria forza aggressiva, con tutto il carico delle conseguenze disastrose, e si invoca addirittura il favore divino per legittimare l’istinto di dominio che semina morte e sofferenza, Dio sceglie un’altra via per farsi vicino ed esercitare la sua sovranità. Scegli la via della povertà, della mitezza, della narrazione di sé mediante le parole silenziose dei suoi atti di misericordia. Non di rado la Parola di Dio cade nel vuoto o le lasciamo scivolare addosso. Maria, invece, è per noi modello di credente che custodisce nel cuore la parola di Dio e la medita permettendo ad essa di fruttificare in parole di lode, supplica e ringraziamento in gesti di solidarietà fraterna. A Dio che chiede di essere ascoltato e accolto, l’uomo risponde con la richiesta di ricevere il pane quotidiano della Parola che lo nutre, lo sazia e lo rende fratello e amico di tutti. Tanto più frequentemente ci accostiamo alla mangiatoia dell’altare per ricevere il nutrimento dello Spirito, tanto più gli occhi del cuore si apriranno per riconoscere e contemplare Dio lì dove eravamo abituati a vedere solamente il male e ad aprire la nostra bocca, non solo per nutrirsi dei beni della terra, ma anche per far uscire parole di lode, ringraziamento, perdono, consolazione, incoraggiamento e di speranza per tutti.

Oratio

Bambino Dio, nato nella grotta di Betlemme

da una giovane donna della Palestina,

pellegrina insieme al suo sposo Giuseppe

sulle strade accidentate

della faticosa obbedienza

alla volontà di Dio,

vieni e mostrati a noi che,

distratti da mille ansie e paure,

abbiamo lasciato cadere dal nostro cuore

la dolcezza della ospitalità,

che proviamo fastidio

sentendo le grida degli oppressi,

che erigiamo un muro d’indifferenza

per respingere le richieste per noi assurde

di chi ci sveglia dal torpore dell’anima

riportandoci indietro dal mondo dei sogni,

che chiudiamo la porta di casa

a chi bussa per chiedere asilo,

che neghiamo l’aiuto a chi,

stremato dalla fatica, implora umanità,

che voltiamo le spalle

a chi cerca il volto di un amico,

che giudichiamo dall’apparenza

e condanniamo il presunto reo

dimentichi del comune bisogno di perdono.

Perdendo la memoria di Te

abbiamo smarrito la via della pace.

Vieni, Luce delle Genti,

e raccogli tutti gli uomini dispersi

nell’unità di una rinnovata fraternità universale.

Vieni, Principe della Pace,

e trasforma le armi belliche

in strumenti di riconciliazione.

Vieni, Consolatore degli afflitti,

Speranza di chi confida in Te,

e sostieni con la forza della tua Parola

chi si fa carico della debolezza degli altri.

Vieni, Medico dell’anima,

e fascia le piaghe dei cuori

di chi ama senza essere amato,

Vieni, Difensore dei poveri,

e dona coraggio a chi lotta solitario

la battaglia della giustizia.

Vieni, Salvatore del mondo,

e liberaci dalla spirale del male.

Vieni, Pastore dei pastori,

e conducici dolcemente

ai pascoli della vita eterna.

Amen.