XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) – Lectio Divina
Am 8,4-7 Sal 112 1Tm 2,1-8

O Padre, difensore dei poveri e dei deboli,
che ci chiami ad amarti e servirti con lealtà,
abbi pietà della nostra condizione umana,
salvaci dalla cupidigia delle ricchezze
e aiutaci a ricercare
l’inestimabile tesoro della tua amicizia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del profeta Amos Am 8,4-7
Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Dio dà voce al grido del povero
Amos è uno dei profeti dell’VIII secolo che svolge la sua missione in un contesto nel quale l’ingiustizia sociale attraversa tutti i livelli della società. Israele, sfruttando la sua posizione strategica per gli scambi commerciali, viveva una situazione economica favorevole. Tuttavia, la ricchezza era in mano a pochi ricchi latifondisti, i quali fondavano la loro fortuna anche sulla speculazione. Tutto questo era accompagnato anche dall’ostentazione di una religiosità rituale ma assolutamente vuota di valori autentici. Agli occhi degli uomini non appare ciò che invece vede Dio, perché Egli scruta i cuori e ascolta i ragionamenti nascosti degli empi. Il profeta presenta il giudizio contro la classe dei commercianti: condanna quelli disonesti e la loro avidità e ipocrisia. Con lo sviluppo della cultura urbana nel regno del Nord, molti agricoltori sono rimasti senza terra, cioè senza campi da lavorare, e perciò di conseguenza dipendevano dai commercianti che vendevano loro il cibo. Ci sono sette accuse. Il numero sette può simbolicamente riferirsi a totalità, e perciò l’elenco di queste sette azioni di ingiustizia commesse da questo particolare gruppo di persone può essere considerato come un inventario completo dei crimini contro i poveri e i bisognosi. Amos denuncia una disintegrazione della comunità a livello economico-giuridico. La mercificazione della persona fa dell’economia il valore supremo e questa situazione produce disordine, oppressione e violenza. Non solo si distrugge l’essere umano facendolo diventare schiavo, ma lo si svuota dalla sua anima, dalla sua dignità umana in quanto creatura tra le creature di Dio. Questo è la rovina del rapporto di fraternità che deve esistere tra fratelli. Il profeta perciò cerca di ripristinare i rapporti che caratterizzano Israele come comunità, come popolo di Dio. Questo testo ci dimostra di conseguenza lo spirito mondano. Il profeta Amos condanna con forza l’atteggiamento del mondo, che è sempre alla ricerca del profitto, invece di esser alla ricerca della giustizia e della verità. Lo spirito mondano è quello di chi non ha nessuna pietà per i poveri, di chi sfrutta la loro situazione a proprio vantaggio.
Salmo responsoriale Sal 112
Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 1Tm 2,1-8
Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
La preghiera, contributo per la salvezza universale
L’apostolo dei pagani indica a Timoteo nella liturgia un aspetto caratteristico della vita cristiana. Più che di riti o sacrifici Paolo suggerisce le varie forme di preghiera il cui respiro è universale tanto quanto lo è l’afflato di Dio. La preghiera non è semplicemente un fatto individuale ma è un modo per connettersi, mediante la relazione con Dio, con il mondo intero. Attraverso la preghiera si esercita la missione universale della carità. Se c’è una comunione nella preghiera ci sono i presupposti anche per una vita pacifica e serena. L’esempio della preghiera la dà Gesù stesso che è mediatore tra Dio e gli uomini. Egli non solo ha pregato ma si è fatto preghiera, sacrificando sé stesso sulla croce per fare di tutti una sola famiglia unita e concorde nel vincolo della carità.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 16,1-13
Non potete servire Dio e la ricchezza.
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Lectio
La giustizia è la misericordia verso i fratelli debitori
Dopo le parabole dette «della misericordia», del capitolo 15, l’evangelista ne pone sulla bocca di Gesù altre due, riprendendo alcuni temi presenti in quelle precedenti, con particolare attenzione all’uso della ricchezza. Sullo sfondo delle due parabole del cap. 16 c’è la prospettiva escatologica dell’ora finale del giudizio. Una serie di insegnamenti (vv. 10-18) del Maestro che si rivolge ai suoi discepoli, sono incorniciate dalle due parabole (vv.1-9.19-31). Con i racconti del capitolo 15 Gesù replica ai farisei e agli scribi che lo accusavano di accogliere i pubblicani e i peccatori; a questi ultimi sembra essere rivolta anche quella che inaugura il capitolo 16 e che è in continuità con le precedenti. Infatti, essi, come l’amministratore accusato di essere disonesto con il suo padrone, sono chiamati a leggere l’atteggiamento di Gesù nei loro confronti come un giudizio e un avvertimento. La misericordia non è accondiscendenza al male, ma è un appello forte e stringente a cambiare stile di vita e priorità. Dunque, la pericope liturgica di questa domenica contiene la prima delle due parabole (vv. 1-9) e la prima parte delle istruzioni (vv.10-13). Il racconto è introdotto dalla presentazione dei due personaggi principali: l’uomo ricco e il suo amministratore; in secondo piano ci sono i detrattori dell’economo e i debitori del padrone. L’uomo ricco, recepita l’accusa rivolta all’amministratore di dissipare i suoi beni, lo convoca affinché dia conto del suo operato, preannunciandogli la fine della sua amministrazione. Le due figure ritornano alla fine del racconto nel quale il «signore» loda la scaltrezza dell’economo disonesto. La reazione del padrone viene ripresa da Gesù per l’insegnamento rivolto ai suoi discepoli. Il centro della parabola sta nel descrivere la «intelligenza» dell’amministratore che davanti ad un cambiamento importante della propria vita, affronta la crisi come un’opportunità. L’economo non si lascia vincere dalla paura e non si preoccupa tanto della sua reputazione quanto del suo destino. Da qui nasce la domanda: «cosa farò?». Non finisce tutto con la conclusione del suo ministero ma c’è un oltre e un’altra realtà che intende preparare affinché non rimanga solo ma ci sia qualcuno che lo «assuma» e lo «accolga» in casa. Le parole del padrone mettono l’amministratore davanti alle sue responsabilità ma anche alla realtà dei fatti: egli deve lasciare l’amministrazione. L’amministratore disonesto, come il figlio minore della parabola precedente sperpera i suoi averi. L’uso dei beni è finalizzato al godimento. Arriva il momento in cui il meccanismo s’inceppa, il figliol prodigo finisce in miseria e deve ripiegare a pascolare i porci senza però ricevere nulla, l’amministratore disonesto sta per finire sulla strada. Davanti a questa crisi profonda in cui vengono meno le certezze fondate su ciò che si possiede, sia il figlio minore che l’amministratore reagiscono. Il primo pur di essere accolto di nuovo nella casa del padre è disposto a rinunciare al proprio essere figlio e a diventare uno dei servi, l’amministratore rinuncia al suo onorario per guadagnare l’amicizia dei debitori. Nella parabola del Padre misericordioso il figlio non solo viene accolto, ma è elevato alla dignità di re con la veste più bella, l’anello e i sandali. Nella parabola successiva il padrone loda il suo amministratore e si potrebbe intuire anche che lo riabilita. Le due parabole offrono due punti di vista diversi riguardo all’esperienza della misericordia.
L’oracolo di Amos (prima lettura) è un duro atto d’accusa a coloro che agiscono senza il timore di Dio e il rispetto del prossimo. L’avidità e l’arroganza umiliano i poveri la cui condizione grida giustizia al cospetto di Dio. Egli interviene per salvare non solo i poveri, ma anche i malvagi perché, come afferma Paolo nella seconda lettura, Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Il padrone non punisce immediatamente il suo economo ma gli offre un tempo entro il quale fare una verifica del suo operato, non solo per riconoscere i propri errori ma soprattutto per cambiare stile di vita. Effettivamente dal suo ragionamento emerge un cambiamento di prospettiva di vita: non è solo concentrato sul presente, ma ancora di più si preoccupa del futuro. Comprende che la via d’uscita dalla crisi passa attraverso il rapporto con i debitori del suo padrone. Egli non li tratta da creditore, che inflessibilmente esige il dovuto, ma da amico che rinuncia alla «commissione» dovuta per alleggerire il peso del debito.
La lode del padrone non toglie nulla alla colpevolezza del suo amministratore, ma sottolinea il fatto che si è rivelato scaltro perché ha affrontato la questione della salvezza con intelligenza. In questo l’economo ha dato dimostrazione della capacità di convertirsi cambiando modo di ragionare, priorità, prospettive di vita e criteri di scelta.
La salvezza non consiste nel ristabilimento solamente della relazione con Dio, ma anche di quella con i fratelli. Se davanti a Dio bisogna riconoscere il proprio peccato, nei confronti dei fratelli è necessario con-donare i loro debiti. L’amministratore, messo alle strette, comprende che la vita si gioca sulle relazioni personali per le quali bisogna investire ogni bene.
L’amministratore è l’immagine dell’uomo al quale viene rivelato che attraverso la porta stretta si passa solamente con le cose che rimangono: l’amicizia e l’amore. La conversione di quest’uomo consiste nel decentrare la sua attenzione dalle ricchezze e concentrarla sulle persone, soprattutto quelle più vicine.
Nei vv. 10-13 Gesù approfondisce il discorso invitando a passare dalla valutazione dell’operato dell’amministratore alla verifica del proprio servizio. Gesù intende mostrare ai suoi discepoli che c’è un legame circolare tra l’intelligenza pratica (scaltrezza) e l’intelligenza della fede. Due massime sapienziali (v. 10. 13) incorniciano due domande retoriche (vv. 11-12). La questione verte sulla affidabilità e credibilità del servo. Il discepolo di Gesù, come il suo Maestro, è servo che sempre deve verificare la sua fedeltà o ingiustizia in base al criterio dell’appartenenza. Infatti, come non si può stare con due piedi in una scarpa, così non si può appartenere a due padroni. Qui è in gioco il primo comandamento della Legge che gli scribi e i farisei conoscevano bene, lo professavano con la bocca ma lo contraddicevano nelle intenzioni e nelle opere. Come Dio è uno così deve essere anche l’amore a lui e la scelta di servirlo nella fedeltà e obbedienza. La fedeltà all’unico Dio si traduce nelle opere di giustizia a vantaggio dei poveri, soprattutto quando questa ispira la rinuncia ai beni terreni; al contrario, l’ingiustizia, che a volte si nasconde tra le pieghe dei “servizi” religiosi, nasce dall’orgoglio autoreferenziale che allontana da Dio e fa cadere nell’ateismo pratico e nella schiavitù dai beni terreni. Essere fedele significa riconoscere a Dio il primato nelle piccole e nelle grandi cose, confidare in lui nelle piccole e nelle grandi prove, ringraziarlo per i doni piccoli e le grandi.
Gesù chiama «mammona ingiusta» le cose di questo mondo che, elette come «idolo», seducono, danno l’illusione di rendere felici o addirittura onnipotenti, ma poi riducono l’uomo alla condizione di schiavo, impoverito, abbandonato. La ricchezza usata per il piacere personale svuota di entusiasmo, creatività e vitalità. Se i beni terreni sono usati per fare festa nella condivisione ed essere accolti da fratelli, allora essi sono uno strumento per giungere alla salvezza. La questione non riguarda solo l’uso delle ricchezze ma un punto ancora più profondo e radicale: in chi credo, a chi affido la mia speranza, da chi mi lascio guidare, da Dio o da mammona? È dalla risposta a questa domanda che dipende anche quella all’interrogativo che sorge, soprattutto nelle prove della vita e davanti a situazioni che interpellano e inquietano la coscienza personale: Che devo fare?

Meditatio
La santa furbizia e l’intelligenza della fede
Nella loro durezza, le parole di Amos affermano che Dio non è insensibile davanti all’ingiustizia perpetrata ai danni dei poveri. La forza con la quale il profeta annuncia la condanna dei peccatori traduce l’indignazione di Dio proporzionata alla gravità delle umiliazioni che i poveri subiscono a causa degli ingiusti. Tali sono i ricchi che tentano di nascondere dietro una parvenza di perbenismo religioso i loro ragionamenti pieni di avidità e spregiudicatezza. Non si tratta di errori isolati ma di un’abitudine al male che rende impossibile il perdono. Sicché, dice Amos, Dio non può dimenticare il peccato contro i poveri che diventa come coltello girato nella piaga. La stessa determinazione la si trova nella decisione del padrone di cui si narra nella parabola evangelica. Egli, venuto a conoscenza della truffa perpetrata ai suoi danni da parte dell’amministratore, chiede che dia conto del suo operato prima di licenziarlo. La scaltrezza dell’amministratore consiste nel trasformare la giusta punizione per i suoi errori in una opportunità di riscatto. La crisi che si viene a creare fa del condannato un salvato. È avvenuta una conversione. Per quell’uomo i debitori non sono più oggetti da sfruttare e su cui speculare, ma persone di cui conquistare l’amicizia e la simpatia. Il cambiamento dell’amministratore rivela la positività dell’effetto educativo della punizione. Il funzionario passa dall’essere biasimato all’essere lodato. La conversione consiste nel cambiamento di mentalità che determina un nuovo stile di relazione con gli altri. L’amministratore della parabola rappresenta chiunque comprende che è giunto il tempo nel quale non deve più pensare solo a sé stesso e al proprio profitto ma si deve impegnare in rapporti umani più forti e maturi. Prima della conversione l’amministratore col suo atteggiamento contribuiva a creare povertà, dopo, riscattatosi dalla logica dell’avidità, si fa strumento di liberazione per i poveri affogati dai giochi di potere commerciale ed economico per restituire loro la dignità.
Siamo amministratori di una ricchezza che non è nostra ma ci viene affidata affinché ne possiamo disporre per creare e rinsaldare legami di fraternità nella solidarietà. I titoli, gli onori, la ricchezza materiale sono destinati a finire e arriva prima o poi il momento nel quale dovremmo rendere conto del nostro operato. È opportuno che quotidianamente ci poniamo davanti a Dio per esaminare la coscienza, riconoscere di essere peccatori ma anche trovare ispirazione nel vangelo per essere creativi nel bene. San Paolo, scrivendo al suo discepolo Timoteo, suggerisce di elevare le mani per pregare affinché tutti possano salvarsi ed entrare nella comunione della Chiesa. Quando si agisce seguendo solo la propria volontà si alzano muri d’incomunicabilità che dividono, contrappongono e disperdono le persone. La preghiera, fatta con gli stessi sentimenti di Cristo che è morto ed è risorto per riconciliarci tutti con Dio, abbatte ogni barriera e permette di costruire ponti di comunione e di solidarietà tra fratelli.
Oratio
Signore Gesù,
dona ai tuoi discepoli la saggezza del cuore
perché, rinunciando all’orgoglio e all’avidità,
possiamo cogliere l’opportunità,
che ci è offerta per i meritati castighi,
di investire tutto sull’amicizia fraterna.
C’ insegni a non fermarci
alla critica e al giudizio del disonesto
ma ad imitare la sua creatività,
non per speculare sui poveri,
ma per imparare a finalizzare le rinunce
al bene superiore della comunione fraterna.
Donaci l’“intelligenza” dello Spirito
non per accumulare beni caduchi,
ma per rinsaldare il legame di amore con i fratelli,
e in questo modo, garantirci con la vita eterna,
i beni che non periscono.
Signore Gesù,
aiutaci ad essere buoni amministratori dei carismi
dei quali ci fai dono, perché possiamo servirti
in modo lodevole e degno
rimanendo fedeli alla missione che affidi
ad ogni battezzato di essere nel mondo
segno della bontà misericordiosa di Dio.
Liberaci dalla tentazione di confidare in noi stessi
e purifica il nostro cuore dall’ipocrisia.
La tua Parola formi le nostre coscienze
per poter discernere tra le seduzioni del mondo,
che incita alla vanagloria e all’opportunismo,
e i consigli dello Spirito che, invece,
suggerisce sentimenti, parole e azioni
che alimentano la speranza,
accrescono la fede e concretizzano la carità. Amen.

Commenti recenti