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SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO B) – Lectio divina

O Dio, nostro creatore e Padre,

tu hai voluto che il tuo Figlio

crescesse in sapienza, età e grazia

nella famiglia di Nazaret;

ravviva in noi la venerazione

per il dono e il mistero della vita,

perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro della Gènesi Gen 15,1-6; 21,1-3

Uno nato da te sarà tuo erede.

In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».

Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».

Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

Un dialogo critico ma fruttuoso

La pericope è composta di due brani distinti: il primo preso dal cap.15 in cui Dio promette ancora ad Abramo un figlio che sarebbe nato da Sara, sua moglie, mentre il secondo è tratto dal cap. 21 in cui si narra finalmente il compimento della promessa che non è solo per Abramo ma anche per Sara. Entrambi avevano perso ormai la speranza e Dio la riaccende in loro incontrando accoglienza anche se è non senza difficoltà.

Il rifiuto opposto alla tentazione rappresentata dal re di Sodoma vale ad Abramo un altro impegno solenne del Signore che gli promette una ricompensa molto grande. Il Patriarca ribatte però con amarezza ribadendo il fatto che a nulla servono le ricchezze senza un figlio. Davanti all’impazienza di Abram Dio lo rassicura del fatto che egli riceverà un figlio uscito dalle sue viscere. Il Signore aggiunge che il figlio di Abramo sarà il capostipite di una discendenza numerosissima.

Abram continua, nonostante la lamentazione che rivolge a Dio, ad accordagli fiducia. Questo atteggiamento è riconosciuto dal Signore come giusto.

Dio continua parlando della terra. Innanzitutto, YHWH rivela che lui ha iniziato ad agire nel nascondimento già da quando era a Ur dei Caldei ispirando a Terach, suo padre, di uscire da quella terra. Nel suo cuore Dio aveva messo il desiderio di libertà. Solo attraverso una graduale rivelazione Abramo comprende anche il senso di un viaggio la cui meta non è il possesso della terra ma un dono ancora più grande, quello di essere fecondo.

Dio dunque rende feconda Sara ed è grazie alla fecondità ritrovata che abramo può vedere realizzata la promessa di Dio tanto attesa. La visita di Dio a Sara era stata anticipata da quella dei tre angeli alle querce di Mamre. L’ospitalità e la disponibilità al servizio di Abramo e Sara apre la strada al compimento della Parola.  

Salmo responsoriale Sal 104

Il Signore è fedele al suo patto.

Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,

proclamate fra i popoli le sue opere.

A lui cantate, a lui inneggiate,

meditate tutte le sue meraviglie.

Gloriatevi del suo santo nome:

gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

Cercate il Signore e la sua potenza,

ricercate sempre il suo volto.

Ricordate le meraviglie che ha compiuto,

i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,

voi, stirpe di Abramo, suo servo,

figli di Giacobbe, suo eletto.

Si è sempre ricordato della sua alleanza,

parola data per mille generazioni,

dell’alleanza stabilita con Abramo

e del suo giuramento a Isacco.

Dalla lettera agli Ebrei Eb 11,8.11-12.17-19

La fede di Abramo, di Sara e di Isacco.

Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.

Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

La fede dei padri e delle madri d’Israele

Abramo, Sara e Isacco sono presentati dall’autore della lettera agli ebrei come modelli di credente. La fede di Abramo si traduce nell’obbedienza a Dio che gli chiede prima di lasciare la terra sulla quale abitava e poi di offrire Isacco, il figlio amato. Anche Sara, cosciente del fallimento delle scelte fatte di propria iniziativa, come quella di “prestare” la sua schiava Agar perché Abramo diventasse padre di un figlio naturale, cede a Dio e si fida della promessa. La sua fede, senza la pretesa di garanzie, diviene la condizione essenziale perché la Parola di Dio si possa realizzare. La fede è rinuncia alla tendenza autoreferenziale del proprio io per confidare nel Signore e consegnare la propria vita a Lui per riceverla nuovamente rigenerata e feconda. Nella rilettura che Paolo fa nella lettera ai Galati, Isacco è il discendente mediante il quale poi viene una discendenza numerosa che s’identifica col popolo d’Israele. Isacco, il figlio amato, donato da Dio ai credenti Abramo e Sara, viene da loro offerto al Signore per essere riconsegnato come patriarca a tutto il popolo. In questo senso Isacco è anticipazione di Gesù, figlio dell’ l’uomo e figlio di Dio, donato dal Signore al mondo e che egli stesso si consegna per riscattare l’umanità dalla sterilità del peccato. Gesù, figlio amato, primogenito, è, come Isacco, il capostipite del nuovo Israele, la Chiesa di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 2,22-40

Il bambino cresceva, pieno di sapienza.

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

LECTIO

Contesto

Luca dedica la prima parte della narrazione evangelica alla presentazione del protagonista della vicenda usando la tecnica del confronto tra Gesù e Giovanni Battista. Si contano tre comparazioni. Nella prima si chiarisce la distinzione d’identità e missione tra i due, l’uno è precursore mentre l’altro è il Messia. Il secondo confronto riguarda la nascita; quella di Giovanni è un evento festoso che coinvolge tutti, mentre quella di Gesù è avvolta dal silenzio ed è rivelata dagli angeli ai pastori. Alla circoncisione di Giovanni termina il mutismo di Zaccaria che si esprime benedicendo Dio con un cantico di lode, mentre al momento della circoncisione di Gesù è l’anziano Simeone a intonare un inno di ringraziamento. Sia Zaccaria che Simeone sono ispirati dallo Spirito. La terza comparazione riguarda Gesù e il Battista ormai adulti che s’incontrano al Giordano in occasione del battesimo. Giovanni è il «profeta» mentre Gesù è il «Figlio di Dio».

Struttura

L’episodio della presentazione al tempio è suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali è caratterizzata dai personaggi differenti: Nell’episodio della purificazione (vv.22-24) vi sono i genitori e Gesù; nella seconda parte (vv. 25-35) sopraggiunge Salomone che benedice Dio e i genitori di Gesù intonando l’inno (vv. 29-32); nella terza parte entra in scena Anna che pronuncia la sua benedizione (vv. 36-38). La narrazione è conclusa con il ritorno della santa famiglia a Nazaret (vv. 39-40). Il cuore del racconto sono le parole di Simeone e Anna riguardanti Gesù.

Spiegazione

L’evangelista Luca ama i dittici accostando al personaggio maschile uno femminile. Due coppie di personaggi fanno da cornice al bambino Gesù: Giuseppe e Maria, da una parte e Simeone e Anna, dall’altra. Sullo sfondo rimane il Tempio che è lo spazio nel quale avviene il rito della presentazione di Gesù e l’incontro con i due «profeti». Poco si dice dei coniugi ( che all’inizio non vengono neanche menzionati) mentre ai personaggi che si trovano al centro della vicenda è riservato un trattamento diverso. La caratterizzazione dei due personaggi più anziani è più dettagliata. Di Simeone l’evangelista rivela il suo mondo interiore e la sua spiritualità mentre ad Anna è riservata una descrizione esteriore. L’attenzione maggiore è per Simeone al quale Luca dà anche la parola per benedire Dio e i genitori di Gesù. Si mettono in evidenza le conseguenze della venuta del Messia, non solo a proposito di se stesso o del popolo d’Israele, ma per tutti gli uomini e per Maria. Delle parole di Anna il lettore conosce ciò che riferisce l’evangelista. Simeone e Anna hanno in comune il fatto che sono pii Israeliti, attendono il compimento delle promesse divine, sono ispirati nel parlare e nel benedire, riconoscono nel segno del bambino la visita di Dio.

L’incontro delle due coppie di personaggi attorno a Gesù rivela anche l’incrocio di due intrecci narrativi, quello di risoluzione che verte attorno al rito della purificazione e del riscatto del primogenito e quello di rivelazione che anticipa alcuni aspetti dell’identità del bambino Gesù. L’intreccio di rivelazione inizia con l’accenno alla purificazione rituale di Maria e la presentazione di Gesù. Nessuno di questi riti viene narrato. Questo silenzio rimanda all’evento della Pasqua quando Gesù, offrendo se stesso sulla croce, purifica con il suo sangue versato a riscatto di tutti gli uomini peccatori. L’intreccio narrativo di risoluzione che riguarda Simeone viene introdotto con la descrizione della sua spiritualità caratterizzata dall’ascolto dello Spirito. La tensione che si crea tra la promessa e l’attesa del Messia si sciole nell’incontro con il bambino Gesù. Egli, prima ancora di essere il primogenito di Giuseppe e Maria, è l’Unigenito Figlio di Dio: è i«l figlio amato». Il rito della presentazione del primogenito da una parte confessava che il primogenito è consacrato a Dio, e a lui appartiene, e dall’altra era la richiesta del «riscatto» in modo da riceverlo come figlio. Il riscatto avveniva attraverso il pagamento di cinque sicli d’argento e la consegna di un agnello che però era sostituita dall’offerta di due tortore o giovani colombe, come prescriveva la legge per i più poveri. Maria e Giuseppe e la coppia Simeone e Anna sono chiamati giusti perché osservanti della legge con le sue prescrizioni. I genitori di Gesù sono poveri ma destinatari di un grande dono che supera le loro aspettative. Anche Simeone e Anna, essendo anziani sono poveri, soprattutto di spirito. Infatti, essi sperano nel riscatto del popolo d’Israele. La trama narrativa della presentazione di Gesù non trova una sua soluzione autonoma ma si fonde con quella di Simeone e Anna i quali riconoscono nel bambino la consolazione che essi attendevano. La trama si risoluzione s’intreccia con quella di rivelazione nella quale al rito del riscatto, operato da Giuseppe e Maria si sovrappone quello che Gesù avrebbe compiuto sulla croce liberando Israele e il mondo intero dalla schiavitù del peccato.

Il soggetto della trama di risoluzione e rivelazione è lo Spirito Santo. È lui che agisce in Simeone e Anna per animare la loro speranza e alimentare la fede, per muoverli ad andare incontro al bambino per profetizzare e testimoniare. La giustizia dei protagonisti della vicenda risiede non solo nell’obbedienza alla legge ma soprattutto nell’obbedienza allo Spirito.

L’inno di Simeone fa da pendant con quello di Zaccaria. La visita del Signore, annunciata «come sole che sorge dall’alto per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace», si compie al tempio. Il cantico di Simeone racchiude in sé i temi fondamentali che saranno sviluppati nel corso della narrazione del Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Il passaggio dalla situazione personale di Simeone alla prospettiva universale della salvezza si traduce nell’estensione dell’oggi, in cui si realizza la riconciliazione con Dio e la liberazione, da Israele al mondo intero, come testimonia l’ultimo discorso di Paolo agli anziani della comunità di Roma. Il «sole che sorge dall’alto» da una parte manifesta la gloria d’Israele, riscattato dal peccato, e dall’altro è luce che rivela e comunica a tutti gli uomini l’amore di Dio.

Simeone parla di Gesù chiamandolo «segno di contraddizione» per indicare che egli incontrerà ostacoli e gli verranno opposti rifiuti. La gloria di Dio non si fa strada tra successi e consensi ma tra atteggiamenti refrattari e ostili. Non sarà facile per Gesù discernere la volontà del Padre e obbedire allo Spirito. La stessa sorte toccherà a Maria e a chiunque accoglierà la sua sfida a seguirlo da discepolo sulla via della croce.

A conclusione dell’episodio l’evangelista pone un piccolo sommario che funge da transizione tra l’episodio della presentazione al tempio di Gesù e il suo ritrovamento, sempre nel tempio in mezzo ai dottori. Lì Gesù, ormai dodicenne e diventato «figlio del precetto», è lui stesso che inizia a prendere delle decisioni facendo discernimento sulla volontà del Padre suo. Luca dice che Giovanni (battista) cresceva e si fortificava nello spirito (1, 80), mentre di Gesù afferma che cresceva e si fortificava umanamente e spiritualmente sotto la guida dello Spirito. La «sapienza» indica la crescita di Gesù nella capacità di discernimento che si attua grazie all’assistenza divina. Gesù è presentato da Luca come un tipico «uomo di Dio» che si prepara alla missione che il Signore ha stabilito per lui.  

MEDITATIO

Iniziare, ripartire e rinascere

L’evangelista Luca pone gli eventi che racconta in un contesto di compimento. La nascita di Gesù avviene quando furono compiuti i giorni del parto, la circoncisione nell’ottavo giorno dalla sua venuta alla luce e la presentazione al tempio del bimbo, in quanto primogenito, al compimento del quarantesimo giorno. La legge di Mosè prescrive un tempo di purificazione prima di compiere il gesto liturgico dell’offerta. Perché questo tempo di purificazione e quale significato ha l’offerta a Dio del primogenito maschio?

La prima e la seconda lettura, presentandoci la figura di Abramo, Sara e Isacco ci aiutano a comprendere il significato di ciò che prescrive la legge di Mosè e quella del Signore. La storia delle origini offre la chiave di lettura per cogliere il significato di quella di Maria, Giuseppe e Gesù e anche il senso degli eventi che ci vedono protagonisti. Il libro della Genesi nei capitoli 11-25 racconta la storia di una coppia, Abram e Sarai, che intraprende un viaggio da Ur dei Caldei fino alla terra di Canaan in cerca di fortuna al seguito di Terach, padre di Abram. Sono dunque dei migranti. Questa coppia è segnata da una grave mancanza, quella dei figli, perché Sara è sterile. Lungo il cammino viene a mancare anche Terach. In questo contesto Dio si rivela per la prima volta ad Abram comandandogli di lasciare la terra e la casa di suo padre per riprendere il cammino guidato dalla sua parola. Dio gli promette di benedirlo e di benedire anche coloro che lo benediranno. Abram e Sarai obbediscono senza fiatare. È questa la fede di cui parla la Scrittura? No di certo! Ma la fede è innanzitutto dialogo, ascolto e risposta. Il dialogo con Dio educa al dialogo nella coppia. Nel brano della prima lettura Abramo si lamenta con Dio ed esprime la sua delusione per il fatto che l’impegno che Dio ha preso con Lui non l’ha mantenuto. Ecco un aspetto importante della fede di Abramo: la libertà di dire all’altro la propria delusione cioè che l’altro appare diverso da quello che aveva immaginato. Ma la fede è continuare a dialogare e mantenere una relazione in cui le differenze non sono annullate, ma accettate e integrate nella logica del dono, della benedizione.

La vicenda della coppia da cui verrà l’intero popolo d’Israele è un grande insegnamento che interessa ogni famiglia. È il racconto nel quale ognuno può leggere la propria storia di figlio, di coniuge e di genitore e nel quale s’inseriscono anche gli eventi che riguardano Maria, Giuseppe e Gesù. Il cammino di Abramo, Sara e Isacco, come quello di Giuseppe, Maria e Gesù, come quello ancora di ciascuno di noi è un pellegrinaggio nel quale strada facendo si viene educati, si cresce e ci si fortifica sostenuti e guidati dalla grazia di Dio. Quanto più cresce e si fortifica il rapporto con Dio, tanto più matura la relazione con gli altri e diventa veramente amore.

La purificazione di cui parla la legge di Mosé è il tempo nel quale fare tesoro dell’insegnamento che viene dalla storia del popolo a cui apparteniamo. È una storia nella quale Dio educa colui che ama con la sua benedizione affinché divenga lui stesso mediatore di benedizione per tutti. La benedizione ha la sua unica fonte in Dio e coincide con la vita. Giovanni nel prologo del suo vangelo dice che in Dio c’è la Vita e la vita è la luce degli uomini. La vita vera non è quella biologica la cui dinamica è legata a bisogni da soddisfare, ma è quella eterna, cioè è l’amore eterno di Dio che, in quanto tale è sempre generativo di altra vita.

La storia di Abramo e Sara è un cammino di purificazione ovvero di liberazione e rigenerazione nel quale da persone desiderose di un figlio diventano genitori generativi di una discendenza infinita. Si diventa genitori non quando nasce un figlio, ma quando lo si riconosce come dono di Dio da accogliere con umiltà e gratitudine e poi lasciarlo andare facendolo crescere nella sua capacità di diventare lui stesso un dono a Dio e ai fratelli.

La purificazione significa liberarsi e liberare, lasciare e lasciar andare. Abramo e Sara attraverso tante esperienze di vita fatte di cadute e riprese, vengono educati da Dio, che sempre li accompagna con la sua presenza, a «lasciare il padre e la madre» (Gn 2) per accogliersi reciprocamente nel rispetto delle proprie diversità senza la pretesa di una fusione che crea confusione. Si tratta di staccarsi da una mentalità che crea dipendenza e che strumentalizza l’altro in base ai propri bisogni. Abramo e Sara devono rompere quel legame che li lega ai loro genitori e che alimenta la possessività e l’egoismo. La formazione della propria personalità, ovvero la realizzazione della benedizione di Dio e la nostra vocazione, si sviluppa in un graduale cammino di trasformazione e di rottura con tutto ciò che ci trattiene negli schemi delle attese e dei bisogni propri e altrui. Fin quando Abramo non rompe definitivamente il suo legame col padre, dietro i limiti del quale nasconde la sua irresponsabilità e il suo egoismo, non diventa autenticamente padre, anche se ha generato ben due figli, Ismaele dalla schiava Agar e Isacco da sua moglie Sara.

La purificazione prima ancora che essere un itinerario di cambiamento morale è un cammino di fede che approda non all’ottenimento del figlio desiderato o dell’erede sperato, ma alla rigenerazione del cuore che trasforma in offerta il dono che ha ricevuto e così rigenera sé stesso.

Infondo è quello che dice Simeone a Maria riguardo a Gesù: egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

La spada è come il coltello che Abramo vibra in alto prima di sferrare il colpo col quale avrebbe sacrificato Isacco, il suo unigenito, quello amato. Come Abramo anche Maria non affonda la lama contro il figlio, ma nel suo cuore rompendo quei legami possessivi che l’avrebbero trattenuto tra i lacci delle proprie umane attese. Ecco che con quel gesto anche il cuore del genitore viene liberato dalle catene d’oro di un affetto possessivo e che non permette lo sviluppo della personalità del figlio ovvero la realizzazione della benedizione di Dio.

Come i quaranta giorni di Gesù nel deserto, condotto dallo Spirito ed essere tentato dal diavolo, sono la cifra simbolica di tutto il tempo della vita terra di Gesù durante il quale, come dice la lettera agli Ebrei, «ha imparato l’obbedienza dalle cose che patì», così quaranta sono i giorni che seguono la nascita ma anche la risurrezione del Signore prima della sua ascensione al Cielo.

La profezia di Simeone e Anna è parallela all’insegnamento di Gesù dopo la Pasqua (Lc 24). Entrambi permettono di entrare nel significato dell’evento della nascita e della Pasqua, ovvero della rinascita di Gesù e della nostra risurrezione. Come ai discepoli di Emmaus, così agli apostoli riuniti nel cenacolo, Gesù spiega la necessità della sua sofferenza e della sua morte per risorgere e farci rinascere con Lui dallo Spirito Santo, secondo le parole dei profeti, come quelle pronunciare da Simeone e Anna nel tempio. Essi avevano parlato di salvezza e di redenzione. Cosa sono se non il compimento della promessa di Dio di donarci lo Spirito Santo per essere testimoni di Gesù e, dunque, portatori della vita eterna, della Carità, a tutti.

Il progetto di Dio preannunciato ad Abramo si è realizzato in Gesù, il Benedetto e il Mediatore per tutti i popoli della stessa benedizione. Elisabetta riconosce nel bimbo, che è ancora nell’utero di Maria, il Benedetto, la folla che lo accoglie a Gerusalemme acclama «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» e il Risorto ascende al cielo benedicendo.

Concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo di Maria, Gesù è il figlio che Dio dona attraverso Maria a tutti gli uomini; alla sua nascita Dio rivela che quel figlio è una benedizione per tutti. Maria e Giuseppe, benedetti da Dio con il dono del bambino, accompagnano il loro figlio nel cammino di fortificazione e di crescita che lo porteranno a fare la scelta di rinunciare a tutto, di lasciare ogni bene fino alla morte, spogliazione completa di ogni cosa, per lasciarsi rigenerare dal Padre per la salvezza di tutti gli uomini.

Maria, immagine di ogni credente, riceve in sé la vita, non per trattenerla per sé, ma perché si lasci trasformare nel suo cuore al fine di partecipare con suo figlio Gesù alla sua morte e alla sua risurrezione, morire con lui e con lui rinascere.

L’amore benedetto è quello che è generato dalla morte al proprio istinto egoistico che confonde l’unione con la fusione, l’affetto con il possesso. Partire è morire se esso significa rinunciare alla logica della cupidigia che alimenta atteggiamenti di possesso, dominio e controllo. Questa è la condizione necessaria per realizzare la benedizione di Dio ed essere generativi, capaci cioè di lasciar andare e credere che ciò che fa crescere umanamente è la grazia di Dio che passa attraverso il proprio amore umile, grato e gratuito.

ORATIO

Signore Gesù,

Figlio amato del Padre

e primogenito dei figli della Chiesa,

i tuoi genitori ti hanno riconosciuto

e accolto come dono di Dio;

donaci un spirito da poveri

affinché possiamo aprire il cuore

alla novità di vita che sei venuto a portare.

Come Abramo sul monte Moria,

obbedendo alla richiesta di Dio,

ha offerto in sacrificio  Isacco,

come Anna ha restituito al Signore suo figlio Samuele

affidandolo a Lui per il servizio del Santuario,

anche Giuseppe e Maria, portandoti al tempio

ti hanno consacrato al Signore

per essere donato al popolo

quale servitore della volontà del Cielo.

Donaci lo spirito di obbedienza

affinché la nostra fede sia generata

dall’ascolto della Parola di Dio

che ci rende fecondi nella carità.

Tu che sei il sorriso di Dio,

aiutaci a non arrenderci alla delusione,

sostienici nelle prove 

che contraddicono i nostri progetti di vita

e alimenta il dono della speranza

per poterti riconoscere presente

nelle pieghe dell’esistenza umana

e nelle ferite della storia.

La tua tenerezza di bambino

vinca le rigidità dei nostri pregiudizi

e ci restituisca la semplicità dei piccoli

perché l’umiltà prenda il posto dell’orgoglio

la gioia soppianti la tristezza

il canto di lode mitighi le lacrime del dolore

e la nostra testimonianza sia veramente

annuncio gioioso e credibile

della tua salvezza. Amen.