XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) – Lectio divina
Sir 3,17-20.28-29 Sal 67 Eb 12,18-19.22-24

O Dio, che chiami i poveri e i peccatori
alla festosa assemblea della nuova alleanza,
concedi a noi di onorare la presenza del Signore
negli umili e nei sofferenti,
per essere accolti alla mensa del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del Siràcide Sir 3,17-20.28-29
Fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.
Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
l’umiltà è il segreto della felicità
L’autore del Libro del Siracide rilegge in chiave sapienziale tutta la tradizione biblica precedente. Fulcro del suo discorso è la sapienza: dono di Dio sempre offerto a coloro che egli ha scelto e provato; essa colma di beni coloro che l’accolgono docilmente e fa del saggio un veicolo di sapienza. Dio si comunica attraverso la Sapienza che forma l’uomo saggio e umanamente completo. Questa pericope è tratta dalle esortazioni che l’autore, come un padre attento all’educazione dei suoi figli, rivolge al discepolo. Non c’è traccia di un paternalismo autoritario che impone un codice di comportamento ma è un insegnamento che nasce dalla propria esperienza di «figlio della Legge», ad essa obbediente, e di discepolo «timorato di Dio». L’interlocutore sembra essere una persona che si è già incamminata nella via del Signore e che ha gustato sia il sapore amaro della correzione, sia quello dolce della consolazione. Ha raggiunto una buona posizione sociale e un certo benessere economico; da qui l’esortazione a coltivare la virtù dell’umiltà per non lasciarsi vincere dalla tentazione della superbia e dell’orgoglio, ovvero la presunzione di essere al di sopra di Dio e degli uomini. La ricerca della supremazia e del primato possono prendere il posto della sana ambizione a conoscere Dio ed essere conosciuti da Lui. La via maestra per essere umili è quella dell’esercizio della mitezza, ovvero la rinuncia all’uso di mezzi e strategie per occupare posti di prestigio oppure ottenere potere da utilizzare per i propri interessi. Il primato e la supremazia spettano a Dio che «abbassa i superbi e innalza gli umili» (cf. 1Pt 5,5), cioè fa fallire i progetti degli uomini avidi e ambiziosi e porta a compimento le speranze dei piccoli che si affidano alla provvidenza divina.
Salmo responsoriale Sal 67
Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.
I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.
Dalla lettera agli Ebrei Eb 12,18-19.22-24
Vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente.
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Introdotti nella comunità dei beati
L’autore della Lettera agli Ebrei ricorda la novità che Gesù Cristo è venuto a portare richiamando le vicende immediatamente successive al passaggio del Mar Rosso quando Israele fu guidato da Mosè al Monte Sinai per incontrare il Signore. Lì Dio si era rivelato con segni che incussero timore agli Israeliti, i quali non si ritennero degni di accostarsi al Signore. Per questo Mosè fu incaricato di essere loro profeta; anche lui ebbe timore che fu vinto dalla parola di Dio che lo invitava a salire. Mosè fece esperienza diretta di Dio ma senza la comunità alla quale poi riferiva le sue parole. Il profeta funse da mediatore tra Dio e il popolo che però rimaneva a debita distanza, impossibilitato ad avere un accesso diretto al Santo. Gesù, invece, è un mediatore diverso da Mosè, perché lui si è donato agli uomini e per gli uomini, affinché ognuno di essi potesse appartenere a pieno titolo a quella comunità dei santi – la Gerusalemme celeste – nella quale Dio ha la sua dimora. La Chiesa è la nuova Gerusalemme che ha Gesù Cristo, crocifisso e risorto, come suo tempio spirituale. Come racconta Giovanni, Gesù, stando in mezzo alla comunità, dice: «pace a voi» (Gv 20). Da qui l’invito dell’autore della Lettera a conservare la comunione tra i membri della Chiesa quale segno visibile della presenza centrale di Cristo in mezzo ad essi. Quanto più i fratelli e le sorelle si amano, tanto più la Chiesa si fonda in Cristo, suo capo e fondatore.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 14,1.7-14
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Lectio
Nella tradizione ebraica il sabato è un giorno di festa non soltanto perché ci si ferma dal lavoro ma soprattutto perché il tempo, liberato dalla fatica, è vissuto nell’incontro familiare con Dio e i fratelli. Nel lavoro, infatti, in un certo qual modo si lotta per conquistare il pane con il sudore della fronte e quindi è sinonimo anche di sofferenza. Come in ogni battaglia, si compete, si cerca di strappare la preda all’avversario, cioè si ragiona e si vive in una tensione tale che appaiono inevitabili contrasti e litigi.
Il sabato è festa non solamente perché è tempo libero ma è il tempo della libertà nel quale ritornare ad apprezzare la bellezza dell’umanità vissuta nella fraternità. La liturgia nella sinagoga ha il compito di riaffermare la centralità della Parola di Dio che, come padre premuroso, convoca, invita e riunisce i suoi figli attorno a sé nel banchetto. Il pranzo festoso che segue la liturgia vorrebbe portare nella vita concreta, nel tessuto delle relazioni quotidiane, ciò che si è celebrato. S’innesca un circolo virtuoso nel quale dalla liturgia, in cui i figli godono della provvidenza di Dio, si passa alla vita nella quale i fratelli condividono i beni ricevuti dal Padre. Questo passaggio richiama quello attraverso la porta stretta, di cui parlava Gesù nel vangelo di domenica scorsa.
Nella pagina evangelica di questa domenica c’è un passaggio che viene saltato ma che varrebbe la pena richiamare per comprendere le parole di Gesù.
Mentre è in casa del fariseo che lo sta ospitando per il pasto, Gesù nota un uomo malato di idropisia, malattia che comporta dei gonfiori per accumulo di liquidi. Quando si apre umilmente il cuore per ascoltare il Padre, e da lui essere istruiti, si acquista la capacità di vedere le cose come le vede Dio stesso. Nella liturgia si contemplano le Sue grandi opere; si esce da essa cercando Dio lì dove Lui ha scelto di abitare. Gesù, uscito dalla sinagoga, entra a casa di un uomo per il pranzo. Lì nota uno dei “piccoli”, uno di quegl’ “invisibili” agli occhi di coloro che cercano la gloria mondana. Quell’uomo non avrebbe dovuto essere lì con gli altri perché la malattia, vista come uno stigma punitivo di Dio per il peccato, era una condizione che costringeva la persona a stare ai margini della comunità per non avere contatti con alcuno. Gesù lo fa uscire dall’anonimato, dall’indifferenza e lo pone al centro dell’attenzione. Sì, solo chi passa attraverso la porta stretta dell’umanità sa piegarsi e vedere coloro che sono invisibili ai più. Spesso ci si nasconde dietro l’alibi di non poter far nulla per risolvere il problema. In realtà basta ridare alla persona la dignità che merita attraverso il piccolo gesto della compagnia, dello stargli accanto, del scegliere il posto dietro l’ultimo.
Gesù lo prende per mano, lo guarisce e lo lascia andare. Il gesto di Gesù è silenzioso ma eloquente perché compie ciò che è stato udito nella sinagoga. Nella liturgia si ascolta ciò che Dio dice e fa per l’uomo, nella vita l’uomo replica nei confronti dei suoi fratelli ciò che Dio fa per lui. Gesù offre nella paternità amorevole la chiave di lettura della Parola di Dio che è sempre un evento di salvezza. Guarire è restituire all’uomo la capacita di relazione e la possibilità veramente di fare festa.
Tornando alla pagina del vangelo di questa domenica, Gesù nota come “i chiamati alla festa” scelgono i posti migliori, quelli più centrali. Gli invitati cercano di avvicinarsi al padrone di casa e agli ospiti di maggiore riguardo, che di solito erano i capi religiosi. In questa corsa non mancano le lotte per occupare i posti più ambiti.
Da qui il duplice insegnamento di Gesù che parte richiamando implicitamente ciò che si era celebrato nella sinagoga e ciò che era accaduto poco prima con la guarigione della persona malata.
Scegliere l’ultimo posto non è un semplice stratagemma per realizzare la propria ambizione, travestendola di falsa umiltà. Si tratta invece di uno stile di vita che rivela di aver ben assimilato quello che Dio ha detto e fatto nella liturgia: Dio chiama tutti i suoi figli alla felicità, ma ha un occhio di predilezione verso gli ultimi, per quelli che non hanno meriti da vantare per avvicinarsi a Lui. Colui che si siede all’ultimo posto è già contento di essere stato invitato e ammesso al banchetto. Colui che sceglie l’ultimo posto, cioè il posto degli esclusi, dei giudicati, dei calunniati, dei perseguitati, sceglie il posto di Dio. Vuoi trovare Dio? Lo troverai lì dove nessun uomo, che cerca la gioia del mondo, si scomoderà per farsi compagno del fallito, dello straniero, del prigioniero, dell’affamato, dell’assetato, del malato.
La prima lettura ci ricorda la necessità di farci ultimo, cioè occupare il posto che la società assegna ai poveri perché solo in loro Dio può trovare accoglienza.
La seconda lettura invece ci rivela il senso autentico dell’incontro con Dio; Egli non è un giudice implacabile che emette sentenze, ma è il gran re che organizza la festa in occasione delle nozze del suo figlio, a cui gli invitati possono partecipare con l’abito festoso dell’umiltà, della mitezza, della gentilezza, della misericordia.
La differenza tra gli invitati che cercano di accaparrarsi i posti centrali e coloro che scelgono gli ultimi è resa anche dalla parabola giovannea del pastore buono, che entra nell’ovile dalla porta, che si oppone al ladro, il quale invece scavalca il recinto per rubare e uccidere.
Così accade anche nel regno di Dio, cioè nella comunità cristiana, in cui ci sono quelli che, come il Signore, nel silenzio e nella ordinarietà si fanno piccoli per guarire e salvare, e chi invece si arrampica alla ricerca di visibilità, titoli (anche di giornali) o solamente per fare i propri interessi.
Gesù, pur essendo pieno della gloria di Dio, ha rinunciato ad ogni privilegio, come quello di poter trasformare la pietra in pane, ha declinato l’invito a pensare prima a se stesso salvandosi la pelle dalla minaccia di Erode, ha rifiutato la tentazione di usare la giustizia come un’arma per punire e distruggere i suoi nemici. È diventato povero per accogliere dal Padre ogni suo fratello come un dono.
Mettersi all’ultimo posto significa essere piccolo seme che rende feconda la terra o piccolo lievito che fa crescere la massa.
Dio può guarire solamente se trova accoglienza e disponibilità, può rivestirci di gloria solamente se ci spogliamo delle nostre armature.
Meditatio
Il posto d’onore è in mezzo agli ultimi
Gesù osserva quello che è nella natura umana e che corrisponde ad un bisogno innato nell’uomo: il farsi notare, l’essere riconosciuti, avere la prova di esistere per qualcuno. La scelta dei primi posti è data dalla necessità di uscire dall’ombra dell’anonimato e di collocarsi in un posto visibile, cioè porsi in una situazione in cui avvertire di «essere qualcuno». Se questo è naturale riscontrarlo nei bambini e negli adolescenti, non è sano che tale atteggiamento determini le scelte degli adulti.
Essi, infatti, devono assumere altri obiettivi più conformi alla loro maturità umana e alla loro responsabilità sociale.
L’adulto che prende coscienza dell’essere «invitato», cioè della sua vocazione, non segue l’istinto ma la ragione del cuore, cioè la Parola di Dio. Gesù, che agisce per amore, uomo adulto nella fede e maturo nell’affettività, ci dà l’esempio da seguire: sceglie l’ultimo posto, cioè quello nel quale nessuno ci sta di sua volontà ma perché costretto dagli altri o dagli eventi della vita. L’ultimo posto diventa il primo, quello d’onore, perché è proprio lì che Dio ha scelto di abitare. È nel servizio, silenzioso, umile, generoso e gratuito che rispondiamo all’invito di Dio ad abitare la sua casa e fare festa con lui. È lì che il Signore Gesù ci fa partecipi della sua resurrezione e della sua gloria.
L’umile è colui che sceglie non di servire i grandi, per stare loro vicino e godere del loro potere, ma chi dedica la propria vita ai piccoli perché non hanno altro da offrire se non il calore di una carezza e la luce del loro sorriso. A contatto con i più piccoli riceviamo da Dio il dono più grande che l’uomo possa sperare, lo Spirito Santo che ci conforma a Cristo e partecipi della sua signoria.
Oratio
Signore Gesù,
Tu per amore nostro,
figli di Dio poveri e fratelli tuoi fragili,
hai scelto di farti servo degli ultimi e
ti sei umiliato fino alla morte di croce;
per questo il Padre ti ha glorificato
con la risurrezione dai morti.
Nelle vicende della vita
liberami dalla superbia e dall’orgoglio
e aiutami a non cercare la vanagloria,
a non usare le persone
per raggiungere i miei scopi,
a non competere con gli altri
per ottenere primati e supremazia,
a non calunniare e speculare sulle fragilità altrui
per emergere ai loro danni.
Donami lo Spirito della mitezza e dell’umiltà
perché, accogliendo la tua Parola
come un delicato invito ad incontrarti,
desideri partecipare alla mensa fraterna
dove tu stesso mi guidi e mi introduci
per gustare insieme a tutta la comunità
la beatitudine di essere accolto e servito da Te
e sentire gioia nello scambio reciproco
dei doni della tua provvidenza,
gareggiando nello stimarci e aiutarci a vicenda.
Tu prepari per noi il banchetto
e inviti tutti alle nozze;
donami la grazia di riconoscere
in ogni convito eucaristico
l’anticipazione della beatitudine
riservata agli umili e ai miti
e l’occasione per fare comunione con i fratelli
imparando ad amarli fino a dare la mia vita per loro. Amen.

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