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XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) – Lectio divina
Sap 9,13-18 Sal 89 Fm 1,9-10.12-17

O Dio, che ti fai conoscere
da coloro che ti cercano con cuore sincero,
donaci la sapienza del tuo Spirito,
perché possiamo diventare veri discepoli
di Cristo tuo Figlio,
vivendo ogni giorno il Vangelo della Croce.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro della Sapienza Sap 9,13-18
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?

Quale, uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».

La Sapienza cerca l’uomo per incontrarlo
L’autore del Libro della Sapienza cerca di coniugare il pensiero filosofico greco e la tradizione ebraica in particolare sul tema della verità. Per i filosofi greci, soprattutto Platone e Aristotele, la verità è ciò che l’uomo può scoprire e conoscere trascendendo dalla realtà mondana con lo strumento della ragione. Fondamentalmente l’oggetto della verità è il proprio io e il fine della ricerca è il «conoscere sé stesso». Il contributo determinante della fede ebraica consiste innanzitutto nel considerare la verità non come qualcosa di nascosto (mistero) che deve essere raggiunto e acquisito ma come una realtà personale che cerca l’uomo per incontrarlo e farsi conoscere. L’intelligenza è la capacità di cogliere la verità ma è la Sapienza il dono divino grazie al quale avviene l’incontro con la Verità. La ragione compie il lavoro (con fatica) di apprendere la verità, ovvero la legge che governa i fenomeni della natura legati dal nesso della causa e dell’effetto. Ma è solo grazie alla Sapienza, che per il sapiente dell’Antico Testamento è la Legge, se l’uomo può lasciarsi incontrare dalla Verità. Non è la molta conoscenza che trasforma l’uomo ma è l’incontro con Dio, mediante la Sapienza che indirizza la ragione e la volontà alla ricerca del bene, sia per usufruirne, sia per diffonderlo. Dunque, la fede, animata dallo Spirito della Sapienza che muove di Dio verso l’uomo, è un cammino di salvezza che lo fa uscire dal labirinto di una vita vissuta alla ricerca del bene egoistico e del possesso per indirizzarlo verso il desiderio più grande di amare Dio e di essere amato da Lui.

Salmo responsoriale Sal 89
Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.

Dalla lettera a Filèmone Fm 1,9-10.12-17
Accoglilo non più come schiavo, ma come fratello carissimo.

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

Fraternità e accoglienza reciproca
Paolo, vecchio e in catene, guarda Onesimo e Filemone con lo stesso sguardo, mite e benevolo. Ha generati entrambi alla fede, anche se attraverso percorsi diversi; ora li esorta ad accogliersi come fratelli e ad amarsi reciprocamente con lo stesso amore con cui Dio li ha amati. Ognuno di loro deve compiere un cammino di purificazione per andarsi incontro e abbracciarsi come figli e fratelli.
Probabilmente Onesimo era scappato dalla casa di Filemone, di cui era servo, per cercare la libertà ma aveva trovato le catene del carcere. Lì la provvidenza li aveva fatti incontrare e Onesimo, convertito alla fede cristiana, aveva compreso che la libertà non coincideva con il riscatto sociale, ma nel passare dall’essere schiavo al servire con amore. Filemone, uomo ricco, aveva già fatto il suo percorso di conversione e ora Paolo gli chiede di mettere da parte il suo orgoglio e di riaccogliere come un figlio il suo servo. Filemone e Onesimo, nella crisi che aveva incrinato il loro rapporto personale, comprendono il senso più profondo dell’essere discepoli di Gesù Cristo.
Chi segue Cristo non punta orgogliosamente ad essere perfetto esecutore di una legge, ma matura il desiderio di essere autentico testimone dell’amore di Dio nella vita fraterna.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 14,25-33
Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Lectio
Se è vero che il cristiano non cerca i primi posti per essere visibile e non è un arrampicatore sociale per guadagnare posizioni di potere, è altrettanto vero che non può e non deve essere “invisibile”, cioè senza sapore e colore, ma ha la missione di essere “trasparenza di Dio”.
Il dramma di ogni uomo, e del cristiano in particolare, è quello di essere insignificante. Il rischio reale è quello di essere contenitori senza contenuto, barattoli vuoti, fiori di plastica, corpi senz’anima.
Falso non è solo il contrario di vero, ma anche l’opposto di vitale e portatore di senso.
Finzione e insignificanza s’intrecciano in un connubio malefico che indurisce il cuore di chi si concentra più a curare l’apparenza ed è attento al giudizio altrui piuttosto che riflettere sul significato di quello che fa e discernere ciò che è bene operare nella propria vita.
Gesù si ferma ad osservare i suoi seguaci il cui numero cresceva sempre di più. Gli occhi con i quali analizza la situazione non sono quelli dell’ambizioso che brama consensi e fama, ma quelli di chi cerca il volto di Dio, amore misericordioso, e si fissano sul suo cuore di Padre in cui sono custoditi i sogni più belli che riguardano gli uomini. Gesù conosce ciò che c’è nel cuore degli uomini e soprattutto in quelli che lo seguono. Sa che i loro ragionamenti sono incerti perché viziati dall’ambizione e dall’orgoglio, come ammette anche l’autore del Libro della Sapienza (prima lettura). Seguire Gesù vuole dire imitarlo nell’opera del discernimento per comprendere quale sia la volontà di Dio e come fare della propria vita un sacrificio a Lui gradito. Gesù accoglie con sé chi, rinunciando alle proprie ambizioni personali accetta di mettersi alla sua scuola per diventare, come lui, sacerdote misericordioso e fedele.
Paolo, vecchio e in catene, guarda Onesimo e Filemone con lo stesso sguardo, mite e benevolo. Ha generato entrambi alla fede, anche se attraverso percorsi diversi; ora li esorta ad accogliersi come fratelli e ad amarsi reciprocamente con lo stesso amore con cui Dio li ha amati. Ognuno di loro deve compiere un cammino di purificazione per andarsi incontro e abbracciarsi come figli e fratelli.
Probabilmente Onesimo era scappato dalla casa di Filemone, di cui era servo, per cercare la libertà ma aveva trovato le catene del carcere. Lì la provvidenza li aveva fatti incontrare e Onesimo, convertito alla fede cristiana, aveva compreso che la libertà non coincideva con il riscatto sociale, ma nel passare dall’essere schiavo al servire con amore. Filemone, uomo ricco, aveva già fatto il suo percorso di conversione e ora Paolo gli chiede di mettere da parte il suo orgoglio e di riaccogliere il suo servo come un figlio. Filemone e Onesimo, nella crisi che aveva incrinato il loro rapporto personale, comprendono il senso più profondo dell’essere discepoli di Gesù Cristo.
Chi segue Cristo non punta orgogliosamente ad essere perfetto esecutore di una legge, ma matura il desiderio di essere autentico testimone dell’amore di Dio nella vita fraterna.
Per tre volte Gesù ripete “non può essere mio discepolo” indicando le condizioni per fare una vera scelta cristiana.
Gesù in maniera volutamente provocatoria pone come prima condizione l’«odio». L’effetto destabilizzante del modo di parlare di Gesù ha lo scopo di indurre l’ascoltatore ad esaminarsi non in base alla legge, ma alla luce del rapporto con lui. Nel linguaggio biblico odiare significa dissociarsi, trascurare, «lasciare». Quando riguarda le persone, questo sentimento traccia una linea di demarcazione tra l’essere dipendenti dalle scelte o bisogni altrui e l’essere autonomi, cioè rispondenti alla propria coscienza. Le scelte che compie il discepolo di Cristo sono responsabili nella misura in cui rispondono innanzitutto alla volontà di Dio e non alle attese, fossero anche quelle della propria famiglia; quel Dio, peraltro, che non conduce in un mondo virtuale, ma che accompagna nel cammino della maturità umana e delle relazioni fraterne basate sul rispetto e l’amore, soprattutto dei più deboli.
L’odio di cui parla Gesù non porta all’uso della violenza per rompere le relazioni con gli altri, anche a costo di rimanere soli. Al contrario, è una forma di purificazione e crescita personale per vivere le relazioni in modo più sano e costruttivo. Chi ama veramente sa anche odiare, cioè prendere le distanze e distaccarsi dal proprio egoismo, dallo stile capriccioso e ricattatorio che cerca di piegare o “convertire” l’altro al proprio volere; al tempo stesso non si lascia vincere dalla logica del clan o del branco. Senza questa condizione di distacco non si può maturare una scelta d’amore libera, consapevole e responsabile. Il discepolato è una scelta di amore, non un obbligo né una convenzione sociale.
Senza la rinuncia a vivere le relazioni, di per sé buone, come lo farebbe una persona immatura, esse rimangono in piedi come uno stabile disabitato o come un sepolcro imbiancato. Tutti gli affetti sono buoni, ma senza un processo di maturazione, essi si trasformano in una maledizione. Un amore che rimane nella sua fase incipiente si trasforma nel suo opposto. Un amore, che passa attraverso il crogiuolo delle crisi e viene purificato, fa delle relazioni familiari una profezia della comunione dei santi.
La seconda condizione mette a fuoco la necessità di non scaricare la propria croce sugli altri, colpevolizzandoli, ma di accettare serenamente i propri limiti. Infatti, le due parabole suggeriscono l’idea che la vita è un processo costruttivo e al tempo stesso è una lotta. L’amore ci aiuta ad essere meno rigidi e meno fissati sulle nostre convinzioni ma più flessibili e capaci di sempre riformulare i nostri programmi in base alla realtà. È il confronto con la realtà che determina i tempi e i modi della nostra attività. Dio ci parla attraverso la storia concreta e contingente con le sue esigenze e criticità. La realtà ci interpella affinché possiamo fare le scelte più giuste in conformità alla volontà di Dio.
Portare a compimento quello che si è iniziato e vincere contro le avversità sono due cifre simboliche della vita cristiana. Essa può giungere a maturazione e superare le difficoltà nella misura in cui si guarda la propria situazione con realismo e, se ci si trova mancanti, si ha la pazienza di aspettare e l’umiltà di cercare altre soluzioni attraverso alleanze (educative).
Non bisogna sfidare ma avere fiducia. Sfidare ha la stessa radice di sfiduciare e quindi di contrapporsi in una continua battaglia per avere la meglio.
Nella relazione, con Dio e con i fratelli, prendere consapevolezza del fallimento e riconoscersi mancanti non deve indurre alla vergogna, ma a riformulare i propri progetti in base alle forze che si hanno e alle condizioni in cui ci si trova. A volte le accuse che muoviamo contro gli altri sono il modo per nascondere, innanzitutto a noi stessi, fragilità e mancanze. La croce diventa terreno di scontro e contrapposizione se non addirittura un’arma per deprezzare e delegittimare l’altro.
L’accusa d’incoerenza lanciata contro gli altri funge da alibi per non prendere su di sé la responsabilità della propria croce e farne un’occasione d’incontro in cui farsi aiutare.
Mettere sulla bocca di Gesù l’invito alla rassegnazione significherebbe tradirlo e contraffare il vangelo.
Rinunciare ai propri averi è la terza condizione per essere cristiani autentici. Sia chi costruisce la torre, sia il re che va in guerra, non agisce per compiacere qualcuno o per dimostrare il suo valore. Agisce saggiamente colui che prima di decidere e scegliere, pondera, valuta e discerne. Ogni decisione è “divisione”, è “crisi” che implica lasciare e rinunciare ad accumulare per puntare tutto su Dio, a Lui orientare la volontà e offrirgli in dono la propria libertà.

Meditatio
Discepoli di Cristo, sacerdoti per l’umanità

Gesù detta le condizioni per le quali dirsi suoi discepoli e al contempo ne traccia i lineamenti essenziali. Il cristiano è discepolo se è disposto ad imparare dal Maestro il cui insegnamento non è riducibile a nozioni astratte ma verte essenzialmente sulla relazione spirituale con lui. Nel rapporto con Gesù è coinvolto innanzitutto il cuore affinché il discepolo possa fare suoi i sentimenti del Maestro. Luca usa il verbo «odiare» o «detestare» ma che, per non urtare la sensibilità del lettore, il traduttore ha reso con «amare più di me». Essere cristiano comporta sempre una crisi, ovvero una scelta netta e radicale che determina una rottura definitiva con l’uomo vecchio segnato da logiche mondane che appartengono al passato. Scegliere di amare Gesù significa puntare in alto con la conseguenza di ordinare verso di Lui tutti gli altri beni, effettivi e affettivi, che compongono la nostra vita. L’amore a Gesù non esclude quello alle persone più care ma, al contrario, lo àncora saldamente a Colui che ci ama per primo ed è la fonte dell’Amore. Gesù esige il primato; mettere Gesù prima di qualsiasi altra cosa vuol dire porlo a fondamento e presupposto di ogni scelta d’amore; significa rinunciare a recitare nella vita la parte del protagonista per affidarla invece allo Spirito Santo. È Lui che guida, orienta, sostiene, corregge il tiro affinché possiamo fare della nostra vita un dono per gli altri e vivere veramente come il Maestro insegna. Lo Spirito Santo è il nostro Maestro interiore che ci aiuta a discernere le scelte più opportune al fine di rimanere sulla strada della nostra vocazione alla sequela di Cristo e giungere con Lui alla gloria, ovvero alla misura alta dell’amore. L’obbiettivo è diventare santi e, per raggiungerlo, Gesù ci avverte di fare bene i calcoli e valutare le condizioni, la prima delle quali è la necessità di accettare di essere derisi, vilipesi, perseguitati, non accettati, contrastati nella volontà di aderire a Cristo e vivere come Lui. Tuttavia, proprio questo è il contesto nel quale compiere il discernimento più radicale che punta alla «nuda fede», alla «gioiosa speranza» e alla “perfetta carità», quella che porta a consegnare con fiducia e speranza la propria vita nelle mani di Dio. Gesù mette in chiaro che essere cristiani non significa mettere al sicuro la propria vita ma metterla in gioco insieme a Lui. C’è un rischio da correre e prove da attraversare, ma ci assicura di essere accompagnati sempre da Lui che ci guida. Il vero fallimento sarebbe lasciare il cammino cristiano iniziato perché ci ritroviamo sprovvisti di quella forza necessaria per andare avanti, che è lo Spirito Santo, fino al compimento del nostro destino di salvezza.

Oratio
Signore Gesù,
maestro e guida sulla via della santità,
indicami sempre la vetta dell’amore
verso cui orientare il desiderio del cuore
perché le logiche mondane
non corrompano il legame spirituale
che mi unisce a Te e le resistenze,
opposte da coloro che sono estranei alla fede,
non mi scoraggino nel proseguire
la sequela dietro a Te nella comunità.
Donami il tuo Spirito di prudenza e di saggezza
perché, rifuggendo la tentazione
di anteporre le mie attese al tuo volere,
possa discernere la tua volontà
subordinando ad essa la mia.
Fammi sentire il tuo sostegno nella solitudine,
il tuo incoraggiamento quando avverto
il senso di impotenza o di fallimento.
Alimenta la speranza nella delusione
e fa ardere il cuore della tua carità
per orientarmi nell’incertezza
di fronte alle scelte importanti della vita
e all’assunzione di responsabilità di servizio.
Fa di me sacerdote per l’umanità.
Amen.