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II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Is 49,3.5-6   Salmo 39   1Cor 1,1-3  

Dal libro del profeta Isaìa Is 49,3.5-6

Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.

Il Signore mi ha detto:

«Mio servo tu sei, Israele,

sul quale manifesterò la mia gloria».

Ora ha parlato il Signore,

che mi ha plasmato suo servo dal seno materno

per ricondurre a lui Giacobbe

e a lui riunire Israele

– poiché ero stato onorato dal Signore

e Dio era stato la mia forza –

e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo

per restaurare le tribù di Giacobbe

e ricondurre i superstiti d’Israele.

Io ti renderò luce delle nazioni,

perché porti la mia salvezza

fino all’estremità della terra».

Israele narra la sua vocazione alla luce della quale riconosce anche la sua identità e la sua missione. Dio ha scelto Israele come suo servo mediante il quale manifestare la sua potenza. Israele è dunque chiamato a svolgere un servizio al Signore, il quale vuole mostrarsi non solo Pastore del suo popolo, ma anche Guida per tutti i popoli. L’esodo, attraverso il quale la casa di Giacobbe ritorna ad abitare la casa di Dio, non riguarda più solo Israele ma tutti i popoli, anche quelli che erano considerati esclusi dalla benevolenza divina. Il servo di Dio non offre solo il suo servizio per radunare le pecore disperse di Israele, ma è chiamato ad andare oltre ed espandere la parola di Dio ovunque allargando all’infinito i confini della salvezza.

Salmo 39

Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,

ed egli su di me si è chinato,

ha dato ascolto al mio grido.

Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,

una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,

gli orecchi mi hai aperto,

non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.

Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto

di fare la tua volontà:

mio Dio, questo io desidero;

la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia

nella grande assemblea;

vedi: non tengo chiuse le labbra,

Signore, tu lo sai.

Il Salmista ringrazia il Signore che gli ha dato la grazia di servirlo ispirandogli parole di lode. Esse nascono dall’intimo del cuore lì dove, custodendo le sue parole, l’orante lascia che Dio scriva la sua legge. Il desiderio di Dio di salvare l’uomo trova la sua corrispondenza nell’anelito dell’uomo di servire Dio nella gioia. Il salmista considera la preghiera, soprattutto quella di ringraziamento e di lode, come il sacrificio gradito a Dio, perché in essa non si fa salire il profumo dei sacrifici animali e dell’incenso, ma s’innalza il proprio cuore protendendo tutta la vita all’incontro con Lui. Il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo diventa la regola di vita di chi risponde alla benevolenza divina con la carità.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 1,1-3

Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Nel saluto iniziale che Paolo rivolge alla comunità di Corinto, città della Grecia, si presenta come apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio. É Lui che lo ha scelto e chiamato a svolgere il servizio dell’annuncio del Vangelo. L’apostolo riconosce in sé e nei cristiani di Corinto l’azione primaria di Dio che li ha santificati in Gesù Cristo e li ha chiamati a diventare santi. Paolo sembra affermare che la santità coincida con la comunione con Dio e tra i fratelli che hanno in comune la medesima vocazione. La santità da una parte è un dono gratuito di Dio, dall’altra, è compito e missione affidato al servizio della Chiesa. La Chiesa-comunione si manifesta nel invocare insieme il nome del Signore, anche se si è sparsi nel mondo, e nell’essere a suo servizio anche se con ministeri diversi. Su coloro che si riuniscono per pregare e che si mettono a servizio della comunione fraterna scende la benedizione da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,29-34)

Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Lectio

Giovanni Battista è presentato dal quarto vangelo in maniera diversa rispetto ai Sinottici. Se i primi tre evangelisti insistono sul fatto che il Battista predicava l’avvento del Messia che avrebbe battezzato col fuoco purificatore dello Spirito Santo, l’evangelista Giovanni invece sottolinea che l’attesa del precursore è alimentata dalla parola divina che indica nella discesa dello Spirito Santo il segno dell’avvento del Cristo.

Nella Bibbia, soprattutto nell’Antico Testamento, abbondano immagini cariche di aggressività e situazioni intrise di violenza. La prima scena del libro della Genesi descrive la realtà come un caos nel quale le forze della natura si scontrano e si contrappongono quasi fossero impegnati in una lotta senza esclusioni di colpi. Se poi si scorrono le varie narrazioni bibliche si nota una presenza costante della conflittualità che si traduce nello stendere la mano contro qualcun altro per avere il sopravvento. Dalla mano di Eva che afferra il frutto proibito, a quella di Caino che si accanisce sul corpo del fratello, fino ad arrivare alle congiure dei fratelli contro Giuseppe, passando attraverso gli stupri e le violenze perpetuate sulle donne, la narrazione biblica offre dell’umanità un quadro molto negativo spesso macchiato di sangue e bagnato delle lacrime. Davanti a tanto male l’uomo si trova sprovvisto di soluzioni e istintivamente si rivolge alla divinità perché faccia vendetta e sia ristabilita la giustizia con la forza. La versione fondamentalista della fede proietta di Dio immagini che fanno di Lui un implacabile giudice che con la forza del fuoco annulla il male. L’uomo invischiato col peccato verrebbe travolto dalla furia della giustizia di Dio. In realtà si trasferisce in Dio la tendenza a giudicare che è il “peccato originale” presente nell’uomo. Il giudizio, o meglio diremmo il pregiudizio, è ciò che inibisce il ragionamento e accieca la coscienza. In definitiva è questa la causa di ogni violenza e di ogni forma di degenerazione. Dunque, anche Dio è presentato come un leone che ruggisce e sbrana e il suo giudizio, come nel caso di Sodoma e Gomorra, piomba come fuoco dal cielo che tutto distrugge.

Dio si rivela nella creazione e nella storia in modo progressivo. La gradualità della rivelazione passa anche attraverso delle forme incomplete e parziali che molto risentono del grado di maturità dell’uomo. Come l’istintività rivela un grado di maturità basso, tale che non si è capaci di governare le proprie emozioni e gli atteggiamenti conseguenti, così una fede immatura facilmente attribuisce a Dio l’aggressività propria dell’uomo della caverna.

Con Gesù Dio si rivela in maniera compiuta e definitiva. Tuttavia, non potrà essere accettato con la fede che si conviene se permane l’ostacolo del pregiudizio che preclude ogni conoscenza.

Giovanni Battista traccia il percorso del credente che ascolta, contempla e testimonia.

Giovanni nel deserto, come farà Gesù in seguito, si ritira per fare silenzio e purificare il proprio cuore per liberarlo dai pregiudizi e dalle pretese per accogliere e custodire le parole di Dio. Il Battista accenna ad una parola datagli da Dio che lo aveva inviato come precursore di Colui che avrebbe battezzato in Spirito Santo dopo il suo battesimo con l’acqua.

La parola ascoltata diviene luce grazie alla quale si può avere uno sguardo contemplativo della realtà. Contemplare significa vedere nella realtà ordinaria l’azione straordinaria di Dio che scende per rimanere sull’uomo. Ascoltando Dio nel silenzio Lo si contempla nel Figlio suo che viene incontro all’uomo. La contemplazione c’introduce in quell’eccedenza di Verità che non è possibile tradurre in concetti ma solo attraverso immagini. Ecco perché Giovanni Battista impiega l’immagine della colomba e dell’agnello per indicare l’azione divina.

L’ascolto della Parola di Dio ha purificato Giovanni dal pregiudizio e dalla tentazione di attribuire a Dio la propria aggressività. Illuminato dalla luce della fede ha contemplato il vero volto di Dio. Davanti agli occhi di Giovanni avviene una sorta di trasfigurazione per la quale l’umanità di Gesù, impregnata di Spirito Santo, rivela la santità di Dio che non suscita timore e paura ma gioia e speranza. Con la contemplazione avviene il passaggio dal sapere al conoscere.

Il pregiudizio è un sapere auto-generato mentre la sapienza è un dono che si possiede solamente quando la si riceve con umiltà e gratitudine. Il pregiudizio avvia dinamismi di de-generazione che si trasforma in condanna e si traduce in violenta contrapposizione. Al contrario, la sapienza attiva processi generativi grazie ai quali l’uomo cresce nella conoscenza integrale di sé, degli altri e di Dio.

Dopo l’ascolto e la contemplazione, Giovanni può testimoniare. La testimonianza del Battista non è un semplice resoconto o una personale interpretazione dei fatti. Testimoniare significa annunciare non una parola astratta ma la verità di cui si è fatta esperienza nella propria carne.

Giovanni ripetendo due volte l’espressione «non lo conoscevo» sottolinea che l’incontro con Gesù, preparato nell’ascolto e vissuto nella contemplazione, ha prodotto in lui una trasformazione del modo di pensare Dio e sé stesso.

Dio non è più il prodotto della propria immaginazione ma le immagini usate e le parole, per quanto parziali e limitate, testimoniano la maturazione umana operata dall’incontro con Gesù che rivela il volto del Padre pieno di dolcezza e tenerezza come il volo della colomba e il volto dell’agnello.

Dio non si scaglia contro l’uomo, ma discende dolcemente verso di lui per rimanervi come ospite fisso; non stende la mano contro l’uomo per punirlo ma gli porge la mano per prendere su sé il suo peccato e riscattarlo.

Il vangelo di Giovanni si apre e si chiude con la testimonianza, quella del Battista all’inizio e quella dell’evangelista alla fine (Gv 19,35s.). La testimonianza non è la semplice esternazione di quello che si pensa. Ci sono falsi e veri testimoni. La differenza consiste nel punto di partenza. I falsi testimoni sono quelli che parlano a partire dal pregiudizio. Possono anche fare cose buone formalmente e che in apparenza sembrano addirittura giuste e si possono confondere anche con la carità e col bene. I veri testimoni sono quelli che seguono il percorso di conversione e purificazione vissuto e testimoniato dal Battista. Solo la testimonianza che nasce dall’ascolto della Parola di Dio e dalla contemplazione è veramente feconda perché genera nel cuore di chi ascolta il desiderio di credere e avere in sé la Vita eterna.

La testimonianza del Battista, che vede scendere e rimanere lo Spirito Santo su Gesù, trova la sua conferma in quella del discepolo amato che assiste alla sua morte. Giovanni Battista e il discepolo amato sono due testimoni di Gesù, affinché chi accoglie la loro testimonianza possa seguirlo, ascoltare la sua parola, vedere le sue opere, credere che è veramente il Figlio di Dio inviato per riconciliare gli uomini con Lui liberandoli dal peccato che invece li separa.

La Chiesa svolge la medesima funzione del Battista e del discepolo amato: indicare in Gesù il Servo di Dio che, come agnello mansueto condotto al macello, è stato sacrificato per essere il Pastore e la Guida non solo d’Israele ma di tutti i popoli. Come il rito dell’immolazione e della consumazione dell’agnello pasquale inaugura e rinnova il cammino dell’esodo del popolo d’Israele, così l’eucaristia, memoriale della Pasqua di Cristo, è l’origine e il culmine della vita cristiana che va dalla prima Pasqua, ovvero il battesimo in Spirito Santo e acqua, all’ultima, allorquando si passa da questo mondo al Padre.

Oratio

Signore Gesù, Tu che sei la Parola,

origine e modello di ogni creatura,

vieni incontro alla nostra debolezza

che ci inclina a peccare.

Abbiamo bisogno del tuo aiuto

perché da soli non possiamo essere felici.

Tu che sei l’Agnello di Dio,

sacrificio e nutrimento per la nostra salvezza,

guidaci nel cammino del nostro esodo

per andare incontro al Padre

e servirlo con gioia e in purezza di cuore.

Tu che ci immergi nello Spirito Santo,

rinnovaci a tua immagine

affinché possiamo testimoniare

con la coerenza della vita

che non c’è altro Dio, all’infuori di te, giusto e salvatore. 

Tu che sei il servo del Signore e la luce del mondo,

sii il nostro pastore

che raduna in unità il suo gregge

e lo guida ai pascoli della vita eterna.

Tu che sei il Figlio di Dio,

aiutaci a percorrere i sentieri della storia

sostenuti dalla tua grazia

per annunciare ad ogni creatura

che sei in mezzo a noi come nostro fratello maggiore

per riconciliarci con il Padre

e custodire nel vincolo di carità la comunione fraterna.    

Signore Gesù, non abbiamo altro da offrirti

se non il nostro peccato;

Tu, vittima e vincitore,

stendi ancora le mani per riceverlo

perché il suo peso non ci schiacci

il suo bagliore non ci acciechi

il suo veleno non ci renda muti

la sua forza non ci paralizzi.

Ascolta e accogli la nostra preghiera,

presentala al Padre,

perché la lamentazione del giusto sofferente

diventi lode di ringraziamento di tutti gli uomini

e la supplica per la pace

si traduca in impegno per la giustizia sociale.

Amen.