XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) – Lectio divina
Gn 18,1-10 Sal 14 Col 1,24-28

O Padre,
nella casa di Betania tuo Figlio Gesù
ha conosciuto il premuroso servizio di Marta
e l’adorante silenzio di Maria:
fa’ che nulla anteponiamo all’ascolto della sua parola.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro della Gènesi Gn 18,1-10
Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
La visita di Dio per donare il sorriso
Non c’è soluzione di continuità tra la scena della circoncisione e la nuova apparizione del Signore alla Quercia di Mamre. La visita del Signore avviene in incognito attraverso tre uomini verso i quali Abramo corre loro incontro per invitarli a fermarsi da lui e accettare la sua ospitalità. Il Patriarca, appena circonciso e che ha circonciso anche tutti i maschi del clan, è entrato nell’alleanza e gli effetti si vedono nell’apertura all’alterità.
Il banchetto che Abramo offre celebra l’alleanza sancita con il Signore attraverso la circoncisione. I verbi prendere e mangiare sono gli stessi che si trovano in Gen 3,6 quando Adamo ed Eva sotto l’albero della conoscenza del bene e del male prendono un cibo che non è loro dato da mangiare. Al contrario di quel pasto, quello sotto la quercia di Mamre è consumato non con cupidigia ma con spirito di condivisione e comunione. Infatti Abramo e Sara prendono da ciò che è proprio e lo offrono, mentre i progenitori hanno fatto proprio ciò che non apparteneva loro. L’alleanza vera è quella che si regge su relazioni di condivisione non di appropriazione.
Questo tipo di alleanza inaugurata con la circoncisione apre alla fecondità. Infatti, durante il banchetto il discorso va sulla maternità di Sara. La reazione di Sara è la stessa di Abramo quando Dio specifica due volte che il figlio della promessa nascerà da Sara. Anche in quel caso Abramo aveva riso.
L’annuncio della nascita di un figlio da Abramo e Sara per lui è una conferma mentre per lei è una novità alla quale reagisce nello stesso modo con il quale aveva reagito suo marito. Abramo e Sara sono accomunati dalla benedizione ma anche dalla loro incredulità frammista a speranza. Il riso di Sara viene smascherato per avere l’occasione di ribadire l’impegno di Dio a cui nulla è impossibile. Nei due anziani coniugi albergano scetticismo e speranza. Il primo sembra avere il sopravvento, eppure non si rinuncia a quella speranza che permette comunque di non rassegnarsi e di aprirsi alle sorprese di Dio.
Salmo responsoriale Sal 14
Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi Col 1,24-28
Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi.
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Il valore educativo della sofferenza
Paolo sembra affermare che il suo ministero ha giovato anche a coloro, come i cristiani di Colossi o di Laodicea, che non l’hanno mai visto di persona. Essi, pur non avendo ascoltato direttamente la sua predicazione, hanno ricevuto beneficio dal suo ministero. Infatti, Paolo attesta che l’attività pastorale che ha portato avanti non si è basata solamente sulla predicazione verbale ma che tutta la sua vicenda esistenziale, gradualmente conformata alla vita di Gesù Cristo, è stata un annuncio della Parola di Dio. Le fatiche e le sofferenze, lungi dall’essere considerate prove del suo fallimento, sono per l’apostolo attestazioni di merito e segnali chiari di come Dio agisce attraverso i suoi ministri affinché, per mezzo loro, possa giungere a tutti la grazia che converte e salva.
La sofferenza ha un valore educativo e diventa strumento pedagogico mediante il quale possa giungere a maturità il proprio cammino cristiano. Tutto concorre, soprattutto le prove e le sofferenze, alla piena comunione e conformazione a Cristo, nostra speranza e nostra salvezza.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 10,38-42
Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Lectio
Subito dopo il dialogo con il dottore della Legge, in cui è incastonata la parabola del Buon Samaritano, l’evangelista ne presenta un altro che si svolge tra Gesù e Marta, in casa della donna la quale, insieme alla sorella Maria, lo ospita durante il suo viaggio verso Gerusalemme. Il racconto della parabola si conclude con l’arrivo del Samaritano nell’albergo dove aveva condotto l’uomo soccorso lungo la strada. L’albergatore riceve l’incarico di prendersi cura dell’infermo. La storia ha una finale aperta in modo da suscitare delle domande: l’albergatore avrà compreso la compassione del Samaritano e si sarà ispirato ad essa per assolvere al compito assegnatogli e per il quale riceve una caparra? Si farà prossimo a quell’uomo con la stessa compassione con cui il Samaritano se ne è preso cura?
Il cammino di Gesù verso Gerusalemme, dopo aver incrociato quello del dottore della Legge, trova una pausa a Betania. La Torah non è la via ma è la lampada che aiuta a camminare. La lampada non è la luce ma permette che essa svolga la sua funzione di illuminare i passi di chi cammina per strada durante la notte. Attraverso la parabola Gesù ha insegnato al dottore della Legge che la norma di vita fondamentale è l’amore a Dio e al prossimo. Gesù percorre la sua strada verso Gerusalemme in obbedienza alla vocazione ricevuta dal Padre. La strada che percorre non lo conduce lontano dagli uomini ma più prossimo a loro, soprattutto a quelli che sono caduti nel peccato. Prossimità e servizio sono intimamente connessi. Ci si avvicina per servire e si serve per farsi più vicini. La narrazione della parabola passava dalla strada, luogo della disgrazia e della grazia, della caduta e del primo soccorso, all’ albergo (Pandokeion: “casa di tutti”) spazio nel quale abitare come ospite. Gesù, pellegrino verso Gerusalemme, si fa anche ospite. C’è come un filo conduttore che collega l’albergatore e Marta. Entrambi aprono i loro spazi all’accoglienza. L’accoglienza, come suggerisce la Prima Lettura (Gn 18,1-10), è il primo passo verso l’ospitalità. La pericope del Libro della Genesi mette in rilievo il movimento di Abramo che va incontro ai tre viandanti per offrire loro l’invito al ristoro; è sottolineata la sua sollecitudine nel preparare il pasto coinvolgendo anche la moglie Sara che però, proprio perché donna, rimane all’ombra del marito; durante il pasto Abramo rimane in piedi come un servo pronto a soddisfare le esigenze dei suoi ospiti; infine, Abram è il mediatore della benedizione che raggiunge Sara rendendola feconda.
Luca, dopo l’introduzione, passa a descrivere l’atteggiamento di Maria e di Marta. La prima assume la postura del discepolo che ascolta la parola di Gesù, la seconda è distolta (dall’ascoltare la parola) perché tutta assorta nei suoi servizi. Il narratore, mettendo a confronto le due sorelle, vuole far notare che Maria è tutta concentrata sulla parola di Gesù mentre Marta è tutta centrata su sé stessa. Come già la vicenda di Abramo e Sara suggeriva, alla donna spettava il compito di un servizio nascosto e all’uomo quello di intrattenere gli ospiti (cf. Gv 12, 1-3). Marta interviene per farsi portavoce della tradizione e per richiamare Gesù e sua sorella all’ordine. Prendendo come unità di misura sé stessa e sostituendosi all’ospite, Marta da una parte non comprende il valore della scelta di Maria, e dall’altra, pretende che sia la sorella a distogliere l’attenzione dalla parola di Gesù per darle ascolto. Per la sua autoreferenzialità Marta pensa che il peso della responsabilità gravi solo sulle sue spalle e, sentendosi sola e abbandonata dalla sorella, interpreta l’atteggiamento di Gesù come indifferenza alla sua difficoltà. Le parole di Marta hanno il sapore della lamentela che culmina in un vero e proprio comando. Lei che è presa dai molti servizi passa dalla postura del servo a quella di chi comanda. Abramo insegna che l’ospitalità parte dall’andare incontro agli altri per poi introdurli nell’intimità evitando di trasformarla in possessività. Invece Marta cade proprio in questo pericolo. La sua accoglienza non diventa ospitalità perché non mette al centro l’ospite ma sé stessa. Abramo, dopo aver preparato il pasto rimane in piedi in un atteggiamento di disponibilità, mentre Marta, contrariamente a sua sorella che è seduta ai piedi di Gesù, sta in piedi ma con un fare direttivo. Colei che serve si erge a maestra pretendendo di suggerire a Gesù le parole da dire alla sorella.
La risposta di Gesù è un “richiamo” nel senso che è una seconda vocazione. Alla prima ella aveva risposto positivamente accogliendo Gesù; è necessaria una seconda vocazione che l’aiuti a correggere il tiro della sua missione. La parola di colui che riconosce essere il Signore la illumina sulla deviazione che ha preso il suo servizio. La parola di Gesù denuncia ciò che nel suo cuore la porta a deviare causando in lei preoccupazione e agitazione. Esse hanno il potere di “infestare” la mente al punto che la Parola ascoltata non riesce a tradursi in vera opera di carità ma si limita ad essere una semplice prestazione. Marta deve correggere il suo modo di vedere spostando l’attenzione da sé verso sua sorella in modo da osservare il suo atteggiamento con occhi diversi, gli stessi con i quali Gesù la vede. Dal suo punto di vista Maria ha fatto la scelta più buona. Il dottore della Legge presumeva di essere giusto e puntava sui meriti per ottenere la vita eterna. Similmente Marta poggia su di sé la sua sicurezza e invece deve imparare a rendersi conto che Dio non è lontano ma si fa prossimo. Lo possiamo riconoscere se si rinuncia al giudizio e alla presunzione di essere l’unità di misura di ciò che è giusto e vero. Il richiamo invita a rivedere il modo di vedere gli altri e di interagire con loro. Gesù non istituisce un paragone tra le due sorelle ma indica l’ordine giusto delle attività. Il dottore della Legge aveva richiamato il comando di amare il prossimo come sé stesso. Maria ricorda a Marta che non ci si può prendere cura degli altri se non ci si prende cura di sé. Amare sé stessi, direbbe Maria, è assumere l’atteggiamento del discepolo che si lascia nutrire dalla Parola di Dio. Affinché la carità sia fruttuosa è necessario richiamare al cuore la Parola di Dio, meditarla perché il suo seme porti un frutto abbondante e permanente.
Marta non è “richiamata dall’ordine” ma le viene offerta una nuova chiamata attraverso l’atteggiamento di Maria che sembra non fare o dire nulla e invece il suo silenzioso ascolto è molto più eloquente di qualsiasi insegnamento ed efficace più di ogni altra opera. Maria si lascia nutrire dalla Parola che la rende pronta per svolgere la missione che Dio le affida. S. Paolo, parlando ai Colossesi (Col 1,24-28) si confida. Il ministero porta con sé tante sofferenze. Spesso ci si ritrova soli. La fede in Gesù, crocifisso e risorto, gli ha fatto maturare la consapevolezza che le ferite del suo corpo e della sua anima sono il modo con il quale egli partecipa alla salvezza operata da Gesù mediante la sua croce a vantaggio della Chiesa. L’apostolo sa che quando soffre per il Vangelo non è solo e che quel dolore è necessario come quello della donna che partorisce il suo bambino.
Mediatio
Àmati e làsciati amare
La missione del cristiano si riassume nel comandamento dell’amore. L’amore a Dio e al prossimo s’intrecciamo attorno all’amore a sé stessi. Nella visione del dottore della Legge il prossimo è il destinatario del bene. Si domanda, dunque, chi è il prototipo di colui che merita di essere aiutato e di ricevere fiducia. La vicenda che coinvolge Gesù e le due sorelle di Betania sembra rispondere ad una domanda che nasce dalla parabola del buon Samaritano ed è una ulteriore specificazione della risposta data a Gesù dal dottore della Legge. Infatti, il racconto verte sulla figura del “prossimo” che è colui che si fa vicino per aiutare chi è in difficoltà. Il prossimo è identificato in colui che ha compassione e si prende cura del bisognoso. Il passo del Libro del Levitico, citato dal dottore della Legge, dice di amare il prossimo «come sé stesso». Cosa significa? Marta rappresenta una interpretazione e Maria una seconda. Le due sorelle, come fa Abramo, riconoscono nel viandante il Signore che si fa prossimo. Tuttavia, Marta si prende cura dell’ospite mettendo al centro sé stessa. Questo causa la sua ansia che si traduce in un atteggiamento risentito. Maria, invece, interpreta l’amore al prossimo come relazione personale. Maria insegna alla Marta presente in ciascuno di noi che l’ascolto della Parola è la prima forma di amore a Dio e a sé stessi. Intrattenersi con Gesù nella preghiera è la condizione indispensabile per amare il prossimo e servirlo con amore. Dio si fa prossimo nel pellegrino che incrocia le nostre strade e che ci rammenda la nostra medesima condizione di viandanti. Siamo sempre in cammino guidati dalla Parola di Dio che ci fa nota la vocazione alla santità e come realizzarla. Prima di ogni altra cosa c’è l’ascolto, di Dio, di sé stessi e degli altri. Mai come in questi tempi, in cui la storia sembra avere un passo troppo veloce e non riusciamo a stare dietro ai continui cambiamenti, c’è bisogno di ascolto stando seduti, in un dialogo faccia a faccia con il nostro interlocutore. Da dove iniziare? L’ascolto quotidiano della Parola di Dio e il confronto con Lui ci aiuta a comprendere cosa significa amare sé stessi e come amare il prossimo. Dio educa a conoscerci e ad amarci senza giudicare o colpevolizzare. Non deve trarre in inganno il silenzio di Maria che non è in alcun modo inerzia o passività. Al contrario, il silenzio del discepolo è il linguaggio dell’amore mite e umile molto più eloquente delle parole di Marta che tradiscono la presunzione e l’aggressività proprie di chi è in ansia. Il primo gesto di ospitalità è accogliere l’altro nello spazio del proprio cuore. La compassione fa pulizia di pensieri giudicanti che invece tendono ad occupare tutti gli spazi della nostra mente con preoccupazioni legittime, forse, ma invadenti. Per reggere il peso della missione dobbiamo esercitare il cuore all’ascolto. Nella preghiera Dio si prende cura di noi, fascia le ferite delle paure e delle ansie, rinfranca il nostro spirito con la consolazione. Nella misura in cui ci lasciamo nutrire dalla Parola potremo essere cibo nutriente per gli altri. Come ci lasciamo amare, così saremo capaci di amare il prossimo. Con la docibilità con la quale ci lasciamo educare saremo in grado di essere maestri per i fratelli perché testimoni della potenza della Parola che trasforma la nostra povertà in ricchezza per tutti.
Oratio
Signore Gesù,
che ti fai pellegrino tra le strade degli uomini
per incrociare i nostri sentieri di vita,
spesso stretti, contorti e bui,
condividi con noi la fatica di stare al passo
con questo tempo caratterizzato
da cambiamenti repentini.
Insegnaci a saper abitare la nostra casa comune
e a farne un luogo ospitale
nel quale sostare per gustare insieme,
nell’ascolto umile e docile della tua Parola,
la dolcezza della tua presenza in mezzo a noi.
Guarisci le nostre ansie e liberaci dalle paure
che ci rendono miopi nel riconoscere
la bellezza che ci circonda
e scontrosi verso i nostri fratelli.
Donaci un cuore aperto
all’ascolto della tua Parola affinché,
formati dalla preghiera costante e sincera,
possiamo essere nell’agitazione affannosa del mondo
portatori del respiro dello Spirito
che riconcilia i litiganti e offre l’opportunità di riscatto
a chi è caduto nella trappola dell’orgoglio.
Amen.

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