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Quarto e ultimo giorno del Congresso Eucaristico Nazionale, a conclusione del quale il Santo Padre ha celebrato la Santa Messa nello Stadio comunale “XXI Settembre” di Matera.

Arrivato presso il Campo scuola di Atletica Leggera in Viale delle Nazioni Unite, in perfetto orario nonostante le condizioni metereologiche avverse, ha raggiunto con la papamobile lo Stadio comunale.

Qui è stato accolto dal Card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana; da S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina e dalle Autorità civili, tra cui il Presidente della Regione Basilicata, Dott. Vito Bardi; il Presidente della Provincia, Dott. Piero Marrese; il Prefetto di Matera, Dott. Sante Copponi e il Sindaco di Matera, Dott. Domenico Bennardi.

La Santa Messa, presieduta da Papa Francesco, è stata concelebrata dal Card. Matteo Maria Zuppi; da S. Ecc. Mons. Salvatore Ligorio, Arcivescovo Metropolita di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo e dal nostro Arcivescovo, S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo.

Ha animato la liturgia il Coro diocesano formato da 500 persone provenienti da tutte le parrocchie della Diocesi, diretto da don Vito Burdo con l’accompagnamento musicale della magnifica Orchestra Sinfonica di Matera, diretta dal maestro Carmine Catenazzo.

Dopo la Santa Messa, il ringraziamento del Card. Matteo Maria Zuppi al Papa per il dono della sua presenza, a cui è seguita la preghiera dell’Angelus.

Infine, un fuori programma: come originariamente previsto prima dell’indizione delle elezioni politiche del 25 settembre, Papa Francesco ha raggiunto in auto la mensa della Fraternità intitolata a “Don Giovanni Mele” ed ha benedetto la nuova struttura per i poveri.

Omelia del Santo Padre nella Concelebrazione Eucaristica del 25 settembre

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Stadio comunale XXI Settembre (Matera)
Domenica, 25 settembre 2022

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Ci raduna attorno alla sua mensa il Signore, facendosi pane per noi: «È il pane della festa sulla tavola dei figli, […] crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione» (Inno XVII Congresso Eucaristico Nazionale, Matera 2022). Eppure, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia.

Ci fa bene fermarci davanti alla scena drammatica descritta da Gesù in questa parabola che abbiamo ascoltato: da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi. E davanti a questa contraddizione – che vediamo tutti i giorni – davanti a questa contraddizione ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano?

Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. E con questo ha perso anche il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava: lo nomina con l’aggettivo “un ricco”, invece del povero dice il nome: Lazzaro. Le ricchezze ti portano a questo, ti spogliano anche del nome. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, ha perduto la sua identità che è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita.

Ecco allora la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: adorare Dio e non sé stessi, non noi stessi. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero. Riscopriamo la preghiera di adorazione, una preghiera che si dimentica con frequenza. Adorare, la preghiera di adorazione, riscopriamola: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, non di schiavi.

Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo.

Cari fratelli e sorelle, è doloroso vedere che questa parabola è ancora storia dei nostri giorni: le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono – tutte queste cose – lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: conversione dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità.

Fratelli e sorelle, sogniamo. Sogniamo una Chiesa così: una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzaro” che anche oggi ci camminano accanto. Tanti!

Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte.

Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Tutti siamo peccatori: ognuno di noi porta i propri peccati. Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita.

Ringraziamento del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, al termine della Santa Messa

Padre Santo, grazie di essere venuto. Grazie di questa fatica che volentieri, e sempre con il sorriso, ha intrapreso per stare con noi. Lei è un esempio per tutti. Anche per tanti musoni. Oggi a Matera ci sono tutte le Chiese d’Italia e tanti loro pastori che sono qui con noi – e gli altri sono in remoto: la comunione ha già iniziato da tempo la comunicazione. È una grazia iniziare il secondo anno del nostro Cammino sinodale con questa tappa. Ci mettiamo in cammino e camminiamo insieme solo se siamo con Gesù, se ci nutriamo del Verbum Domini e del Corpus Domini, solo – insomma – se prendiamo sul serio il suo “seguimi” rivolto a ognuno di noi, oggi, e a noi insieme. Ecco, nel Congresso Eucaristico di Matera, città del pane – come Lei ha ricordato, ed è anche molto buono! – e di tanta laboriosa accoglienza, abbiamo messo al centro Gesù – si vede che è buono! -, la sua presenza di amore che ci rende una cosa sola con Lui e tra di noi. Abbiamo riscoperto il gusto del pane che ci rende famiglia di Dio.

Ringrazio – ringraziamo tutti – la Chiesa di Matera-Irsina, il suo pastore, don Pino (altrimenti qui se lo chiamo Monsignor Antonio Giuseppe pensano che parlo di un altro!), il Comitato organizzatore, tutti i tantissimi volontari, il coro – che ho capito che è anche un super-coro! – e quanti si sono prodigati per la buona riuscita di questo appuntamento: tutte le autorità, civili e militari, che saluto e ringraziamo tanto. Davvero grazie: ci siamo sentiti a casa, una bellissima e antichissima casa che guarda al futuro.

Infine: quando si perde il gusto non si sentono i sapori; si fanno le cose, ma senza voglia, senza trovarvi coinvolgimento, senza che ci piaccia. Molti che hanno preso il COVID rimasero un tempo privati del gusto.  Noi perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo – Lei lo ha ricordato parlando del ricco –, che ci illude di trovare il gusto solo moltiplicando le esperienze tanto da sprecarle e togliere il pane a tanti che hanno fame e di fame muoiono. Troppi. Tanti. Chi trasforma tutto nel consumo per sé finisce per non sentire più il gusto della vita. Tornare al gusto del pane ha significato nutrirci dell’amore concreto e infinito di Cristo, ritrovare la gioia dell’amore semplice e gratuito, povero e vero, personale e per tutti. E mentre l’individualismo porta a dividersi dagli altri, tanto che poi il mondo arriva alla guerra che poi toglie valore all’individuo e genera solo il gusto della morte.

E la guerra brucia i campi di grano, toglie il pane, fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici. Ecco, in un mondo così, pieno di sofferenze, abbiamo capito il gusto del pane che ci dona l’Eucaristia, amore pieno di Cristo per i suoi fratelli più piccoli, per il prossimo, per i tanti Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi – poi spesso la guerra la fanno quelli che hanno la tavola imbandita e mandano a far la guerra quelli che stanno tante volte … ai poveri – Lazzaro, tabernacolo del corpo di Cristo. E il gusto del pane significa amabilità, empatia, passione di ricostruire la comunità lacerata, difendere la casa comune, gioia, voglia di relazione con tutti.

Grazie, Padre Santo. Con questo gusto del pane cercheremo tanti compagni di cammino con cui condividerlo, seguendo Gesù pellegrino che si ferma a tavola con quei pellegrini tristi, che fa ardere il loro cuore e gli dona di nuovo il gusto di amarsi e che si rivela sempre spezzando il pane con i suoi. È pane della terra e del cielo. Grazie, Padre Santo.

Sua Santità Papa Francesco alla recita dell'Angelus

Al termine di questa Celebrazione, desidero ringraziare tutti voi che vi avete preso parte, rappresentando il Popolo santo di Dio che è in Italia. E sono grato al Cardinale Zuppi che se n’è fatto portavoce. Mi congratulo con la Comunità diocesana di Matera-Irsina per lo sforzo organizzativo e di accoglienza; e ringrazio tutti coloro che hanno collaborato per questo Congresso Eucaristico.

Ora, prima di concludere, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, Donna eucaristica. A Lei affidiamo il cammino della Chiesa in Italia, perché in ogni comunità si senta il profumo di Cristo Pane vivo disceso dal Cielo. Io oserei oggi chiedere per l’Italia: più nascite, più figli. E invochiamo la sua materna intercessione per i bisogni più urgenti del mondo.

Penso, in particolare, al Myanmar. Da più di due anni quel nobile Paese è martoriato da gravi scontri armati e violenze, che hanno causato tante vittime e sfollati. Questa settimana mi è giunto il grido di dolore per la morte di bambini in una scuola bombardata. Si vede che è la moda, bombardare le scuole, oggi, nel mondo! Che il grido di questi piccoli non resti inascoltato! Queste tragedie non devono avvenire!

Maria, Regina della Pace, conforti il martoriato popolo ucraino e ottenga ai capi delle Nazioni la forza di volontà per trovare subito iniziative efficaci che conducano alla fine della guerra.

Mi unisco all’appello dei Vescovi del Camerun per la liberazione di alcune persone sequestrate nella Diocesi di Mamfe, tra cui cinque sacerdoti e una religiosa. Prego per loro e per le popolazioni della provincia ecclesiastica di Bamenda: il Signore doni pace ai cuori e alla vita sociale di quel caro Paese.

Oggi, in questa domenica, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, sul tema “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”. Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità. Perché il Regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale; e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il Popolo di Dio. Impegniamoci tutti a costruire un futuro più inclusivo e fraterno! I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati.