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Basilica Cattedrale, 01 maggio 2021

Il Prete uomo di comunione con Dio, con il presbiterio, nella Chiesa

Carissimi,

nella vigilia in cui a Scanzano Jonico si festeggia Maria SS. Annunziata, nella nostra Basilica Cattedrale, la Chiesa di Matera-Irsina, sotto lo sguardo della Madonna della Bruna, si ritrova a magnificare il Signore per il dono di un secondo presbitero nel giro di una settimana, nell’attesa del terzo, sabato prossimo.

Saluto tutti con animo grato per la vostra presenza, carissimi confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, il seminario regionale di Potenza con il Rettore e l’equipe formativa.

Saluto te, carissimo D. Alberto, la tua famiglia e le comunità parrocchiali di Scanzano e di Marconia.

Questa seconda meditazione sul sacerdote, alla luce della Parola che abbiamo ascoltato, vuole sviluppare questo pensiero: “Il prete uomo di comunione con Dio, con il presbiterio, nella Chiesa”.

Oggi abbiamo celebrato S. Giuseppe lavoratore nel giorno della festa del lavoro. Papa Francesco, nella Patris corde, al n°6 dice: “San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.

In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono”.

Nel messaggio che i vescovi abbiamo dato per questa giornata si dice: “Il “vaccino sociale” della pandemia è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili”.

Gesù, nel Vangelo che abbiamo proclamato la scorsa domenica, parlava il linguaggio dei pastori; questa domenica invece, parla quello degli agricoltori, in particolare dei vignaiuoli, applicando a sé quanto è proprio della vite.

In questo periodo i vigneti incominciano a germogliare. Hanno vissuto un tempo difficile: dopo l’autunno in cui hanno perso tutte le foglie diventando spettrali, hanno subìto la potatura con il taglio dei tralci, lasciando alcuni speroni con due o tre gemme rimasti legati alla vite. Guardare un vigneto dopo la potatura provoca un senso di tristezza: tutto sembra morto. Siamo abituati a guardare i tralci belli, lunghi, verdi, pieni di grappoli d’uva ma non guardiamo mai la vite. Eppure la vite, che ai nostri occhi è apparsa secca, nuda e silenziosa racchiude in sé la linfa vitale che farà germogliare i nuovi tralci per nuovi frutti.

Senza la vite non c’è vita, non c’è vino nuovo, non c’è felicità, manca la festa. Nessuno di noi è la vite, nemmeno il prete. Solo Gesù è la Vite alla quale ogni fedele è chiamato a rimanere unito. A maggior ragione il presbitero.

Ma c’è di più. La vite e la vigna sono l’immagine di Cristo e della Chiesa, uniti per sempre. La fedeltà nasce da questa unione che è continua, costante. Comunione che sgorga dal cuore di Cristo aperto dal quale è nata la Chiesa, dalla sua carne e dal suo sangue offerti agli apostoli come nutrimento continuo di cibo di vita ma anche come missione che nel rito del memoriale eucaristico indica soprattutto l’offerta, con il cuore traboccante d’amore, nel servire i fratelli loro affidati.

La vita del presbitero ha senso, è bella, significativa, parla agli altri con il cuore ricolmo d’amore se rimane costantemente nell’amore di Dio e, come il sangue attraversa le nostre vene e irriga il nostro corpo perché viva, si fa attraversare dalla linfa divina fino a vederne il frutto. Qui comprendiamo le parole di Gesù quando dice: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

La vite non ha un solo tralcio ma diversi. Sono tutti uniti alla stessa vite e di conseguenza tra di loro. Sono come il presbiterio nel quale, carissimo D. Alberto, D. Marco e D. Fabio siete o state entrando a farne parte. E’ la vostra famiglia che viene prima della famiglia originaria. La comunione tra i preti può esistere solo se ciascuno è unito alla vite, attinge alla potenza dell’amore divino, sente il fuoco dello Spirito dentro di sè, arde di zelo gioioso per i suoi confratelli e cerca loro non per fare pettegolezzi, ma per scambiarsi le gioie e i dolori e soprattutto per condividere la stessa grazia sacramentale, per pregare insieme.

Un tralcio non è la vite. Il rischio è esattamente questo: quando un prete si stacca dai confratelli, vive il suo ministero secondo la sua logica, la sua visione personale, si isola e non partecipa alla vita presbiterale: cioè si sostituisce alla vite. Senza rendersene conto pensa che il suo operato sia giusto mentre quanto fanno gli altri sia errato. In questo caso il culto della persona si sostituisce a Gesù Cristo. Segue se stesso e non Gesù. E’ un rischio che si corre soprattutto quando si è giovani, ma a volte non c’è età.

Ecco perché Gesù dice: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). E’ questo l’unico modo per partecipare alla vita divina del Maestro, anzi “rimanere” è da tradurre con “dimorare” in Cristo per essere impregnati dalla sua parola, dal suo amore. Tutto questo orienta la vita del prete a capire la volontà di Dio Padre che, in quanto vignaiuolo, taglia con sapienza, come solo lui sa fare, tutto ciò che impedisce di portare frutto. La vigna va necessariamente potata perché porti frutti gustosi e abbondanti. Le recisioni sono i passaggi più difficili nella vita di un sacerdote, ma i più importanti. Una vigna potata è triste a vedersi, ma, se così non fosse, non potrebbe germogliare secondo i desideri del vignaiuolo che per il singolo tralcio e l’intera vigna coltiva un sogno: raccogliere e macinare gli acini per gustare a suo tempo il vino.

Un tralcio da solo non fa vino. Al massimo farà assaporare per un attimo la delizia dell’uva ma non il vino. La vigna intera lo permette. Ogni sacerdote è parte integrante ed essenziale della vigna per essere vino che delizia le coscienze di quanti ogni giorno cercano l’ebrezza dello Spirito di Dio.

Ma come asserivo prima, il Padre nella vita di ogni cristiano, in particolare in quella del sacerdote, agisce e opera nel corso degli anni tagliando tutto ciò che intralci la crescita della vita sacerdotale.

Ognuno di noi ha sperimentato nella sua vita presbiterale che il suo ministero pastorale si è rivelato più fecondo ogni qualvolta il Signore, attraverso il vescovo, abbia chiesto di svolgere un ministero diverso, in parrocchie diverse. Si sente forte il dolore perché avviene un taglio ma nello stesso tempo si gode della ricchezza che Dio riserva perché si è accolto il nuovo. Dio ci meraviglia sempre.

Ma se i tralci provano dolore nell’essere potati, la vite ne patisce ancor di più (i vignaiuoli dicono infatti che la vite piange fino a quando il taglio non si cicatrizzi). Da qui comprendiamo quanto sia necessario per noi preti rimanere legati tra noi e con Lui. Gesù non ci separa, non ci allontana, proprio perché soffre con noi ci vuole stretti a sè.

Comprendiamo, allora, che rimanere è molto più che restare: è dimorare e comunicare in lui e con lui. Solo così possiamo dire di essere sacerdoti uniti dalla stessa esperienza sacramentale e proprio il sacramento che fra poco riceverai, carissimo D. Alberto, ti immette nella fraternità sacerdotale.

Il Padre, il vignaiuolo, non si stanca mai di potarci per il nostro bene e dell’intera Chiesa, la vigna. Non si stanca mai di amarci perché vuole una vigna che porta frutti abbondanti. Le vigne, se non vengono potate secondo criteri ben precisi, porteranno molte foglie, belle a vedersi ma non saranno in grado di portare frutto.

Amate la lectio divina lasciando che la Parola di Dio agisca nella vostra vita di sacerdoti, permettendo che, come spada a doppio taglio (Eb 4,12), recida i tralci sterili e poti quelli in grado di portare molto frutto. Ricordate che la vendemmia sarà abbondante e produrrà un ottimo vino se ognuno avrà permesso al vignaiuolo di raccogliere l’uva e farsi tutt’uno con l’abbondante raccolto che sarà macinato.

Dico a voi, carissimi D. Alberto, D. Fabio e D. Marco: non ricercate l’apparenza, il successo personale, il centro dell’attenzione.

Non chiudetevi nelle vostre convinzioni e sfuggite la tentazione dell’isolamento. Amate il presbiterio, coltivate la comunione sacerdotale, siate uniti tra di voi per crescere nella spiritualità sacerdotale.

Vi affido alla Madonna della Bruna: sul suo esempio, risentendo e meditando l’annuncio dell’Angelo, mettetevi in cammino per le strade della vita perché in ogni casa che valicate possiate diffondere il profumo di Dio, la fragranza dello Spirito, la presenza di Gesù che annunciate.

Così sia.

Don Pino